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Wine & spirits, due mondi a due velocità, difficili da far viaggiare insieme. Tanto che rumors vorrebbero il Gruppo Campari intenzionato a vendere i marchi del vino: Tenute Sella & Mosca, Teruzzi & Puthod ed Enrico Serafino

Il mondo dei wine & spirits, spesso raccontato come un unico monolite, vive in realtà viaggiando a due velocità ben distinte: da una parte, ci sono liquori e superalcolici, capaci di grandi performance sul mercato, anche su quello azionario, e, quindi, di rivalutarsi e ripagare un eventuale investimento in tempi relativamente brevi; dall’altra, c’è il mondo del vino, con i suoi ritmi, i suoi tempi, e la sua redditività, che spesso e volentieri va ad una velocità diversa da quella degli spirits, pur rimanendo un investimento solido e, a lungo termine, decisamente redditizio. Può succedere, così, che un grande gruppo decida di concentrare i propri sforzi e le proprie attenzioni su uno solo dei due business. Come starebbe pensando di fare, secondo rumors, il Gruppo Campari (www.camparigroup.com).
Pare che abbia intenzione, infatti, di mettere sul mercato i tre marchi del vino: Tenute Sella & Mosca, storica cantina della Sardegna, che vicino ad Alghero produce 7,6 milioni di bottiglie l’anno su 550 ettari vitati; Teruzzi & Puthod, marchio storico di San Gimignano, dove produce 1,2 milioni di bottiglie su 90 ettari vitati; Enrico Serafino che, in Roero e Alta Langa, produce 450.000 bottiglie, dai suoi 13 ettari vitati; oltre ai marchi Riccadonna e Mondoro, tra i marchi storici del Gruppo Campari, con le bollicine di Asti e Prosecco. Ci sarebbe già un advisor, Mediobanca, cui sarebbe stato dato mandato dal Gruppo Campari di raccogliere le eventuali offerte (ed alcune già ci sarebbero), che il gigante degli spirits si riserverà poi in seguito di valutare e, eventualmente, accettare. La dismissione del comparto vino, del resto, era iniziata già tre mesi fa, con la vendita di Château Lamargue, azienda francese del Gruppo Campari, a pochi chilometri da Nîmes, terra di grandi rosati. Al di là dei rumors, ciò che la stessa Campari ha annunciato, nel suo ultimo report, è la cessazione dei contratti di distribuzione dei brand di terzi siglati, per il solo mercato italiano, con otto aziende del Belpaese che, a breve, resteranno, quindi, senza un distributore: Volpe Pasini in Friuli Venezia Giulia, Fazi Battaglia nelle Marche, Le Fracce in Lombardia, Icario e Capraia in Toscana, Kupelwieser in Alto Adige, Urciuolo e Villa Massa in Campania.
La vendita dei brand regionali rientrerebbe in un’operazione di riassetto per il gruppo Campari, che, negli ultimi anni, è cresciuto a forza di acquisizioni, ma su marchi più globali. Due operazioni sono state concluse negli ultimi mesi: prima con l’acquisizione di Forty Creek distillery, azienda leader nel mercato degli spirit in Canada e proprietaria di un portafoglio di whisky canadesi, poi quella dell’italiano Amaro Averna. Il motivo della vendita dei marchi regionali (tra cui, oltre a quelli del vino, pare che ci sia anche il limoncello di Sorrento) sarebbe dovuto al fatturato, che non dovrebbe superare i 30 milioni di euro (meno del 2% del fatturato del gruppo Campari), simile ai livelli del 2002, per effetto di un trend negativo delle vendite dei vini negli ultimi anni sul mercato nazionale, legato anche alla crisi del canale ristoranti.
La multinazionale della famiglia Garavoglia avrebbe, dunque, deciso di consolidare la forza dei suoi marchi conosciuti in tutto il mondo (Campari, Aperol, Cinzano Skyy vodka, Wild turkey e Ldm rum, che valgono la metà del fatturato) e degli ultimi brand acquisiti, come l’Amaro Averna, dismettendo i liquori e i vini con caratteristiche regionali. Per Campari, si tratterebbe di un necessario, visto che sembra stia anche rinegoziando le condizioni finanziarie delle sue linee di credito con le banche, prima di riprendere la campagna di acquisizioni all’estero.

Focus - I numeri del Gruppo Campari …
Il Gruppo Campari ha chiuso l’esercizio 2013 con vendite pari a 1,52 miliardi di euro (+13,7% sul 2012). Il margine di contribuzione, dopo le spese di pubblicità e promozione, è stato di 561,2 milioni di euro, con l’utile netto che si è portato a 149,8 milioni di euro (-4,4% sul 2012), che consente di distribuire un dividendo di 0,08 euro per azione (in aumento del 14,3% sul 2012). Il debito finanziario netto, pari a 852,8 milioni di euro (era a quota 869,7 milioni di euro al 31 dicembre 2012). I dati parziali del 2014, sui primi 9 mesi 2014, raccontano che le vendite hanno superato il miliardo di euro (1,06 miliardi di euro), con un debito finanziario netto di 1,033 miliardi di euro.

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