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Nei millenni, la storia della vite da vino ha conosciuto mille mutamenti. In Spagna, un gruppo di ricercatori studierà le 186 varietà conservate dall’erbario più antico del mondo per scoprire quali siano arrivate fino a noi

Nel Paleolitico la vite era una pianta ben diversa da come la conosciamo oggi. La Vitis vinifera, infatti, è una liana rampicante, che cresce arrampicandosi sugli alberi, e l’uomo ci ha messo millenni per farla diventare ciò che è oggi, ossia per addomesticarla. La vite selvatica, come racconta in molte delle sue opere uno degli ampelografi più importanti, Patrick E. McGovern, è giunta fino ai giorni nostri, e ci sono tracce della presenza di Vitis vinifera, sia selvatica che coltivata, in diversi siti archeologici lungo il corso dell’Eufrate e del Tigri, risalenti al Neolitico (10.500-6.000 anni fa) e alla prima Età del Bronzo (10.000-5.000 anni fa).
Oggi conosciamo migliaia di varietà di vite da vino, ma nel corso dei secoli molte si sono estinte, ed altre sono nate da incroci tra varietà esistenti, in un panorama in continuo mutamento. Per fare un po’ d’ordine, in Spagna un team del Consejo Superior de Investigaciones Científicas (www.csic.es), in collaborazione con José Estevez (www.grupoestevez.es), uno dei principali produttori enoici dell’Andalusia, analizzerà con le più moderne tecniche della tracciabilità del Dna il più antico erbario enoico del mondo, conservato sin dal 1802 ai Giardini Botanici reali di Madrid, grazie allo straordinario lavoro di Simón de Rojas Clemente y Rubio, che per primo ha applicato il metodo scientifico allo studio ed alla descrizione delle diverse varietà di vite.
Il progetto sarà guidato dalla ricercatrice María del Carmen Martínez, della Misión Biológica de Galicia, che avrà al suo fianco Mauricio Velayos, dei Giardini Botanici di Madrid, e un gruppo di ricercatori dell’Inra di Montpellier, diretti da Jean-Michel Boursiquot, che avranno come obiettivo quello di scoprire quale delle 186 varietà conservate (insieme ad un milione di altre piante), provenienti esclusivamente dall’Andalusia, di cui si hanno solo foglie e boccioli essiccati, sia ancora tra quelle comunemente coltivate, e di quali, invece, si siano perse le tracce.

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