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Nella più grande truffa enoica della storia, non ci sono solo il truffatore ed il truffato, Kurniawan e Koch, ma anche le case d’aste. Come Acker Merrall, che ha deciso di fare un passo indietro, accettando le richieste del collezionista americano

Nella più grande truffa di cui il mondo del vino abbia memoria, non ci sono solo i nomi dei due protagonisti, il falsario di origine indonesiana Rudy Kurniawan ed il collezionista americano Bill Koch, il primo dei frodati. In mezzo, in una posizione più defilata, ci sono le case d’aste, su cui ha puntato l’indice proprio il collezionista di fine wine, determinato a fare “pulizia” e portare in fondo la sua battaglia in difesa dei frodati, investendo, di tasca propria, milioni e milioni di dollari. Un primo risultato arriverà a giorni, il 24 luglio, data della sentenza definitiva, ovviamente di condanna, per Rudy Kurniawan. Ed a “festeggiare”, sempre che ci sia davvero qualcosa da festeggiare, non sarà solo Bill Koch, la lista dei truffati è lunga: da Andrew Hobson, a capo del settore finanziario di Univision, a Reid Buerger, tra i proprietari della finanziari The Coventry Group, da David Doyle, fondatore della Quest Software, a Michael Fascistelli del Vornado Realty Trust, dal wine retailer Mission Fine Wines, a Brian Devine, a capo di Petco Animal Supplies, tutti finiti nella rete di Kurniawan, chi direttamente, chi in aste milionarie, tutti per importi considerevoli.
Ma non è tutto, perché nelle cronache di questi mesi sono finiti anche i nomi di Zachy’s e di Acker Merrall & Condit, che hanno battuto in questi anni, specie nel biennio 2006-2008 centinaia, forse migliaia, di bottiglie contraffatte: la notizia è che Acker Merrall ha deciso di fare un passo indietro, accettando le richieste di Bill Koch, il grande accusatore. La casa d’aste americana, infatti, ha indennizzato Koch (ma la cifra non è stata svelata), e deciso di ritirare dai propri cataloghi tutte le bottiglie su cui gravava ancora qualche dubbio relativo alla reale autenticità, facendole analizzare da esperti e cantine produttrici. Segno che il problema esisteva, e che le case d’aste, nonostante tutto, avrebbero potuto fare qualcosa di più, come sicuramente inizieranno a fare da adesso in poi.

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