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Lo Champagne guarda al futuro, e l’attenzione delle grandi aziende, come Bollinger e Roederer, si sposta dalle tecniche di vinificazione al vigneto, perché solo un controllo totale della produzione può garantire una crescita qualitativa costante

Tra i pochi vini a non conoscere crisi, quasi inattaccabile nelle posizioni conquistate in decenni di storia commerciale, anche lo Champagne si interroga sul proprio futuro, e su quali saranno le linee guida da seguire negli anni a venire. In prima fila, nell’analisi del presente, e nella costruzione del futuro, c’è Jérôme Philipon, Ceo di Bollinger, una delle aziende più rappresentative e conosciute della Regione, che a “The Drinks Business” (www.thedrinksbusiness.com) racconta come, se nel passato l’attenzione dei vigneron era tutta rivolta “alle tecniche di vinificazione, dal dosaggio al processo di disgorgement, oggi, e sempre di più in futuro, il focus si sta spostando verso l’origine delle uve utilizzate, e quindi dalla cantina si torna al vigneto, dove tutto nasce. La gente, comunemente, pensa che sia questo il fattore che differenzia le grandi aziende dalle piccole, la provenienza delle uve”.
Oggi, infatti, il 70% delle uve utilizzate da Bollinger arriva dai 165 ettari di cui è proprietaria, ed un altro brand importante, come Louis Roederer, vive in una situazione simile. Ed è proprio questo l’aspetto destinato a cambiare, lungo il sentiero tracciato proprio dal presidente di Louis Roederer, Frédéric Rouzaud, che sempre a “The Drinks Business” spiegò che “la nostra maison non crescerà più oltre le proprie possibilità, e se vorremo produrre di più, dovremo acquistare nuovi vigneti”. Sulla stessa linea Jérôme Philipon, che sottolinea come “nel futuro la direzione deve necessariamente essere quella di un maggiore controllo sulla produzione e sul vigneto, solo così si può garantire un prodotto di qualità, e magari puntare sulla coltivazione biologica o biodinamica”.

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