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Petrini: “agricoltura deve molto ai nuovi italiani: gli immigrati”. Camusso: “senza di loro -11% del Pil”. Sagnet: “Confindustria ha espulso aziende che non rispettano lavoratori. Coldiretti faccia lo stesso”. Ecco “Te lo do io il made in Italy”

Italia
Petrini: agricoltura deve molto i nuovi italiani, gli immigrati

“La nostra agricoltura deve moltissimo alla presenza dei nuovi italiani: penso ai sikh che mungono le vacche per la produzione di Parmigiano reggiano o ai macedoni che raccolgono l’uva per il Barolo. Eppure viviamo di contraddizioni e di mancanza di memoria: la stessa città che nel 2015 ospiterà l’Expo, due settimane fa ha visto sfilare un milione di persone che vorrebbero cacciare gli extracomunitari”. Così Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, in “Te lo do io il made in Italy”, incontro andato in scena al Salone del Gusto di Torino, dove si è affrontato il tema dell’integrazione in agricoltura. “E poi ricordiamoci che il nostro Paese è figlio del meticciato - ha aggiunto Petrini - pensiamo alla cucina tradizionale: la pasta col pomodoro è quanto di più italiano ci sia, ma la pasta è nata in Oriente e il pomodoro nelle Americhe; polenta e baccalà è un pilastro della cucina veneta, ma il mais è originario delle Americhe e il baccalà arriva dalla Norvegia... Insomma, un Paese che è cresciuto grazie al meticciato non può averne paura. E ricordiamoci quando gli immigranti eravamo noi: 24 milioni tra il 1880 e gli anni Trenta del Novecento. Senza dimenticare i troppi italiani morti in incidenti navali nel tentativo di arrivare in America, proprio come avviene adesso con i barconi che sbarcano sulle nostre coste”.
Grande preoccupazione è stata espressa da Susanna Camusso, Segretario generale della Cgil, a proposito della parziale secretazione del nuovo trattato commerciale con Usa e Canada, con il Tribunale delle Imprese che punta a scavalcare le leggi dei singoli Paesi a favore delle grandi multinazionali. “Da una parte c’è l’intolleranza, il razzismo, dall’altra abbiamo affidato agli immigrati prima la nostra vita, la nostra morte, con le babysitter e le badanti, e oggi affidiamo loro il nostro cibo. Bisogna rompere con l’idea di cacciare i migranti, dobbiamo piuttosto cacciare via chi ha lucrato sulla loro pelle. E se vogliamo fare un discorso meramente economico, beh, senza gli immigrati il nostro Pil scenderebbe dell’11%. Ci sono alcune soluzioni che dovrebbero essere affrontate subito. In primis, migliorando le loro condizioni di vita. Sappiamo benissimo quali sono le zone in cui si concentrano i raccoglitori stagionali: possibile che non si possano rendere più vivibili quei luoghi senza che, anno dopo anno, si finisca col porsi il problema delle baraccopoli o delle tendopoli? Secondo, completando la legge sul caporalato: bisogna introdurre la corresponsabilità dell’azienda, perché è praticamente impossibile che non sappia quali sono le condizioni dei suoi braccianti. Bisognerebbe poi che fosse introdotta per il conferimento dei marchi etici anche la variabile della correttezza nei rapporti di lavoro. Infine, sarebbe il caso di finirla con la favola secondo cui un mercato del lavoro con meno regole aiuta l’economia: l’agricoltura è lì a dimostrare che non è vero”. Gli esempi virtuosi di integrazione di stranieri nelle comunità italiane, anche grazie all’agricoltura, come ricordato da Petrini, di certo non mancano. Ma, “a fronte di esempi virtuosi, troviamo purtroppo, a Nord come a Sud - ha aggiunto Lorenzo Trucco, Presidente dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione - gravi violazioni dei diritti dei braccianti, simili allo schiavismo: orari spropositati, salari ridicoli, precarie condizioni igieniche e abitative. Il lavoratore subisce grossi ricatti ed è impossibilitato a far valere i propri diritti. Una soluzione? Svincolare la perdita del lavoro dalla revoca del permesso di soggiorno. Inoltre, sarebbe ora che la Direttiva Europea 52 fosse recepita per intero, comprendendo l’obbligo di informare i lavoratori dei loro diritti”.
Lungo e appassionato l’intervento di Yvan Sagnet, tra i protagonisti della rivolta contro il caporalato a Nardò (Lecce) nel 2011 e oggi Coordinatore regionale per l’immigrazione Flai Cgil Puglia. Dopo aver ripercorso la terribile esperienza da bracciante sfruttato, ha raccontato qual è la realtà attuale: “su 1400 aziende controllate, è risultato che il 40% ha qualche forma di illegalità, percentuale che sale al 50% se si fanno rientrare anche quelle che pagano pochissimo i dipendenti. Ci sono poi molte zone di lavoro grigio di cui si parla poco: visto che per avere diritto alla previdenza sociale bisogna lavorare almeno 51 giorni, molti imprenditori aggirano questa regola truccando i registri delle presenze o mandando via prima i lavoratori. Di recente Confindustria ha espulso in Sicilia alcune aziende che non rispettano i diritti dei lavoratori, mi piacerebbe che anche Coldiretti facesse lo stesso”.

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