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I vini di qualità (Dop e Igp) difendono e accrescono il valore del made in Italy in bottiglia: nel 2014 l’export Dop è di 2,8 miliardi di euro, quello a Igp 1,6, per 4,4 miliardi di euro sui 5,1 miliardi complessivi. Così Politiche Agricole e Ismea

Italia
Export al centro di Vinitaly

I vini di qualità (Dop e Igp) difendono e accrescono il valore del made in Italy in bottiglia: nel 2014 l’export Dop è di 2,8 miliardi di euro quello a Igp 1,6 miliardi, 4,4 miliardi di euro su un totale di 5,1 miliardi di euro di valore complessivo.

Non è una novità, ma i dati parlano sempre più chiaramente: il peso valoriale dei vini del Bel Paese di qualità (Dop/Igp) si consolida e cresce con confortante continuità. Anche i dati economici del 2014 confermano questo trend. Emerge, a Vinitaly, nella tavola rotonda organizzata dal Ministero dell’Agricoltura, dove sono state discusse le cifre rilevate da Ismea.

Un patrimonio che da molte parti è invidiato al sistema vino tricolore, ma che tuttavia rappresenta una “croce e una delizia”. Anche in questo caso le cifre parlano chiaro: l’81% delle aziende viticole del Belpaese producono meno di 100 ettolitri di vino, mentre lo 0,4% realizza i due terzi del vino italiano.

Un disequilibrio che se da un lato conserva un enorme ricchezza di realtà territoriali e produttive, dall’altro finisce per creare inevitabilmente qualche criticità. “Sul fronte della protezione delle denominazioni - spiega Giuseppe Liberatore direttore del Consorzio del Chianti Classico - la sfida è difficile. Il 50% del vino italiano all’estero è fatto da 10 denominazioni ed è quasi impossibile proteggere oltre 500 denominazioni nei trattati commerciali, anche con stati, come gli Usa, che è uno dei nostri mercati di riferimento”.

“Il modello delle denominazioni del made in Italy enoico - afferma Luca Bianchi capo dipartimento del Ministero dell’Agricoltura - ha per adesso sostanzialmente funzionato. Il problema è capire gli obbiettivi da perseguire. L’export, evidentemente, non può essere la risposta vincente per oltre 500 denominazioni. Ma per la fase commerciale - conclude Bianchi - bisogna assolutamente mettersi insieme”.

Tornando alle cifre, nel 2014 il valore dei vini Dop ha toccato i 2,8 miliardi (+5,1% sul 2013) di euro, mentre gli Igp sono arrivati a 1,6 miliardi di euro (+3,4% sul 2013). Sono in totale 4,4 miliardi di euro su un totale di 5,1 di valore complessivo del vino tricolore esportato. Un dato che lascia pochi dubbi sulla capacità dei vini di qualità di difendere (e accrescere) il proprio prezzo, mentre il vino comune sembra essere ormai in calo costante, pur rappresentando ancora il 31% della produzione italiana.

L’export di vino di qualità italiano è costituito da vini Dop per il 58% e da Igp per il 42%. In valore rispettivamente il 71% e il 29%. Nel podio delle denominazioni guida in valore il Prosecco (che vale il 13,8% dell’export made in Italy), seguito dal Montepulciano d’Abruzzo e dal Chianti. Il podio delle Igp più esportate sono Delle Venezie, Sicilia e Veneto. Le regioni a più alta vocazione estera sono la Toscana (23%), il Veneto (21%), il Trentino Alto Adige e il Friuli (10%), Piemonte (7%).

Il grande gruppo dei vini di qualità , 523 denominazioni, vede attualmente 73 Docg, 332 Doc e 118 Igt riconosciute, a rappresentare, probabilmente il bacino viticolo più ricco al mondo. Una ricchezza che però nasconde anche qualche criticità.

Facendo una semplice analisi “Swot” - valutazione dei i punti di forza (Strengths), debolezza (Weaknesses), le opportunità (Opportunities) e le minacce (Threats) - se l’elevata differenziazione varietale e territoriale rappresenta, appunto, un saldo punto di forza, resta anche una elevata frammentazione degli operatori, una scarsa alleanza produttiva e commerciale e una ridotta dimensione rispetto ai grandi gruppi internazionali. Se l’Italia enoica occupa stabilmente un ruolo di primaria importanza sui mercati internazionali, manca ancora una adeguata strategia di collegamento tra i vari attori del sistema e una scarsa propensione a forme di integrazione orizzontale specialmente nella commercializzazione-distribuzione dei prodotti.

Se il costante calo dei consumi nei Paesi tradizionali pone uno squilibrio tra domanda e offerta, è però una decisiva opportunità il cambiamento del mix di prodotto, riqualificato verso prodotti di fascia alta.

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