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Quando si parla di enoturismo, la Napa Valley è un esempio di successo. Ma dietro la facciata si nascondono criticità e contraddizioni, frutto di una crescita senza controllo, che rischia di far diventare la valle una Disney World per adulti

Quando si parla di enoturismo, uno degli esempi vincenti, con cui tanti territori del vino sono costretti a paragonarsi, è senza dubbio la Napa Valley, in California, meta di pellegrinaggio, ogni anno, di orde di wine lover, americani e non. Eppure, anche quella che a prima vista sembra una storia di successo nasconde, tra le sue pieghe, criticità e dinamiche da chiarire. Perché in Napa Valley, a differenza di quanto si possa immaginare, il 74% dei residenti non lavora né nell’industria del vino, né in quella del turismo, e allora la convivenza, spesso, si fa difficile, e quello che da fuori sembra un paradiso, da vicino diventa quasi un incubo.
Dentro e fuori la regione vinicola, infatti, ogni giorno circolano molte più macchine di quanti siano i residenti e, se non bastasse, la Napa Valley è probabilmente la zona in cui si deroga più spesso alla legge sulla conservazione agraria voluta dallo Stato della California. Deroghe grazie alle quali le cantine hanno il permesso di espandersi senza grandi limitazioni, sfruttando anche le falle normative, per cui una sala degustazioni, spesso e volentieri, viene considerata parte della cantina. Un problema da poco, se preso singolarmente, ma se si moltiplica per gli oltre 500 impianti di produzione (di cui 55 nati dal 2008 ad oggi), si capisce perché, tra la gente, c’è il timore, nell’arco di qualche anno, di diventare come Las Vegas, anche perché, oltre alle aziende, cresce anche il numero delle strutture ricettive, che fanno della Napa Valley, già oggi, una sorta di Disney World per adulti, come l’ha definita il Nobel per l’economia Dan McFadden, che qui ha un piccolo vigneto.
Il boom, sulla West Coast, è arrivato solo nella seconda metà degli anni ’90, mentre la Winery Definition Ordinance, che regola il settore nella Contea, è del 1990. Ecco perché sarebbe da rivedere, cercando di tutelare non solo un asset strategico per l’economia della Regione, come il vino, ma anche le rivendicazioni di quel 74% di cittadini che vivono d’altro. Ma sarà difficile, nonostante il dibattito pubblico degli ultimi tempi, molto partecipato, e raccontato da diverse testate di settore, fermare una vera e propria valanga. Per i produttori, infatti, la costruzione di un rapporto diretto con la clientela è diventato fondamentale da un punto di vista commerciale, come sottolinea il più rappresentativo dei wine producer di California, Robert Mondavi: “la maggior parte delle cantine, oggi, a differenza di quanto accadeva negli anni ’70 e ’80, non può vivere affidandosi solo alla distribuzione, al contrario, ha bisogno di costruire un rapporto solido con i propri clienti”.
Del resto, la Napa Valley è ancora percepita come un paradiso da chi la visita: il vino e le degustazioni, infatti, secondo un sondaggio del 2012, sono solo al secondo posto tra i motivi di maggior attrazione, dietro alla bellezza paesaggistica, citata dal 37% dei turisti. Una bellezza per la cui tutela, secondo Smith-Madrone, co - proprietario di Stu Smith, “non servono moratorie o leggi, perché la Napa Valley non è un parco nazionale, è fatto di proprietà private, dalle quali ognuno dovrebbe essere libero di arricchirsi come meglio crede”.

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