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I grandi brand del vino globale producono e vendono, in tutto il mondo, centinaia di milioni di bottiglie ogni anno. Ma quanto “pesano” sui singoli mercati? La risposta, nello studio di Euromonitor International ripreso da Unione Italiana Vini (Uiv)

Italia
I brand che vendono di più nei mercati top del mondo

In diverse occasioni abbiamo “pesato” la forze dei brand del vino a livello mondiale, per numero di bottiglie prodotte o per peso specifico del marchio (conoscibilità, valore), ma qual è il peso specifico sui singoli mercati? A dare una risposta c’è la classifica generale di Euromonitor International, ripresa dal “Corriere Vinicolo”, house orga di Unione Italiana Vini (www.uiv.it), che ha messo in fila le vendite dei diversi brand in sei mercati diversi: Usa, Germania, Canada, Russia, Cina e Brasile.
Negli Stati Uniti, il Paese delle più grandi aziende vinicole del mondo, il mercato è più frammentato di quanto ci si potrebbe aspettare, e solo i primi due superano la soglia del 5% del mercato globale dei vini fermi imbottigliati: Franzia (Wine Group), con il 7,5%, e Barefoot Cellars (Gallo Winery), con il 6,0%. Tra gli italiani, spicca Cavit, con una quota dell’1,2%, che stacca nettamente Riunite (Cantine Cooperative Riunite), allo 0,6%, Bolla (Giv - Gruppo Italiano Vini), allo 0,2%, come Cella (Civ & Civ).
Diversa la situazione in Germania, dove il 52% del mercato è appannaggio delle private label, mentre il 41% se lo spartiscono i piccoli, con i brand più famosi “costretti” ad accontentarsi del 7% del mercato. Così, la quota maggiore è quella dal marchio Domkellerstolz (Peter Mertes KG Weinkellerei), l’unico, con l’1,1%, a superare, eppur di un soffio, il punto percentuale di share. Gallo sul mercato teutonico deve accontentarsi di un misero 0,7%, che permette comunque al brand Usa di raggiungere la seconda posizione, mentre per il Belpaese c’è un’etichetta dal nome eloquente, Toscanello, al terzo posto (0,3%), ma di proprietà di un gruppo tedesco, Privatkellerei Franz Wilhelm Langguth Erben GmbH & Co KG.
Più interessante, specie visto da qui, il Canada, caratterizzato da una frammentazione molto simile a quella del mercato Usa, ma senza grandi exploit, visto che in testa c’è Jackson Triggs (Constellation Brands), con una quota solamente del 2,7%, seguito da un’etichetta argentina, Fuzion (La Agricola), con il 2,2% di share, e da un brand canadese, Domaine d’Or (Andrew Peller), a quota 1,8%. Le buone notizie per il vino tricolore arrivano solo qualche gradino più in basso, con Masi che copre l’1,1% del mercato, e Ruffino, con una quota dello 0,5%.
In Russia, nonostante le grandi potenzialità, i brand più famosi fanno a dir poco fatica: i primi 20, perlopiù russi o georgiani, sconosciuti anche ai conoscitori più fini, non arrivano a rappresentare neanche il 20% del mercato, il restante 80,5% è in mano a d altre centinaia di piccoli marchi, e di nomi noti non vi è traccia, ad eccezione dello spagnolo Dom Yago, del Bodegas Valdepablo.
A trazione autoctona anche la Cina, che in cima alla classifica piazza le due aziende più importanti del Paese, entrambe con una quota del 3% del mercato: Great Wall (China National Cereals. Oils & Foodstuffs) e Changyu (Yantai Changyu Group). Primo marchio non cinese, allo 0,4%, Vieux Papes, della francese Castel Group.
In Brasile, tra i marchi più forti del mercato, troviamo ai primi cinque posti altrettanti brand verde-oro: Sangue de Boi (Cooperativa Vinícula Aurora) controlla il 3,7% delle vendite, quindi Chalise (Vinhos Salton SA Indústria e Comércio), con uno share del 3,4%, e ancora Marcus James (Cooperativa Vinìcula Aurora) al 2,3%, Miolo e Almadén (entrambe della Vinícola Miolo), rispettivamente all’1,9 e all’1,4% delle vendite. Dietro, la prima etichetta straniera, la cilena Santa Helena (Cía Cervecerías Unidas), con l’1,2% delle quote di un mercato dominato, come in Russia ed in Cina, dai brand minori, che valgono l’80% del mercato.

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