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Il mercato italiano per il vino del Belpaese vale ancora la metà del totale, ed è vetrina fondamentale per le esportazioni. E se non mancano criticità, arrivano buoni segnali anche dalle enoteche, oltre che dalla gdo. Così l’Osservatorio Vinitaly

In quantità e valore, il vino italiano che finisce nel mercato interno è la metà del totale prodotto. Un elemento ormai stabilizzato da anni e che fa del mercato tricolore, quello più importante per i produttori del Belpaese. Anche se abituati ad enfatizzare i successi dei vini italiani all’estero (il 2014 si dovrebbe ricordare come l’anno dell’enesimo record, a 5,1 miliardi di euro, anche se in crescita di meno dell’1% sul 2013, ndr), il mercato domestico continua a mantenere un’importanza non solo in termini numerici, ma anche strategici, come vetrina più importante anche in proiezione estera. Spunto che arriva dall’Osservatorio Vinitaly, appuntamento più importante del vino italiano (Verona, 22-25 marzo, www.vinitaly.com). E anche se non mancano criticità, dovute anche ad un quadro economico generale ancora complesso, dei segnali positivi ci sono, non solo dalla gdo, canale che movimenta oltre il 75% delle bottiglie vendute in Italia, come anticipato dalla ricerca Iri per Vinitaly, secondo cui le vendite di bottiglie da 0,75 litri sono cresciute, nel 2014, dell’1,3% in valore.
Qualche cenno di riscossa arriva anche da uno dei canali di vendita storici, quello delle enoteche, che sfrutta da un lato la crescita in Italia delle vendite di vini di qualità e dall’altro la possibilità di offrire vendite differenziate, contatto diretto con i produttori, attraverso iniziative costruite ad hoc e una maggiore propensione alla customer satisfaction. Si tratta di punti vendita che occupano non più di un 10-13% del mercato del vino italiano (dati Vinarius, l’associazione delle enoteche italiane), ma che potrebbero crescere in questa particolare congiuntura, dove si cerca di spendere meno, ottimizzando l’investimento. Le enoteche già si sono adattate ed evolute, puntando su nuovi servizi, come quello ai ristoranti che chiedono poche bottiglie ma in pronta consegna. In generale le enoteche sanno rispondere meglio alle esigenze di un consumatore che, spaesato dall’enorme offerta della gdo, trova nel personale professionalità e consigli. Anche perché, in Italia, solamente un consumatore su dieci ha le conoscenze per orientarsi in autonomia davanti ad uno scaffale di etichette.
E la riscossa delle enoteche sarebbe davvero una buona notizia per i produttori italiani, perchè se è vero che nella gdo il 2014 è stato nel complesso positivo, resta comunque il fatto che negli ultimi cinque anni le vendite di vino nella grande distribuzione sono calate, e che il grosso del business viene realizzato su prodotti dai margini ristretti, con la fascia sotto ai 3 euro in giù che rappresenta l’80% delle vendite della Gdo. Ed anche in questo caso, visto che i volumi non crescono e non cresceranno (si va verso ai 30 litri procapite all’anno, sarà sensato cercare di trasferire più valore in quello che si vende, seguendo logiche di qualità e non di quantità, investendo in comunicazione e marketing.

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