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“Le banche guardano sempre di più all’agroindustria, sia perché l’industria classica è andata in crisi, sia perché l’agricoltura è uno dei settori chiave per l’uscita dalla crisi dell’Italia”. A WineNews, l’ad di Banca Mps, Fabrizio Viola

Italia
Fabrizio Viola, ad Banca Mps

Le banche, negli ultimi tempi, guardano con sempre maggiore interesse all’agricoltura, soprattutto se si fa il confronto con gli ultimi 10 anni. Una “moda del momento”, legata la fatto che quello dell’agroalimentare è uno dei settori che ha meglio assorbito il passaggio della crisi, trasformandola spesso anche in occasione di crescita, o c’è qualcosa di più? A WineNews, risponde Fabrizio Viola, ad Banca Mps, uno dei più importanti istituti di credito del Belpaese, e che si sta rialzando dalla crisi complessiva e interna che ha attraversato negli ultimi anni.
“Il motivo di interesse è duplice: da un parte c’è un settore industriale che ha subito una crisi profonda, lunga e strutturale, e che ha messo in crisi anche comparti maturi e molte aziende di dimensioni anche rilevanti; dall’altra, un settore agroindustriale che, pur non immune dalla crisi, ha retto, e credo che in questa riscoperta dell’agroindustriale da parte del mondo bancario ci sia anche un pò il senso del percorso di rilancio del Paese. Senza dire banalità, credo che l’Italia, prima ancora di cercare sbocchi industriali innovativi, deve valorizzare quello che ha in casa e che nessuno gli può portare via che è l’agricoltura, i territori e il turismo”.
Quindi, non sarà un fenomeno effimero ...
“No. C’è il bisogno, anche da parte della banche, di identificare dei settori che possano avere maggiori potenzialità, e l’agroindustria - e in questo ci ho creduto anche in altri momenti professionali della mia carriera - è sicuramente uno di quelli su cui bisogna puntare a prescindere dal momento contingente”.
Quindi, dopo anni in cui si è puntato sulla new economy, anche le banche tornano a guardare alla old economy?
“La new economy è qualcosa che non deve essere demonizzata, ne oggetto di bolle speculative, perché abbiamo visto cosa è successo nei primi anni del 2000. Ma credo che la new economy possa ben convivere anche con la old economy, soprattutto quando entrambe sono sane. Se entrambe stanno bene, si basano sul mercato, e sulle necessità di un cliente che cercano di soddisfare vanno a braccetto molto bene”.
Banca Monte dei Paschi è un istituto con 600 anni di esperienza nel credito. Cosa si cerca, cosa si valuta, oggi, quando si parla di credito per aziende del vino e dell’agroalimentare, che spesso sono piccole?
“Diciamo intanto che per lavorare con il credito nell’agroindustria, e nel vino in particolare, prima di tutto, bisogna capirne. È importante che le banche, a fianco di persone che sanno fare bene i conti con la calcolatrice. abbiano anche tecnici capaci di interloquire con gli imprenditori agricoli, e capire le loro esigenze e le loro potenzialità. I vecchi crediti agrari, per capirci, erano fatti più da periti agronomi che da ragionieri, e questa è la cosa da recuperare. Detto questo, parliamo di aziende in cui spesso c’è un patrimonio fatto dalla terra, e c’è capacità di fare un buon prodotto, che poi si deve confrontare con fatti concreti. Quindi si valuta il fatturato, la capacità di esportare, e la riconoscibilità del marchio che, anche per le aziende piccole, è un valore da guardare con sempre maggiore attenzione”.
Quindi si guarda più conto economico che stato patrimoniale?
“Si guarda all’impresa agricola nel suo complesso, dove il conto economico dell’impresa è certamente un termometro importante, dopo di che bisogna capire se hai davanti un imprenditore credibile, propenso ad investire il suo risparmio. Se l’imprenditore agricolo rinveste il suo ritorno nello sviluppo dell’azienda agricola vuol dire che crede nel progetto, ed è già un grande segnale di fiducia molto rilevante”.
In Italia ci sono poco più di 15 aziende del vino che vanno oltre i 100 milioni di euro di fatturato. Cosa può offrire una banca come Monte dei Paschi? La Borsa può essere un punto di arrivo, oppure i tempi della natura non sono compatibili con quelli della borsa, come dicono alcuni?
“Condivido questa ultima affermazione, perché purtroppo uno dei mali della borsa è che c’è un approccio troppo sul breve termine, anche nella gestione dell’azienda, e questa è una cosa che non si può coniugare con un attività industriale nel campo agricolo. Credo che la borsa debba essere vista come uno strumento per crescere ed aumentare la patrimonializzazione, ma non è l’unico: ci sono anche altre formule per trovare risorse finanziare, dagli investitori istituzionali al private equity, dove magari è più facile far capire ad investitori le potenzialità di un azienda, e creare rapporti più fluidi e meno complicati. Perché la quotazione in borsa è, oggettivamente, un qualcosa che genera complessità che spesso un imprenditore agricolo non è disposto a gestire”.

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