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Mineralità: moda passeggera o descrittore di grandi vini? In Spagna se lo sono chiesto un po’ tutti, educatori e comunità scientifica. La risposta? Complessa: ha poco a che fare con la composizione chimica del suolo, e molto con la pratica enologica

Italia
Ironia sulla mineralità del vino

Mineralità, questa sconosciuta. Ormai, è uno dei descrittori più usati, e spesso abusati, degli ultimi anni. Ma cosa vuol dire esattamente, ed a cosa è dovuta, da un punto di vista prettamente scientifico ? Sono domande che, in Spagna, hanno ispirato uno studio ad hoc, curato dal laboratorio di analisi Excell Ibérica (www.labexcell.com) e dalla Outlook Wine (www.outlookwine.com) società leader nell’educazione enoica nel Paese iberico, e presentato qualche giorno fa in un vero e proprio simposio sulla percezione della mineralità del vino, cui hanno partecipato diversi esperti di fama internazionale, come i Masters of Wine Sarah Jane Evans e Sam Harrop, il dottor Josep de Haro, il professor Fernando Martínez de Toda, il dottor Doctor Antonio Palacios García e David Molina del Wine & Spirits Education Trust (www.wsetglobal.com). Lo studio parte da lontano, dalle percezioni sensoriali a livello fisiologico dell’Homo Sapiens, quindi prende in esame l’uso che viene fatto del termine a livello commerciale e nella quotidianità, fino ad intrecciarsi con l’aspetto più importante: come suolo e clima possono agire sulla percezione della mineralità nel vino, qual è il ruolo dei nutrienti del suolo e in che modo la pianta li assorbe e li usa, e quali sono le tecniche enologiche che si possono usare per può mascherare o migliorare la percezione minerale in un vino.
I risultati raccontano che le cause di quella che comunemente definiamo mineralità sono molteplici: risiedono nei composti della sintesi organica della pianta, a livello di metabolismo aereo, ossia delle foglie, ma è importante anche l’influenza del suolo, a livello di struttura, consistenza, e capacità di ritenzione idrica, che può portare ad uno stress metabolico che influisce in maniera sensibile sul metabolismo globale della pianta. Poi ci sono lo stato nutrizionale del mosto, e la sua costituzione in amminoacidi, gli interventi enologici fatti in cantina, il grande impatto dei lieviti nella percezione e delle tecniche di lavorazione, come l’invecchiamento sulle fecce e la macerazione pre-fermentazione. Infine, l’ulteriore sviluppo di tutti questi composti durante l’affinamento e l’invecchiamento in tini, botti e bottiglie. Questi sono i principali fattori responsabili della percezione olfattiva della “mineralità”: di certo, non c’è alcun rapporto diretto ed esclusivo tra la mineralità del descrittore e la composizione chimica del terreno, ciò nonostante “minerale” è ormai un termine descrittivo di uso comune, pur essendo, in realtà, una traduzione sensoriale riconoscibile a partire dai composti volatili propri del vino. E allora, l’industria del vino ha davvero bisogno del termine “minerale” come descrittore di uno standard qualitativo superiore? Secondo i ricercatori dello studio spagnolo, se si tratta di un aspetto ricercato intenzionalmente, di un fatto reale, e se il mercato ne trae beneficio, è necessario puntarci, ma con criterio e raziocinio, affinché duri nel tempo e non sia solo una moda passeggera.

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