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I nuovi diritti di impianto dei vigneti tra Italia e Francia: il regime in vigore dal 2015, soluzione di compromesso dopo la battaglia contro la liberalizzazione inizialmente, prevista non accontenta i principali Paesi produttori che perdono ettari

Italia
I nuovi diritti di impianto dei vigneti tra Italia e Francia: in foto, i vigneti nel terroir del Soave

Da gennaio 2015, ovvero tra pochi giorni, entrerà in vigore il nuovo regime di autorizzazione dei diritti di impianto dei vigneti europei, che prevede la possibilità, per ogni Paese membro, di aumentare dell’1% all’anno gli ettari vitati. Soluzione di compromesso e transitoria (dopo una lunga battaglia contro la liberalizzazione totale inizialmente prevista) che, però, sembra scontentare proprio i Paesi più impegnati in quella battaglia, come Italia e Francia. Nel Belpaese, per esempio, è stato più volte il presidente di Unione Italiana Vini (uiv) Domenico Zonin a richiamare l’attenzione sul fatto che l’incremento consentito non compensa la perdita di potenziale produttivo del “vigneto Italia”, in costante riduzione negli ultimi anni (120.00 ettari persi dal 2000 ad oggi, per una superficie vitata attuale di 655.000 ettari), senza contare il rischio di sprecare i diritti di impianto ancora non utilizzati (si parla di 50.000) ettari, a meno che non arrivi il decreto promesso dal Ministro delle Politiche Agricole Martina, che consentirà la cessione anche oltre i confini di ogni Regione.
In Francia, invece, dove i problemi più o meno sono gli stessi, è sceso in campo Michel Chapoutier, presidente dell’Umvin - Union des Maisons et des Marques de Vin: “la Francia ha bisogno di piantare, per questo spingiamo affinché venga permessa la distribuzione dell’integralità delle autorizzazioni ai richiedenti, che vorrebbe dire un incremento annuo dell’1% della superficie produttiva, come garantito dalla normativa europea, pari a 7.500 ettari. E se venissero rilevate delle inadeguatezze, sarà compito dell’industria enoica e delle autorità pubbliche rivedere, via via, i criteri di assegnazione delle autorizzazioni d’impianto”.
Anche perché le superfici produttive in Francia si riducono ogni anno, mediamente, dell’1,4%, quindi l’1% di nuovi impianti all’anno “non garantisce la crescita del potenziale produttivo, ma ne rallenta il declino”. In secondo luogo, la Francia ha una carenza strutturale di vino, visto che negli ultimi anni ne ha importato in media tra i 5 ed i 6 milioni di ettolitri. Altro aspetto fondamentale, per Chapoutier, è rafforzare la produzione di vini senza indicazione geografica, di cui oggi la Francia scarseggia, ma che i mercati richiedono ...

Focus - I diritti di impianto dei vigneti non ancora utilizzati dall’Italia potrebbero andare perduti. È la criticità evidenziata, tra gli altri, da Wine Monitor, al via del regime del 2015 basato sulle autorizzazioni, e dello stop alla vendita dal 2016
I diritti di impianto dei vigneti non ancora utilizzati dall’Italia potrebbero andare perduti. È questa la criticità evidenziata, tra gli altri, da Wine Monitor di Nomisma, alla vigilia del regime transitorio del 2015 basato sulle autorizzazioni, in attesa della imminente e definitiva uscita dei regolamenti europei di esecuzione che sanciranno l’obbligo di trasformazione dei diritti di impianto dei vigneti in autorizzazioni non più commercializzabili dal 2016 (scadenza prorogabile al 2020 solamente per quanto riguarda la conversione ma non la cessione a titolo oneroso).
Secondo i dati Agea e Mipaaf (2012/2013), la superficie vitata in Italia, riporta Wine Monitor risultava pari a circa 647.000 ettari, di cui il 52% destinata a vini Dop, il 25% a Igp e il rimanente 23% ad altri vini. Accanto a tale area vitata, figuravano diritti d’impianto per 1.843 ettari allocati ai produttori ma non ancora utilizzati e ben altri 46.450 diritti di reimpianto sempre in mano ai viticoltori. Completavano il quadro 2.184 diritti di impianto presenti nella riserva nazionale.
Su un totale quindi di quasi 697.000 ettari di potenziale produttivo, il 7% riguardava diritti di impianto non ancora utilizzati.
Il rischio che corre il potenziale vinicolo italiano, con il divieto di cessione a partire dal 2016 attiene al fatto che una buona parte di questi diritti di impianto non ancora utilizzati possano andare perduti (nel senso che il possessore, una volta divenute autorizzazioni, decida di non utilizzarle). Un timore giustificato dal fatto che il 63% di quei 46.450 ettari legati al reimpianto riguardano la produzione di vini comuni (non Dop/Igp) in gran parte situati in zone “meno valorizzate” dal punto di vista del mercato.
E la perdita definitiva di tali diritti rischia di generare una limitazione anche sulle future autorizzazioni che ogni Stato membro potrà emanare annualmente (fino all’1% del potenziale produttivo dell’anno precedente), generando così un risultato paradossalmente contrario a quegli obiettivi di maggior flessibilità e sviluppo del potenziale che la riforma dell’Ocm avrebbe dovuto portare alla vitivinicoltura europea.
Una problematica perfettamente individuata da Domenico Zonin, presidente Uiv (Unione Italiana Vini): “ci sono Regioni che stanno piantando perché c’è richiesta sul mercato di quei prodotti e, dall’altra parte, Regioni che non lo fanno e che anzi stanno riducendo la propria superficie a vigneto. Abbiamo chiesto al Ministro Martina la possibilità, fino alla fine del 2015, di trasferimento dei diritti da Regione a Regione. Rischiamo di perdere 30-40.000 ettari a causa di un blocco tutto burocratico, sostenuto dagli interessi di qualche assessore regionale. Non è bloccando i diritti che si incentiva il mercato. Il problema è che il Vigneto Italia si indebolirà per colpa di alcune regioni che si tengono stretti i diritti, sperando che poi ricomincerà una fase di aumento degli impianti. Ma è il mercato che decide”. Il Ministro, dal canto suo, ha promesso di intervenire in tal senso. E il mondo del vino italiano è alla finestra.

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