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“Territorio” non è garanzia di qualità dei vini che ci vengono prodotti, soprattutto in annate difficili come la 2014. Non da solo, almeno, e senza la professionalità delle cantine, per enologi, uomini di marketing e critica, sentiti da WineNews

Territorio, il mantra degli ultimi anni del mondo del vino. Perché “non si vende un vino senza il suo territorio”, “una bottiglia racconta il suo territorio”, e via dicendo. Come se il territorio, in astratto, fosse garanzia di prodotto di qualità, qualche che sia l’etichetta o il produttore. Eppure, proprio in annate complesse come la 2014, questo concetto viene in qualche modo messo in crisi. Basta girare tra le vigne di qualche territorio tra i più importanti, ad esempio, per verificare la diversa sanità delle uve in vigneti anche vicini tra loro, ma lavorati con approcci professionalità diverse. Sanità che, ovviamente, non è di per sé garanzia di uva eccellente, ma un prerequisito fondamentale.
Ma, alla luce di questa riflessione, forse banale, ma che torna di attualità, è davvero corretto e possibile continuare a parlare di “territorio” come garanzia di qualità, se non si alza, in qualche modo, l’asticella dell’approccio alla produzione, pur nel rispetto della libertà di azione e di impresa di ogni produttore? Sul tema, in qualche modo, si era già pronunciata, suscitando reazioni contrastanti, Valéry Michaux, direttrice della ricerca alla Neoma Business School di Rouen (nata dalla fusione tra la Rouen Business School e la Reims Management School, istituto che trovare le sue radici proprio nella “capitale” di uno dei territori più importanti del mondo, la Champagne), che più che di “territorio”, ha sostenuto, si dovrebbe parlare di effetto “cluster”, perché non sono tanto il suolo e il clima, due elementi ovviamente fondamentali ma da soli insufficienti, a determinare di un territorio viticolo, ma la concentrazione di competenze di vario tipo (agronomiche, viticole, enologiche, di marketing e così via), a fare il successo di una denominazione o di un territorio.
“Il territorio è fondamentale - commenta a WineNews Riccardo Cotarella, il più celebre degli enologi italiani - ma lo è altrettanto la professionalità di chi conduce i vigneti e lavora in cantina. Chi è convinto che un vigneto in un certo territorio produce da solo grandi bottiglie di vino si sbaglia. Il territorio da solo non garantisce una qualità costante, se non lavori bene è come una nave senza bussola. E quindi chi lavora senza professionalità, e produce male, prima danneggia se stesso, poi il territorio e le altre cantine, perché anche un’azienda seria, senza il territorio alle spalle, è più debole sul mercato”.

Sulla stessa linea di pensiero Giuseppe Caviola, uno dei più affermati enologi piemontesi ed italiani, che precisa: “il territorio è fondamentale, ma come garanzia di qualità è giusto parlarne solo in realtà che hanno una storia e una tradizione alle spalle, tali da che consentire di parlare di terroir. Concetto in cui i francesi, non a caso, mettono l’importanza della mano dell’uomo. E, soprattutto in annate difficili come questa, è il vignaiolo che fa la differenza. Il “territorio” in quanto tale, da solo, i miracoli non li fa, serve l’esperienza e la professionalità di chi ci lavora. Sono due aspetti ugualmente importanti. E a volte, infatti, quando anche un territorio importante non è gestito bene, poi non tornano i conti”.

Se questo è il parere della parte “tecnica”, come la pensa chi si occupa di marketing e comunicazione dei territori? ““Territorio” è una parola densa di significati e che, proprio per questa sua ricchezza espressiva, è usato con grande elasticità: qui la sua forza, ma anche la sua debolezza”, spiega Alberto Mattiacci, Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese alla Sapienza di Roma, nonché segretario generale Società Italiana Marketing e direttore Scientifico Eurispes.

“Diciamoci innanzitutto che il nome e l’immagine di un territorio - aggiunge Mattiacci - non possono fungere da brand. Usare il brand come strumento competitivo è una operazione sofisticata, che richiede conoscenze tecniche e capacità gestionali che normalmente non vi sono nelle organizzazioni che governano i territori, Consorzi inclusi. L’espressione geografica territoriale che troviamo nelle Denominazioni, perciò, è affidabile per generare awareness : crea notorietà (pensiamo a Scansano in Toscana, per esempio) e consapevolezza identitaria (si sa che a Scansano si fa del vino rosso). Può contribuire a creare anche immagine, ma poi è al brand aziendale la capacità di confermarla con propri prodotti e attività. In un medesimo territorio ben noto e di buona reputazione generale possono convivere perciò brand che maturano un’immagine positiva, così come negativa, attraverso le cose che fanno.
Una vendemmia come questa, perciò, è una straordinaria opportunità per i produttori che sanno fare branding, e allo stesso tempo uno straordinario problema per la denominazione. I primi possono stressare la loro capacità di governar un territorio favorevole, facendo qualità anche in circostanze avverse; i secondi devono stimolare le aziende a migliorarsi per non rovinare la reputazione e lo standard della denominazione. Io penso che si siano vissuti anni, se non decenni, conclude Mattiacci, nei quali il territorio è stato usato, e talvolta abusato, senza la consapevolezza della sua rilevanza e ruolo. Oggi abbiamo l’occasione per imparare ad usarlo come leva di marketing, senza il fraintendimento di fondo che un territorio da solo basti, e che sia un brand”.

“I territori non sempre sono una garanzia di qualità - aggiunge Gabriele Micozzi, docente di marketing all’Università Politecnica delle Marche - perché i vini sempre più sono fatti in cantina attraverso la fantasia creativa di winemaker che riescono a modellare le uve di partenza con grande competenza e sempre maggiore tecnologia. Ma, allo stesso tempo, se vogliamo guardare con fiducia il futuro, i territori devono diventare firma di qualità, questo è imprescindibile. Perché i territori sono il primo fattore di scelta del vino, secondo un’indagine che sto completando, e soprattutto perché i territori, se valorizzati in un sistema progettuale differenziato, saranno l’unico capitale che proteggerà la nostra identità e il nostro futuro”.

E la voce di chi il vino, e di conseguenza il territorio, lo giudica? “Il territorio da solo, in annate come questa in particolare, non garantisce un bel niente, è la classica vendemmia nella quale emergono i vigneron che sanno lavorare bene”, spiega Enzo Vizzari, curatore delle Guide de L’Espresso. Che aggiunge: “in condizioni normali, il territorio è sempre una garanzia di un certo tipo di prodotto rispondente a certe caratteristiche, ma non una garanzia assoluta di un certo livello di qualità. E, in ogni caso, non è un ombrello contro le cattive annate”.

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