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Questo Papa ha un legame speciale con il mondo del vino (che riceve oggi in Vaticano): “senza vino non c’è festa”, invecchiando “si possa essere come il buon vino” dice spesso Francesco, nipote di vigneron. Il vino che unisce i popoli nella diversità

Italia
Papa Francesco

“Ricordate il miracolo delle nozze di Cana? A un certo punto il vino viene a mancare e la festa sembra rovinata. Immaginate di finire la festa bevendo tè! No, non va! Senza vino non c’è festa!” dice nelle sue omelie. “Che noi si possa essere come il buon vino, che quando invecchia migliora: è più buono! Il vino cattivo diventa aceto. Che noi si possa invecchiare con sapienza, per poter trasmettere sapienza”, ha detto alla folla di giovani nella loro Giornata Mondiale (Rio de Janeiro, 2013). Ma il paragone con il vino lo usa anche quando si rivolge ai più “anziani” Cardinali: “siamo vecchi, doniamo ai giovani la nostra sapienza, è come il buon vino che con l’età diventa migliore” (15 marzo 2013, incontrandoli due giorni dopo esser stato eletto). Con il mondo del vino, che riceve oggi in Vaticano (nell’udienza del mercoledì in Sala Nervi, alle 11, con la delegazione guidata dalla Fondazione Italiana Sommelier, ndr), Papa Francesco ha un legame speciale. Argentino di nascita, la sua famiglia è originaria della provincia di Asti, e il nonno aveva una vigna in cui produceva Grignolino. Nelle sue omelie usa spesso parabole sul vino, e sono in molti a riferirsi al Pontefice come un Papa che chiama “il pane al pane e il vino al vino”. Al vino, simbolo di gioia e di vita, la storia della Chiesa Cattolica è altrettanto profondamente legata, come è ben noto: dall’Ultima Cena al miracolo della transustanziazione, per i credenti si tramuta nel sangue di Cristo. Ma al vino sono legate tutte le principali religioni monoteiste, dall’ebraismo all’islam. Divise, tra tradizioni diverse e divieti, dal vino, ma anche unite, perché, a pensarci bene, sono proprio i cibi più semplici ed elementari, come il vino, il pane o l’olio, la “lingua” comune dei popoli del Mediterraneo.

Con il suo nome che riporta a San Francesco d’Assisi, che nel “Cantico delle Creature” ha scritto una delle più belle odi alla natura e al Creato, Bergoglio sembra incarnare alla perfezione il legame con l’agricoltura, e con il vino in particolare. Nei messaggi che invia al mondo, compaiono spesso riferimenti all’agricoltura. Alle Nazioni Unite, inaugurando l’“Anno internazionale della Famiglia Rurale” (nel 2014), ha detto che “dobbiamo valorizzare gli innumerevoli benefici che la famiglia apporta alla crescita economica, sociale, culturale e morale dell’intera comunità umana. L’economia agricola e lo sviluppo rurale trovano nella famiglia un operatore rispettoso della creazione e attento alle necessità concrete”. Anche nel lavoro, ha sottolineato, la famiglia è “un modello di fraternità per vivere un’esperienza di unità e di solidarietà fra tutti i suoi membri, con una maggiore sensibilità verso chi é più bisognoso di cure o di aiuto, bloccando sul nascere eventuali conflitti sociali”. Anche all’Angelus in Piazza San Pietro, Papa Francesco ha ricordato alla folla di fedeli il ruolo fondamentale dell’agricoltura e incoraggiato a coltivare la terra in modo sostenibile e solidale (domenica 9 novembre 2014).

E tra le ormai celebri telefonate del Papa, ce n’è anche una a Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, con la “benedizione” della chiocciola e dello “stupefacente” lavoro di Petrini (2013). Da ultimo, inaugurando “Salone del Gusto & Terra Madre 2014” a Torino, un’edizione che sarà ricordata proprio perché “benedetta” dal Pontefice (con una lettera allo stesso Petrini dove sostiene che Slow e Terra Madre suscitano nel suo animo un sincero apprezzamento: “c’è bisogno di organizzazioni come la vostra che favoriscono la coltivazione e la custodia del creato”), proprio Petrini ha letto alla folla delle comunità del cibo di tutto il mondo la lettera di Papa Francesco alla Fao, che val la pena di riportare: “per sconfiggere la fame - ha detto Petrini leggendola - non basta superare le carenze di chi è più sfortunato o aiutare chi è in emergenza. Bisogna cambiare il paradigma delle politiche di sviluppo, modificare le regole internazionali su produttività e commercio, sostenere le comunità, garantendo ai Paesi dove l’agricoltura è la base di economia e sopravvivenza, di poter determinare il proprio mercato. Dobbiamo decidere di partire da persone e Comunità, non dai mercati. E, quindi, cambiare il modo di intendere il lavoro, la produttività, l’economia e l’ambiente. Fino a quando si continuerà a difendere sistemi che escludono tanta parte del mondo anche dalle briciole che cadono dalle mense dei ricchi? Basta ad agire “in nome di dio profitto”! Dobbiamo riconoscere il valore della famiglia rurale che produce ma non distrugge risorse, e che con amore e generosità che c’è tra i membri della famiglia stessa, favorisce il dialogo tra generazioni, e pone le basi per l’integrazione sociale. Chi più delle famiglie contadine è preoccupato di preservare natura per generazioni future, e ha più a cuore coesione?”.

Un Pontefice che, per molti, per le sue parole sul ruolo fondamentale dell’agricoltura e l’incoraggiamento a coltivare la terra in modo sostenibile e solidale, è già il miglior “testimonial” dell’Expo2015 e della sua sfida globale: come garantire cibo sano, sufficiente e sicuro per una popolazione mondiale che nel 2050 arriverà a 9 miliardi di persone.

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