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La percezione dei sapori non avviene in bocca, ma nel cervello. A dirlo è la neurogastroenologia, una disciplina tutta da esplorare, che ha ispirato uno studio sul vino del Dipartimento di Scienze Neurologiche dell’Università di Verona

Italia
Dalla neurogastroenologia, le risposte sui segreti della degustazione del vino

Se qualcuno ci chiedesse quale è il senso grazie al quale godiamo dei piacerei della tavola, risponderemmo senza pensarci troppo su: il gusto. Sbagliato. O meglio, inesatto. Innanzitutto, l’80% del gusto dipende dall’olfatto. Quando mettiamo in bocca un cibo o una bevanda, infatti, molte delle molecole volatili presenti si staccano e si disperdono nell’aria, all’interno della bocca, raggiungendo la cavità nasale e l’epitelio olfattivo, attivando in tal modo i recettori olfattivi. A dircelo è la neurogastronomia, lo studio della percezione dei cibi che avviene, in realtà, nel cervello, una disciplina ancora tutta da esplorare, che stimola la ricerca delle università di tutto il mondo. Come il Dipartimento di Scienze Neurologiche dell’Università degli Studi di Verona, che, all’argomento, ha dedicato uno studio legato al lavoro del neurobiologo americano Gordon Shepherd, che spiega come le sensazioni recepite degli organi di senso inviano dei messaggi elettrici, il linguaggio del nostro sistema nervoso, a centri di elaborazione successivi fino alla corteccia cerebrale, dove ci sono delle aree che mettono insieme le varie sensazioni ricevute restituendoci la percezione del gusto che, in realtà, è appunto una vera e propria creazione del nostro cervello.
Ma se giudichiamo l’odore e il gusto di un vino, il nostro giudizio cambia se quel vino non lo possiamo vedere? E se a degustarlo è un esperto sommelier o una persona che esperta di vini non è fa la differenza? Sono le domande, ancora in attesa di una risposta definitiva, che hanno ispirato la degustazione al buio, guidata dai ricercatori del Dipartimento di Scienze Neurologiche dell’Università di Verona, con l’aiuto dell’associazione “Le Famiglie dell’Amarone” (che raccoglie le famiglie storiche della Valpolicella: Allegrini, Begali, Brigaldara, Masi, Musella, Nicolis, Speri, Tedeschi, Tenuta Sant’Antonio, Tommasi, Venturini, Zenato).
Di certo, l’olfatto è il senso principale della degustazione enoica: sono le sostanze volatili, infatti, la parte fondamentale che ci fa apprezzare o meno il vino. Le note fruttate e tutte le altre specifiche note sono proprio ed esclusivamente dovute all’olfatto, infatti, i sommelier prima di tutto portano il vino al naso prima di metterlo in bocca, dove poi c’è l’effetto vero e proprio delle molecole che qui raggiungono l’epitelio olfattivo. Eppure, in un mondo dei sensi in cui l’evoluzione del cervello umano sembra aver privilegiato la vista, ma il gusto e l’olfatto sono stati fondamentali per la nostra evoluzione, a partire dal linguaggio, passando per la cucina, che è andata di pari passo con l’evoluzione del cervello, e chissà chi è venuto prima. In tutto questo si innesta la complessità del vivere sociale e naturalmente anche il concetto di cultura, ambiti in cui il cervello è comunque protagonista, perché la cultura, di cui la gastroenologia fa parte, utilizza le capacità del nostro cervello.

Focus – “Mangiamo e beviamo con il nostro cervello” di Marina Bentivoglio, Direttore del Dipartimento di Scienze Neurologiche e del Movimento dell’Università di Verona
Quando l’uomo ha iniziato a cucinare e a utilizzare i prodotti della vigna lo ha fatto perché con l’evoluzione del cervello è stato capace di utilizzare al meglio l’ambiente. Non solo ai fini di ottenere energia, ma anche di soddisfare e nutrire il suo importantissimo sistema della gratificazione.
Ecco allora che nel nostro cervello tutti i giorni facciamo la spesa, ecco che nel nostro cervello tutti i giorni utilizziamo la spesa. Dal 10 all’11 luglio, Verona è capitale della Neurogastronomia che comprende senz’altro la Neuroenologia, facendo dialogare, in modo veramente trasversale, coloro i quali sono sul campo per la ricerca, per la produzione e per individuare le mille soluzioni dei nostri consumi giornalieri e del nostro piacere. Iniziativa congiunta del Dipartimento di Scienze Neurologiche e del Movimento, diretto da Marina Bentivoglio, e del Dipartimento di Biotecnologie, diretto da Giovanni Vallini, che l’Università di Verona si pone come reale punto di incontro con il suo territorio unendo poli di eccellenza della ricerca e del settore enogastronomico.
Nel mondo dei sensi nel quale l’evoluzione del nostro cervello umano sembra aver privilegiato la vista, il gusto e l’olfatto sono stati per anni una cenerentola. Le scoperte che vanno dall’infinitamente piccolo (le molecole protagoniste dei meccanismi recettoriali) all’infinitamente grande, sappiamo oggi non solo le strade che questi segnali percorrono, ma anche il loro intersecarsi con le emozioni, con la coscienza, con l’interazione con l’ambiente, con la memoria, in un emozionante itinerario che pone la persona al centro di un universo ricco e pieno di sorprese. Ben lo ha intuito Marcel Proust con il suo noto episodio letterario in cui le Madeleine aprono un intero scenario di ricordi e di integrazioni multisensoriali. Tutti sappiamo il grande potere evocativo degli odori e dei sapori anche perché i centri del cervello che elaborano le informazioni di questi sensi e delle memoria sono molto vicini tra loro. Ben lo sa l’industria dei profumi, ben lo deve sapere l’industria dell’enogastronomia. Ci domandiamo spesso, ed è uno dei grandi quesiti “che cosa ci differenzi dagli animali?”. Naturalmente siamo consapevoli del grande salto compiuto con l’evoluzione del linguaggio, ma è anche vero che gli animali non cucinano e la cucina è andata di pari passo con l’evoluzione del cervello, e chissà chi è venuto prima. In tutto questo si innesta la complessità del vivere sociale e naturalmente anche il concetto di cultura, ambiti nel quale il cervello è comunque protagonista perché la cultura, di cui la Gastroenologia fa parte, utilizza le capacità del nostro cervello.
Uno scenario, quello disegnato fino ad ora, che si interseca anche con grandi problemi della salute del nostro tempo, ad esempio l’obesità diventata una vera epidemia, ed è solo con un dialogo altamente interdisciplinare che possiamo affrontare tutti insieme questi problemi. Un crocevia in cui si innesta la spinta biologica alla sopravvivenza e in parte anche alla riproduzione, il vivere sociale, l’utilizzo delle risorse dell’ambiente, la cultura nel suo insieme.
Le ricerche sulla Neurogastronomia, condotte anche nell’ateneo di Verona (il gruppo di ricerca è guidato da Andrea Sbarbati), hanno portato a scoprire che abbiamo chemorecettori lungo tutto il canale alimentare e che tali canali servono a riconoscere e aiutare l’assorbimento dei cibi utili.

Focus - “Neuroscienza e Gastonomia, quale legame?” di Anna Menini, Ordinario di Fisiologia della Scuola Internazionale di Studi Superiori Avanzati di Trieste
Che cos’è la neurogastronomia?
Quello che noi comunemente chiamiamo gusto in realtà non è il gusto che ha a che fare con le papille gustative della lingua ma è quello che in inglese tipicamente viene chiamato flavour. In italiano, forse, si può usare la parola sapore anche se non rende del tutto l’idea, per questo tendo a usare sempre flavour. Di questo flavour, dunque, l’80% dipende dall’olfatto. Quando mettiamo in bocca un cibo o una bevanda, infatti, molte delle molecole volatili presenti si staccano e si disperdono nell’aria, all’interno della bocca, raggiungendo la cavità nasale e l’epitelio olfattivo, attivando in tal modo i recettori olfattivi. Un esempio molto semplice è il fatto che se si mette in bocca una caramella alla frutta, tappandosi il naso non si sentirà il sapore della caramella ma si sentirà solamente il dolce. Sicuramente nel momento in cui si liberano le cavità nasali, le molecole tipiche del flavour della frutta si liberano, raggiungono la cavità nasale e allora si sente il sapore, il flavour. Un altro esempio è il raffreddore: quando uno è raffreddato non sente i sapori perché le molecole non possono raggiungere l’epitelio olfattivo. Quindi, l’olfatto è molto importante ma sono importanti anche gli altri sensi: anche il tatto - come sentiamo il cibo - la vista - anche quello che vediamo influenza la nostra sensazione finale - e le sensazioni uditive.
Quindi, la neurogastronomia, per arrivare alla domanda, ha a che fare con lo studio della percezione, del flavour dei cibi che avviene in realtà nel cervello. All’inizio, tutte queste sensazioni recepite degli organi di senso inviano dei messaggi elettrici, che sono il linguaggio del nostro sistema nervoso, a centri di elaborazione successivi fino alla corteccia cerebrale dove ci sono delle aree che mettono insieme le varie sensazioni ricevute restituendoci la percezione del flavour che, in realtà, è appunto una vera e propria creazione del nostro cervello. Non esistono, come dice anche Shepherd nell’introduzione del suo libro, le molecole del flavour che si attivano ma ognuno ha una propria personale percezione che dipende da tutti gli organi di senso, in principal modo dall’olfatto.
Che cosa ci fa apprezzare o meno il vino?
Per il vino è certamente e ovviamente l’olfatto, sono le sostanze volatili, infatti, la parte fondamentale che ci fa apprezzare o meno il vino. Le note fruttate e tutte le altre specifiche note sono proprio ed esclusivamente dovute all’olfatto. Peraltro, tutti sanno che i sommelier prima di tutto odorano il vino poi lo mettono in bocca per sentire. All’interno della bocca, poi, c’è l’effetto vero e proprio delle molecole che qui raggiungono l’epitelio olfattivo.
La cultura occidentale, tendenzialmente, dimentica l’importanza dei sensi e dell’olfatto sulla nostra psiche?
Sembra che noi non siamo attenti all’olfatto ma in realtà non è vero perché anche la cultura occidentale è molto attenta, prova ne è che spendiamo delle cifre molto elevate per toglierci gli odori.
L’olfatto, inoltre, è molto importante nella vita di tutti i giorni anche se non ce ne rendiamo conto. Tipico è il caso raccontato da Oliver Sacks di una persona che improvvisamente ha perso l’olfatto in seguito al un incidente stradale e solo dal quel momento si è reso conto di quanto fosse importante nella sua vita quotidiana, di quanto siano importanti gli odori, che sono come un sottofondo nella nostra vita quotidiana, del quale tuttavia non ci rendiamo conto: l’aroma del caffè, il profumo dei fiori …
Perché il nostro apparato recettivo sensoriale, olfatto e gusto, è importante?
Dal punto di vista dell’utilità pratica, l’olfatto non è così necessario come lo è, per esempio negli animali, che si accoppiano e si riconoscono in base all’olfatto, e non lo è come possono esserlo, invece, la vista e l’udito che nelle attività quotidiane sono molto più importanti. Però ci sono delle situazioni - tipicamente quelle delle fughe di gas - in cui è aggiunta una sostanza che viene rilevata dall’olfatto. In questi casi, le persone che non hanno più olfatto devono fare affidamento su altri sistemi che magari sono acustici o visivi che servono a rivelare le fughe di gas. L’olfatto è molto importante quando, ad esempio, sentiamo l’odore di bruciato, il fumo quando c’è un incendio vicino o per sentire se il cibo è avariato.
Che effetto ha l’assenza di luce sui nostri recettori olfattivi e gustativi? Ci sono studi che parlano di questo?
Sui recettori olfattivi non c’è influenza, ma c’è sicuramente influenza sulla percezione globale. Nel momento in cui manca la componente visiva prevalgono gli altri sensi nella percezione. Le persone non vedenti, ad esempio, grazie ad una plasticità continua del nostro cervello, hanno sviluppato le aree della corteccia visiva, che sarebbero state utili per la visione, a favore di un maggiore sviluppo del senso del tatto e dell’udito.

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