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Langhe, anni ’80, Elio Altare scende in cantina e con la motosega demolisce le vecchie botti. È la scintilla della rivoluzione tra patriarchi e “modernisti” che farà del Barolo una star. In uscita il docu-film “Barolo Boys, storia di una rivoluzione”

Italia
La locandina di Barolo Boys

Una storia che inizia nel Risorgimento, con i suoi personaggi più famosi, da Carlo Alberto a Cavour, attraversa il ’900 con la nascita di importanti aziende di vinificazione e una cerchia di mediatori, sensali, acquirenti e venditori, e, solo dopo, il contadino che coltiva il Nebbiolo, e un Barolo che non si vende. Questa la premessa della rivoluzione: Langhe, anni ’80, la scintilla scatta quando Elio Altare, leader dei “modernisti”, scende nella cantina del padre e con una motosega demolisce le vecchie botti. Sarà diseredato dal padre, ma il suo gesto simboleggia lo spartiacque dell’epopea barolista, con l’introduzione delle barrique, al posto delle esauste grandi botti in legno, e i primi diradamenti in vigna. E Altare non sarà da solo.
“Barolo Boys. Storia di una rivoluzione” è il docu-film che, dopo due anni di riprese tra vigne e cantine, arriva al cinema (il 26 settembre, presentazione a Eataly Torino, e il 30 l’anteprima al Cinema Fratelli Marx di Torino; www.baroloboysthemovie.com), una produzione indipendente della Stuffilm di Bra (Cuneo) del regista Paolo Casalis e Tiziano Gaia, già curatore delle guide Slow Food-Gambero Rosso, che racconta la storia dei “ragazzi ribelli”, quella generazione di contadini di Langa, che, praticamente sconosciuta fino alla fine degli anni ’80, ha cambiato modo di interpretare e comunicare il più famoso vino rosso piemontese, diventando star incontrastata per tutti gli anni ’90 (così ribattezzati dalla stampa americana) e consolidando il successo barolista sui mercati di tutto il mondo fino ai giorni nostri (oggi il loro territorio è tra i Patrimoni Mondiali dell’Umanità Unesco) tra conflitti generazionali con i patriarchi, geniali intuizioni e polemiche mai sopite. Qualche nome? Chiara Boschis, Marc De Grazia, Giorgio Rivetti, Roberto Voerzio, Luciano Sandrone, Domenico Clerico, Giovanni Manzone, Enrico Scavino, Renato Cigliuti, Roberto Damonte. E tanti altri. Con la partecipazione di Carlin Petrini e Oscar Farinetti, e una voce narrante d’eccezione: Joe Bastianich.
Che cosa resta di quell’esperienza? Chi sono e che cosa fanno, oggi, i “Barolo Boys”? A raccontare la storia e ripercorrere quegli anni rivoluzionari sul grande schermo sono loro stessi, tra le Langhe, le Cinque Terre e l’Etna: ci sono anche i vigneron Alessandro e Bruno Ceretto, Lorenzo Accomasso, Gianpiero Cereda, Marta Rinaldi e Davide Rosso, con l’enologo Beppe Caviola, Giuseppe “Citrico” Rinaldi, il critico Giancarlo Gariglio, l’importatore David Berry Green e persino la squadra di calcio Asd Barolo Boys Monforte, passando per personaggi come Maggiore Vacchetto detto Maggiorino, potatore vinicolo, e la Banda di La Morra.
E dopo la prima in Italia, il 3 e 4 novembre, a quasi 30 anni dal primo storico viaggio, i “Barolo Boys” torneranno a New York per presentare il docufilm - una produzione sostenuta da Piemonte Doc Film Fund, Fondo Regionale per il Documentario e Parco Culturale Piemonte Paesaggio Umano, con il patrocinio di Slow Food Italia e il supporto di Eataly Media - sulla loro storia, Al Cinema Tribeca Grill di Robert De Niro, a Casa Zerilli-Marimò e a Eataly New York. Accanto alla partecipazione a festival cinematografici come il Kinookus Film Festival a Dubrovnk in Croazia, il Festival Corto e Fieno di Ameno (Novara) ed il Wine Country Film Festival a Sonoma in Californa, dove il film è in concorso.

Focus - “Barolo Boys. Storia di una rivoluzione”: il vino ancora protagonista al cinema, tra finzione e realtà
La storia vera
La storia del Barolo non è datata come quella della Borgogna. L’epopea di questo vino e del suo vitigno-padre, il nebbiolo, affonda le radici in pieno Risorgimento italiano e ha per protagonisti alcuni dei personaggi più in vista del periodo, Carlo Alberto e Camillo Cavour su tutti. Nel Novecento fioriscono importanti aziende di vinificazione. Non sono ancora le cantine di oggi, sono piuttosto ditte che acquistano ingenti quantitativi di uva dai contadini e la vinificano, immettendo sul mercato vini col proprio marchio. Intorno a loro si muove una cerchia di mediatori, sensali, acquirenti e venditori, fino ad arrivare al “particolare”, il piccolo contadino senza voce in capitolo. Resta un mondo chiuso. E il Barolo non si vende. Commercialmente parlando, negli anni ’70 non si va oltre le mille lire al litro e spesso nelle cascine si omaggia una bottiglia di Barolo al cliente che abbia comprato una damigiana di Dolcetto. Bisogna attendere un’irripetibile serie di coincidenze per vedere il Barolo spiccare il volo oltre i confini di Langa ed entrare nel novero dei grandi vini internazionali. Due i gesti simbolici ed eclatanti che segnano uno spartiacque: i primi diradamenti in vigna (il taglio estivo dei grappoli per consentire una migliore maturazione dei frutti rimasti sulla pianta) e l’introduzione in cantina della piccole botti di rovere francese (le barrique). Dietro questa svolta radicale ci sono i “Barolo Boys”, così chiamati dalla stampa americana che, nei primi anni ’90, scopre i loro vini e li adotta, trasformando i loro artefici in star riverite e corteggiate. Il nuovo Barolo è un concentrato di colore scuro, una bomba di frutto al naso e in bocca sostituisce i tannini dell’uva con quelli della barrique: il mercato impazzisce, è la fine di un’epoca, ed è tutt’altro che indolore. Alcuni dei protagonisti di questa rivoluzione pagano le loro scelte estreme con la scomunica da parte dei patriarchi. Superato lo shock iniziale dovuto alla novità, il fronte dei “tradizionalisti” si ricompatta e tra le due visioni del Barolo, una più classicheggiante e legata a una certa idea di identità, l’altra sfacciatamente aperta a ogni possibile sperimentazione e miglioria tecnica, scoppia la più originale delle guerre ideologiche. E quelli che seguono sono, in ogni caso, anni di escalation inarrestabile: successo, fama e ricchezza arrivano sulle colline che furono della malora e dell’abbandono; poi, negli anni Duemila, questioni ambientali, tecniche ed etiche irrompono ancora una volta nel dibattito e mettono a dura prova lo spirito di squadra e l’entusiasmo travolgente dei primi tempi.
La trama del film
Langhe, Piemonte meridionale, 1983. Elio Altare, un giovane contadino stanco delle proprie misere condizioni di vita, scende nella cantina del padre e con una motosega demolisce le vecchie botti per l’affinamento dei vini. È la scintilla che appicca il fuoco rivoluzionario sulle colline del Barolo, dove una nuova generazione di piccoli produttori, partiti con scarsi mezzi e animati da un inedito spirito di squadra, andrà alla conquista dei mercati di tutto il mondo. Questo gruppo passerà alla storia col nome di “Barolo Boys”: Elio Altare, Chiara Boschis, Giorgio Rivetti, Roberto Voerzio e Marco de Grazia sono alcuni dei i protagonisti di questa storia di coraggio e determinazione.
Ma è anche una storia controversa e difficile: per anni una feroce guerra ideologica li ha visti contrapporsi alla generazione dei patriarchi, fieri oppositori delle novità introdotte dai figli ribelli della Langa; lo stesso Elio Altare, leader dei “modernisti”, sarà diseredato dal padre. A distanza di quasi trent’anni, che cosa resta di quell’esperienza? E più in generale, come domanda uno dei protagonisti de film, “Quale rivoluzione ha mai avuto successo?”. “Barolo Boys. Storia di una rivoluzione” traccia la parabola, breve ma intensissima, di un gruppo di produttori che ha cambiato in modo indelebile il mondo del vino.

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