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“.wine” e “.vin”: tra uno scaricabarile e l’altro qualcosa si muove. L’Icann apre uno spiraglio, ed in una lettere al Governo di Parigi, il presidente dell’Istituto Usa, Fadi Chehade, propone un elenco riservato di nomi da tutelare di comune accordo

“.wine” e “.vin”: tra uno scaricabarile e l’altro qualcosa si muove. I negoziati vanno avanti, e l’ultima mossa del presidente dell’Icann, l’americano Fadi Chehade, potrebbe aver aperto uno spiraglio, pronto ad essere sfruttato. Alla fine di ottobre, infatti, ha scritto una lettera al Segretario di Stato per il digitale del Ministero dell’Economia di Parigi, Axelle Lemaire, in cui, oltre a compiacersi dei progressi nei negoziati, ha lanciato l’idea di “un elenco riservato di nomi, che sarebbero protetti in un accordo contrattuale tra l’Icann e il Registro dei domini, e accompagnati da una serie di regole per assegnare i nomi a quelle parti che abbiano un reale interesse e dei diritti specifici a riguardo”.
A fare il punto della situazione nell’annosa questione che contrappone l’Icann, l’istituto californiano che gestisce i domini sul web, e le associazioni di tutela delle denominazioni del vino di tutto il mondo, su tutte la francese Cnaoc (che rappresenta l’intero panorama delle denominazioni dell’esagono), è il quotidiano francese “Le Monde” (www.lemonde.fr). La querelle, è bene ricordarlo, si innesta in un momento di enorme cambiamento del web, con la nascita di ben 1.300 nuovi domini, detti “generici”, da “.book” a “.bmw”. 430 di questi sono già stati rilasciati nel corso del 2014, e adesso sono in mano, per la gestione tecnica ai cosiddetti “registries”, e per tutto ciò che riguarda la gestione e la vendita dei nuovi indirizzi ai “registrars”. È a loro che bisogna rivolgersi per acquistare un nuovo indirizzo. Ma chi sono? In prima linea big del web, come Amazon e Google, che si stanno spartendo la maggior parte dei nuovi domini. Dietro, società specializzate, con alle spalle finanziatori importanti, perché solo depositare un dossier per richiedere all’Icann l’istituzione di un nuovo dominio, costa qualcosa come 185.000 dollari. Tra le aziende più attive, la giovane “Donuts” (www.donuts.co), che ha depositato ben 307 dossier, conquistando il controllo, per ora, di 155 nuovi domini. Tra cui i domini “.vin” e “.wine”.
Una lunga premessa per arrivare alle ultime novità, dopo due anni di trattative che si sono andate più volte ad arenare nelle falle dei trattati internazionali, e quindi del mancato riconoscimento degli Usa delle denominazioni e delle indicazioni geografiche tipiche. A tirare le fila delle trattative, già dalla fine del 2012, è il Cnaoc, che in poco tempo ha raccolto intorno a sé tutti i massimi rappresentanti delle denominazioni enoiche del mondo, compresi i territori del vino Usa. Oggi, dopo l’intervento dell’Unione Europea, qualcosa si muove: l’Icann, dopo aver sostenuto con forza la posizione governativa, che non riconosce la legittimità delle denominazioni d’origine, adesso assicura la propria neutralità nel dibattito, specie dopo le richieste ufficiali dell’Ue e delle associazioni delle denominazioni d’origine. La palla così passa a “Donuts”, che si sente “presa tra due fuochi. È così che ci sentiamo - racconta a “Le Monde” il responsabile dell’azienda, Jon Nevett - perché il confronto è tra Stati, noi siamo in mezzo, e francamente speriamo che si risolva tutto per il meglio, tutelando gli interessi di tutti, perché potendo scegliere noi siamo i primi a volere che, ad esempio, il dominio “beaujolais.vin” finisca in mano ai produttori di Beaujolais”.
I negoziati, quindi, vanno avanti, e l’ultima mossa del presidente dell’Icann, l’americano Fadi Chehade, potrebbe aver aperto uno spiraglio, pronto ad essere sfruttato. Alla fine di ottobre, infatti, ha scritto una lettera al Segretario di Stato per il digitale del Ministero dell’Economia di Parigi, Axelle Lemaire, in cui, oltre a compiacersi dei progressi nei negoziati, ha lanciato l’idea di “un elenco riservato di nomi, che sarebbero protetti in un accordo contrattuale tra l’Icann e il Registro dei domini, e accompagnati da una serie di regole per assegnare i nomi a quelle parti che abbiano un reale interesse e dei diritti specifici a riguardo”. Un primo passo, cauto, ma che potrebbe finalmente sbloccare la situazione, prima che vada a finire in un interminabile arbitrato internazionale.

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