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Sentiment positivo per le cantine italiane: l’80% archivia il 2014 con un bilancio in crescita, in media del 5%, e si guarda al 2015 con ottimismo. Così l’Osservatorio Vinitaly, presentato, oggi, a Roma, dal dg Veronafiere Giovanni Mantovani

Italia
Giovanni Mantovani, dg Veronafiere

L’80% delle aziende vinicole più importanti d’Italia archivia il 2014 con un bilancio positivo, registrando, un rialzo dei fatturati, che, in media, si attesta su un +5% sul 2013. Futuro a tinte tendenzialmente vivaci, nonostante una situazione economica ancora agitata, per il 55% delle cantine tricolore che esprime un “sentiment” abbastanza positivo per il 2015, ma il restante 35% vede già l’anno appena nato positivo e il 5% lo dipinge già come molto positivo. La pensano così 30 tra le realtà enologiche più importanti d’Italia per storia, immagine e per volume d’affari (e che, complessivamente, rappresentano un fatturato di 2 miliardi di euro), secondo un atteso osservatorio di Vinitaly la rassegna internazionale di riferimento del mondo del vino (Verona, 22/25 marzo; www.vinitaly.com), illustrato dal direttore generale di VeronaFiere Giovanni Mantovani.
“Il 2014 è stato un anno molto particolare, sia per lo scenario economico politico nel suo complesso, sia per le crisi internazionali e gli andamenti monetari. Il sentiment delle aziende del vino è positivo, dal nostro Osservatorio - ha spiegato Mantovani - emerge che i fatturati registreranno nel 2014 un trend tendenziale in aumento del 5%sul 2013 e per una buona percentuale di esse anche la prima parte del 2015 ha un andamento col segno più. È altrettanto vero, però, che ci sono segnali importanti di cambiamento di molti mercati, basti pensare alla Russia per la nota crisi internazionale, e occorre lavorare molto anche sugli accordi bilaterali nelle aree potenzialmente interessanti, ma bloccate da politiche di dazi protezionistici che non fanno decollare i mercati. Così come va adottata ormai una strategia complessiva del presidio delle quote in valore, volume e percezione di qualità del prodotto made in Italy in mercati in cui siamo leader come Usa, Germania, Regno Unito ed altri ancora”.
Il comparto vitivinicolo italiano non è, dunque, un’astratta isola felice, ma di certo rimane distante dalle crisi profonde degli altri settori. Anzi, sembra godere anche dei primi e timidi segnali di sblocco che provengono dal mercato interno, segnalando che qualcosa si sta muovendo verso la tanto agognata uscita dal tunnel. L’80% del campione delle cantine sondate dall’Osservatorio di Vinitaly infatti, indica che anche il fatturato delle vendite in Italia - che, ricordiamolo, assorbe comunque quasi la metà del volume di vino prodotto nel Bel Paese - comincia a muoversi di nuovo, guadagnando una percentuale media di crescita del 5,5% sul 2013. Se per la maggioranza c’è stato il segno più nei bilanci, il resto delle aziende (20%) indica una stabilità dei propri affari in Italia, che rappresenta un altro dato confortante.
L’export, da parte sua, continua a recitare il ruolo di protagonista negli affari delle cantine italiane, anche se, evidentemente, la concorrenza risulta sensibilmente più “agguerrita” di qualche tempo fa. Il 55% delle aziende indica una crescita nelle vendite oltreconfine che in media spunta un 8% in più sul 2013. Il comparto del vino made in Italy sembra, insomma, saldamente agganciato a quei beni, come la moda, per fare l’esempio più macroscopico, che continuano a rappresentare, peraltro con una confortante continuità temporale, il meglio dell’offerta del made in Italy nel mondo e quella dall’appeal più irresistibile, malgrado la congiuntura tendenzialmente sfavorevole.

Le performance più interessanti per le 30 aziende, marchi già affermati sui principali mercati esteri e in grado di “mordere” quelli nuovi grazie a reti commerciali solide e articolate, che fatturano insieme 2 miliardi di euro, giungono dai mercati più maturi che, d’altra parte, sembrano rimanere i più solidi, con garanzie ancora impensabili in altre aree del mondo, a partire dalla Cina. Lo dimostra anche il tipo di lavoro svolto dalle aziende oltreconfine. L’80% del campione ha investito negli Usa, un mercato in cui il consumo di vino è ancora basso e, nonostante quello che si possa pensare, esistono dei margini di crescita ulteriori, accanto ai vantaggi di un dollaro sempre più forte e importante peri vini italiani in termini di volumi e prezzo medio di acquisto. Il 60% ha investito in Europa, con un particolare occhio di riguardo alla Svizzera, il 50% in Asia, privilegiando piazze come il Giappone, un mercato che, probabilmente rappresenta ancora l’hub principale del vino italiano in Asia, e Singapore.
Ma il dato forse più eclatante è che ben il 65% delle aziende italiane ha investito sul mercato interno, segno evidente che una politica commerciale esclusivamente “esterofila” non paga e, probabilmente, mette a rischio gli stessi risultati sui mercati internazionali, certamente interessati all’effetto “vetrina” del mercato italiano.
Passando ai meno “soddisfatti”, se la valutazione complessiva delle performance aziendali del 2014 è per l’85% del campione positiva, non può essere certo considerata una percentuale poco significativa quella del 15% delle aziende che hanno segnalato una performance negativa e che si è espressa anche in un 5% di aziende che “sente” il 2015 in modo negativo.
Se sul “fronte dei numeri”, il comparto vitivinicolo del Belpaese non sembra dunque soffrire più di tanto la difficoltà dell’attuale congiuntura, a preoccupare sono se mai gli assetti geopolitici internazionali, che in alcuni casi si riverberano direttamente sul comparto. È il caso della crisi sopraggiunta in Russia, fino a poco tempo fa una sorta di vero e proprio paradiso dei brand del luxury wine. A preoccupare sono soprattutto le prospettive di quell’enorme mercato che, se non si scioglieranno le tensioni internazionali e Mosca non guarirà dalla grande depressione in cui è precipitata, potrebbe ridursi sempre di più per prodotti simbolo del made in Italy ad alto valore aggiunto. Ecco dove viene sostanzialmente individuato dal 60% del campione il luogo simbolo delle incognite economiche come anche di quelle politiche (40%). Il 35% delle aziende sondate continua a preoccuparsi della debolezza dei consumi specialmente in Europa e in Italia insieme ad un 30% che si dice preoccupato per la possibile perdita di competitività internazionale. Il 20% mette al centro delle criticità del 2015 i problemi valutari, insieme ad una stessa percentuale che si preoccupa per l’impennata dei costi di gestione aziendali. Uno sguardo verso il futuro necessariamente non può non tenere conto delle possibili criticità che sempre possono presentarsi o acuirsi, ma è pur sempre vero che la bilancia commerciale italiana 2014 risulta positiva per 33,6 miliardi e questo non può che far ben sperare anche per il 2015.

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