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Fivi e Città del Vino uniti contro l’articolo 53 del Testo Unico della vite e del vino, “che equipara l’etichetta ai materiali di comunicazione, vietando, di fatto, di riportare in brochures, siti e così via, Regione e territorio di appartenenza”

Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti e Città del Vino uniti contro l’articolo 53 del Testo Unico della vite e del vino in discussione, che altro non è, in soldoni, che l’articolo 20 della legge 61/2010 e che, per le due associazioni, equipara l’etichetta ai materiali di comunicazione aziendale, vietando di fatto di riportare in brochures, siti e così via, la Regione di appartenenza nella comunicazione. “Un produttore di Barolo, per fare un esempio - si legge in una nota - non potrebbe indicare come sede aziendale la regione delle Langhe in Piemonte senza venire accusato di usurpare le denominazioni “Langhe” e “Piemonte”.
“Abbiamo chiesto addirittura di avere un ente capace di certificare l’esattezza dell’etichetta, su cui si deve essere rigorosi - spiega a WineNews la presidente Fivi, Matilde Poggi - ma non poter indicare, per esempio, nei miei depliant che la mia azienda è in Veneto perché Veneto è anche il nome di una Doc, è una castroneria. Siamo detti pronti alla disobbedienza civile. È una norma che esiste da tempo, solo che ora sono iniziate le sanzioni e c’è confusione. E visto che si sta legiferando sul Testo Unico, di cui condividiamo lo spirito, chiediamo di cambiare questa norma”. Una questione di lana caprina, in realtà, perché in realtà si cerca di mediare, tra la necessità di consentire alle aziende di “vendere il territorio”, elemento fondamentale e distintivo dei vini italiani, e il rischio che certe espressioni geografiche vengano, invece, utilizzate in maniera “abusiva” e poco chiara, per esempio, da società di distribuzione che, magari, possono avere la sede legale in un territorio ma quella operativa anche all’estero, per fare un esempio. In ogni caso, il tema è delicato, e sarà affrontato dalla Fivi anche nel “Mercato dei Vignaioli Indipendenti”, di scena a Piacenza Expo, il 29 e 30 novembre (www.mercatodeivini.it).
“La nostra è un’azione forte - ha aggiunto la Poggi - ma sentiamo il dovere di far sentire la nostra voce per tutelare gli interessi di tutti i vignaioli italiani. I nostri vini sono i portavoce delle zone viticole di tutta Italia, sono il frutto del nostro impegno quotidiano a valorizzare, promuovere e custodire il paesaggio, sono messaggi in bottiglia che parlano a tutto il mondo del nostro paese. Insieme a tutti i nostri colleghi produttori del comparto agroalimentare nazionale siamo ambasciatori della nostra terra; come possiamo raccontarla al mondo senza nemmeno poterla citare?”.
“L’atto di disobbedienza civile prefigurato dalla Fivi - ribadisce il presidente delle Città del Vino, Pietro Iadanza - ci spinge a rilanciare sia il riconoscimento del vino italiano come patrimonio culturale nazionale sia il riconoscimento della cultura del vino nella sua totalità come Patrimonio dell’Umanità da parte dell’Unesco. Dovremmo cominciare a prendere esempio dalla Francia, dove l’emendamento presentato un anno fa dal senatore socialista Roland Courteau per istituzionalizzare il vino come patrimonio culturale e gastronomico della Francia è oggi arrivato in discussione alla Assemblea Nazionale in un progetto di legge più complessivo per l’agricoltura, l’alimentazione e la foresta. Anche e soprattutto per l’Italia il vino è parte fondante della storia e della cultura nazionale, uno dei simboli indiscussi del nostro paese, fonte di sviluppo economico, elemento costitutivo e presidio del paesaggio rurale”.
“Sollecitare e sostenere un processo normativo di protezione e valorizzazione della cultura del vino - ricorda infine Paolo Benvenuti, direttore delle Città del Vino e presidente dell’Associazione Internazionale Iter Vitis - potrebbe inoltre fornire una preziosa occasione per contrastare, con campagne efficaci di educazione al consumo e divulgazione degli effetti benefici di un suo modico uso, gli atteggiamenti proibizionistici di chi vede questo prodotto come una semplice bevanda alcolica, non lo ritiene né un alimento né un fatto culturale e lo assimila addirittura ad una droga”.

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