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“Non sono astemio, bevo pochissimo, ma i vini di tutto il mondo”. Così Papa Francesco, sommelier “ad honorem” della Fondazione Italiana Sommelier di Franco Ricci, a Riccardo Cotarella. E che ha parlato del “suo” Piemonte con il produttore Angelo Gaja

Italia
Papa Bergoglio e la visita del mondo del vino con Franco Ricci Riccardo Cotarella e Angelo Gaja

Il tastevin, il diploma, una cassa con tre bottiglie di vino di Bibenda (perché il Santo Padre non ne voleva di aziende specifiche), una di olio extravergine di oliva e il titolo di “sommelier ad honorem”: ecco i doni che il mondo del vino ha fatto a Papa Francesco, nell’udienza generale di questa mattina, con la delegazione enoica di produttori, enologi e giornalisti messa insieme dalla Fondazione Italiana Sommelier di Franco Ricci.

“Sua Santità, mi tolga un dubbio: è vero che è astemio?”, gli ha chiesto Riccardo Cotarella, presidente Assoenologi. “No, pochissimo ma bevo, mi piacciono i vini di tutto il mondo”, gli ha risposto Bergoglio. Papa argentino ma, come è noto, di famiglia dalle origini piemontesi. E proprio del Piemonte, dei suoi paesini, dei suoi ricordi lontani legati a quelle terre, ha parlato il Papa, scambiando qualche battuta con le “roi” Angelo Gaja, che, con la sua cantina, a Barbaresco, dista 30 chilometri scarsi da Portocomaro Stazione, frazione di Asti, da dove la famiglia del Pontefice è emigrata tanti anni fa.

Pochi momenti che il mondo del vino italiano è riuscito a “ricavarsi”, a fine udienza, tra gli impegni e i grandi temi, ovviamente ben più importanti, che il Papa, massima autorità spirituale del Cristianesimo, si trova ad affrontare ogni giorno.

Ma, comunque, un momento di contatto che, soprattutto in un momento come questo, può essere da stimolo per tornare a riflettere anche sul ruolo delle culture gastronomiche e alimentari come terreni fertili in cui piantare i semi del rispetto delle differenze, della convivenza e dell’integrazione. Come ha ricordato, nel suo commento alla giornata, il dg di VeronaFiere Giovanni Mantovani: “un mondo in continua evoluzione, soprattutto in un momento storico come quello che stiamo vivendo - ha detto - ha necessità di esplorare nuovi canali di dialogo tra i popoli o riscoprire quelli della tradizione. Uno dei gesti più antichi come condividere insieme la tavola permette, da sempre, di scoprire l’altro e apprezzarne le differenze, proprio attraverso quella cultura enogastronomica unica e inimitabile di ogni Paese. Ecco allora che anche i prodotti e le tipicità locali si rendono viatico di confronto e arricchimento, un concreto strumento di pace. Le diversità uniscono attraverso il racconto della nostra terra e un bicchiere del suo vino. Diventano, anzi, motivo di dialogo, come dimostra da 50 anni Vinitaly che ogni anno riunisce a Verona un convivio di uomini da 130 nazioni e da tutti i continenti che coltivano la vite e ne commerciano i suoi frutti”.

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