Se è vero che uno dei punti di forza del vino italiano è la varietà e la peculiarità dei suoi vitigni e delle sue denominazioni, è altrettanto vero che il mercato dei grandi numeri, soprattutto all’estero, a volte ha bisogno di cose più facilmente identificabili. Ed in questo senso vanno le cosidette “Doc di Città”, come il caso della Doc Venezia o della Doc Roma. La prima, già tutelata dal Consorzio Vini Venezia (www.consorziovinivenezia.it), che tra le tante attività ha anche investito in ricerca sulla viticoltura della Laguna, ed in particolare a Torcello, dove è stato piantato un vigneto sperimentale con tutte le varietà di vite ritrovate nella laguna, in un progetto che prevede la creazione di un vigneto nel giardino del Convento dei Carmelitani Scalzi di Venezia e la produzione di un vino dallo stile simile a quello che si faceva a Venezia nel 1600, come ha spiegato a WineNews il professor Attilio Scienza. La seconda, messa in bottiglia, tra gli altri, da Filippo Antonelli, produttore in Umbria con Antonelli San Marco, e nel Lazio con Castello di Torre in Pietra (www.castelloditorreinpietra.it), che che produce un rosso da uve prevalentemente Montepulciano, secondo il disciplinare della nuova Doc Roma. E che spiega: “il richiamo alla Città eterna per i winelover oltreoceano è smisurato. Sono certo che la nuova Doc possa funzionare, anche perché basata su un disciplinare di produzione molto rigoroso”.
Insomma, uno strumento, quelle delle denominazioni del vino legate a città-simbolo dell’Italia nel mondo, che pare funzionare sui mercati mondiali. E chissà che dopo Venezia e Roma, non ne arrivino presto altre.
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