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Il caso Toscana: secondo il Piano di Indirizzo Territoriale troppo vigneti, spesso intensivi e a monocultura, che mettono a rischio il Paesaggio. Insorge il mondo del vino. Busi, presidente Consorzio Vino Chianti: “piano sbagliato e anacronistico”

Italia
Un paesaggio della Toscana

L’immagine della Toscana, una delle regioni più importanti del vino in Italia e nel mondo, è indissolubilmente associata alla bellezza dei suoi paesaggi vitati. Basta pensare al celeberrimo “Chiantishire”, ma anche ai vigneti che pettinano le colline di Montalcino e Montepulciano, la Maremma con il Morellino, Bolgheri e così via. Quasi ovunque, per altro, vicino a boschi e oliveti. Ma da qualche parte, secondo il Piano di Indirizzo Territoriale della Regione, approvato dal Consiglio Regionale in luglio (e che vale anche come Piano Paesaggistico), questi vigneti sono troppi, troppo intensivi e tendenzialmente monocolturali, e rappresentano un rischio da un punto di vista morfologico e idrogeologico, oltre che, in qualche modo, un rischio di deriva storica del paesaggio.
Insomma, il Piano della Regione, piuttosto rigido in certe valutazioni e parametri rispetto ad altri strumenti analoghi a livello nazionale, vorrebbe, a tavolino meno vigneti e più pascoli e boschi, per dirla in maniera brutale, limitando la possibilità di nuovi impianti di vigna, e apre alla prospettiva di riconvertire, in parte, “per legge”, vigneti già esistenti ad altro tipo di attività agricola.
Una valutazione clamorosa, per un Regione che, da sola, esporta quasi il 20% del totale del vino italiano in valore (750 milioni di euro su 5 miliardi) e che, ovviamente, trova l’opposizione di Consorzi e associazioni di categoria. E che, per la verità, pare non convincere appieno neanche l’Assessore all’Agricoltura della Regione, Gianni Salvadori.
“Un piano anacronistico e sbagliato”, lo bolla senza mezzi termini Giovanni Busi, presidente del Consorzio Vino Chianti, il più grande della Regione. “Sbagliato perché rilancia un modello di agricoltura vecchio e non competitivo, bloccando, se attuato nelle sue direttrici, lo sviluppo dell’agricoltura di qualità, che pure è parte integrante e decisiva del Pil toscano. Sbagliato perché viziato da pesanti pregiudizi ideologici che rischiano di confinare la nostra agricoltura e, in particolare, la stragrande maggioranza del comparto vitivinicolo, in un ghetto residuale e di carattere quasi esclusivamente “museale””.
A Busi, in particolare, non piace proprio l’approccio del Piano: “non può essere la politica a dire cosa deve fare un’impresa agricola - spiega a WineNews - che è la prima ad avere interesse, peraltro, nella salvaguardia, conservazione e valorizzazione del territorio. Sono le imprese agricole con conservano il paesaggio. Il vigneto è il bello della Toscana, ora non ci si può sentire dire, di punto in bianco, che da qualche parte è troppo e mette a rischio il territorio. Senza contare l’aspetto economico: quella legata al vino è un’agricoltura che crea reddito e occupazione. È utopistico e sbagliato pensare di sacrificarla, in parte, per recuperare, per esempio, pascoli a cui poi nessuno sta dietro. o che difficilmente creano ricchezza. In Francia una cosa simile non si potrebbe neanche ipotizzare. È follia pura. È un piano che non va solo rivisto, va proprio bloccato”.
E di tempo ce n’è poco: fino al 20 settembre per presentare delle osservazioni, prima del via libera definitivo. Ma qualcosa, sicuramente succederà, visto che la cosa preoccupa tutti, e anche il Consorzio di quella che forse è al denominazione più prestigiosa della Regione, il Brunello di Montalcino che, secondo alcune stime, vedrebbe a rischio riconversione quasi 400 ettari di vigneto. Al punto che il Consorzio stesso ha inviato una lettera la Presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, in cui “manifesta forti perplessità all’attuazione del Pit. Tale Piano, infatti, non solo sconvolgerebbe il tessuto economico del territorio di Montalcino, che è in connubio viscerale ormai da secoli con quello paesaggistico, ma renderebbe vani tutti gli sforzi intrapresi fino ad oggi e che hanno reso celebre il nostro territorio in tutto il mondo. Tutti i produttori sono convinti, infatti - si legge ancora - che la forza della loro economia (e quella di tutto l’indotto toscano) è data dall’unione di tre elementi imprescindibili l’uno dall’altro, Montalcino, i suoi vini, il suo paesaggio, e per questo trattati con la massima cura e rispetto, come riconosciuto dall’Unesco. La invitiamo pertanto a Montalcino per un incontro sull’argomento e per verificare con mano ciò che è stato fatto fino ad oggi sul nostro territorio”.
Intanto, nei giorni scorsi, è stato l’assessore all’Urbanistica, Pianificazione del Territorio e Paesaggio Anna Marson, a cercare di puntualizzare e smorzare i toni: “le vigne fanno parte del paesaggio toscano. Altra cosa - ha dichiarato - sono però i nuovi impianti estensivi, che hanno cancellato luoghi da sempre trattati con mosaici colturali complessi. Poi c’è la potenziale criticità idrogeologica. Ricordiamo che oltretutto il Pit raccoglie direttive, non prescrizioni. E adesso siamo in una fase di osservazione. Ci sono due rischi concorrenti che vogliamo evitare: l’abbandono delle aree marginali e le trasformazioni che non tengano in conto la natura dei luoghi”. Parole che, evidentemente, non hanno coinvolto la filiera del vino. Anche perché il Piano di Indirizzo, peraltro, stabilisce dei principi generali e delle linee guida che poi ogni amministrazione locale si troverebbe a dovere, e potere, interpretare in modi diversi, con il rischio ulteriore di creare una nuova babele burocratica in una delle Regioni del vino più prestigiose ed articolate del mondo.

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