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“Sicilia en primeur” 2014 - Attilio Scienza: “Le Eolie come paradigma del futuro enoico di Sicilia e d’Italia, dove la viticoltura è multifunzionalità, fonte di reddito e cura del paesaggio, ormai imprescindibile per produzione e mercato del vino”

“La viticoltura delle Eolie come paradigma del futuro di quella di Sicilia e dell’Italia intera, dove la coltura della vite è esempio di multifunzionalità, non solo come fonte di reddito, ma anche come cura e valorizzazione del paesaggio, che ormai è parte imprescindibile della produzione e del mercato del vino”: così il professor Attilio Scienza, uno dei massimi esperti di viticoltura al mondo ed ordinario di viticoltura all’Università di Milano, racconta a WineNews il senso del suo intervento a “Sicilia en Primeur”, il 28-29 maggio, a Vulcano, con Assovini (www.assovinisicilia.it). Che è servito anche per riflettere su una terra che dal punto di vista vinicolo, ha fatto tanto negli ultimi decenni, grazie al lavoro di tanti imprenditori del vino lungimiranti che hanno investito in qualità, portato al boom di territori come l’Etna, per citare il caso più recente, e fatto della Sicilia una della Regioni italiane di maggior successo, ma che vive ancora criticità da risolvere, come un eccesso di produzione, e per di più di basso prezzo, che rischia di mettere a rischio la sostenibilità economica di quelle realtà che ancora non hanno fatto il salto dalla quantità alla qualità.
“Vulcano, una delle isole delle Eolie, è una regione vulcanica - spiega Scienza - molto particolare e interessante, originata da un processo tettonico, per cui la faglia si è assottigliata e si sono formati vulcani in superficie, che sono le isole, e altri latenti, ma attivi, sotto il livello del mare, da 2.000 metri di profondità a poche centinaia di metri. Ed è un territorio molto interessante non solo per la bellezza dei luoghi e per la natura dei suoli, che sono “recenti”, perché il più antico ha “solo” un milione di anni, il più recente ne avrà 10.000, e sono molto primitivi nella loro evoluzione, sono suoli sciolti, alcalini, pozzolane, ceneri, una serie di matrici particolari”.
“Il vitigno prevalente è questo vitigno curioso, perché ha nomi diversi in diversi posti d’Europa, Malvasia nelle Lipari, Malvasia di Dubrovnik nella costa dalmata, Malvasia di Bosa in Sardegna, Greco di Bianco o di Gerace in Calabria, Malvasia delle Sitges a Barcellona e nelle Canarie. Ora, va detto - continua Scienza - che queste isole, le Eolie, sono sempre state degli avamposti culturali per i viaggi di greci e fenici verso occidente. Qui si sono fatti ritrovamenti singolari. Intanto, contenitori molto antichi con semi di vite sia selvatica che addomesticata, il che vuol dire che questo è stato un avamposto di domesticazione, cosa che può essere letta anche nella mitologia, nel canto n. 9 dell’Odissea, dove Omero descrive l’Isola dei Ciclopi dove la vite è selvatica, che è una perfetta identificazione.
“Altra cosa importante - spiega ancora Scienza - sono i resti di anfore, molto curiosi. Sono anfore di Chio, forse tra le poche veramente originali, perché già in epoca etrusca , visto che il vino di Chio era molto famoso, c’era chi “si divertiva” a far passare vino italiano per questo più celebre, con anfore identiche ma fatte in Italia, ad Albinia, dove c’era una fornace specializzata in questa “contraffazione”. Mentre a Salina e Lipari sono state ritrovate anfore autentiche, il che vuol dire che erano già un avamposto per il vino di qualità che veniva portato in queste isole per poi essere commerciato e rispedito. Dietro e dentro a queste anfore c’è anche tutta la storia della nascita dell’Inzolia e dell’Ansonica, perchè i Greci portavano vini di qualità, gli italiani di allora volevano imitarli, e utilizzavano vitigni simili a quelli greci, Inzolia siciliana e Ansonica toscana, che sono testimoni di questa “sofisticazione”, e che hanno ancora legami genetici con vitigni delle isole greche. E c’è anche la storia del vino di Byblion, fenicio, il vino dolce più famoso dell’antichità, di cui gli eredi naturali sono stati i vini siciliani, come il moscato di Siracusa, di Noto e delle Lipari”.
“Ma la cosa davvero interessante - spiega Scienza - è il significato di queste isole per il futuro della Sicilia: sono uscite dalla miseria e dal dramma dell’emigrazione che hanno vissuto nel 1800 e nel 1900, perché non c’era lavoro, e sono diventate luoghi importanti dove la viticoltura è un esempio straordinario di multifunzionalità, perché non è solo fonte di reddito ma anche strumento di conservazione e cura del paesaggio. E il messaggio, infondo, è questo: dove c’è viticoltura, d’ora in poi, bisogna avere grande cura del paesaggio, pensare che è parte integrante del vino, che non si può più vendere il vino senza paesaggio. E anche gli interventi di ricerca dei prossimi anni, non andranno mai trascurati studi sul paesaggio, anche per capire come intervenire e valorizzarlo. È un messaggio di cultura, e di storia, che racconta di questa origine della viticoltura mediterranea attraverso queste piccole isole, ma anche del comportamento virtuoso dei loro abitanti, che per poterle vendere bene ai turisti ne hanno fatto, attraverso la viticoltura, territori di grande valore. Sono una metafora del valore della viticoltura, e un paradigma interpretativo della viticoltura del futuro: un’analisi del passato attraverso queste isole, per capire quale era l’Italia della viticoltura prima dell’aggressione della società moderna, e intuire quello che dovrebbe essere in futuro”.

Focus - L’intervento di Attilio Scienza: “dalle piccole isole nuovi messaggi e stimoli per la viticoltura siciliana”
Storia ed origine della viticoltura delle Eolie
La presenza dell’uomo nelle Eolie risale a circa 6.000 anni fa e la coltivazione delle vite è stata accertata fin dal II millennio a.C, nell’Età del Bronzo, come testimoniano i ritrovamenti di vinaccioli appartenenti sia alla vite selvatica che sativa. Questa contemporanea presenza di semi appartenenti alle due sottospecie di Vitis vinifera indica un’attività molto precoce di domesticazione della vite che nel Mediterraneo è documentata solo nel Levante medio-orientale e nell’Iraq occidentale. La citazione a questo riguardo nel IX Libro dell’Odissea, colloca le isole Eolie nell’immaginario poetico ed epico della nascita della viticoltura e del mito del vino nel Mediterraneo. Anche il ritrovamento di anfore, tra le più antiche databili in Italia e risalenti a circa 2.000 anni prima di C., non solo contenitori di “vini in transito”, ma usate per conservare vini prodotti in loco, pongono queste isole al centro dei traffici fenici e greci, verso gli emporion occidentali. Ai greci di Cnido, località della costa vicino a Rodi, si fa risalire nel 588 a.C. la prima produzione di un vino a Lipari, simile al Protropo che producevano in patria, un vino passito di “madre goccia”, ottenuto dal mosto che colava spontaneamente dall’uva appassita ammucchiata in attesa della pigiatura. L’importanza di questa produzione è testimoniata dalle monete che venivano coniate sulle isole attorno la IV secolo che riportano i segni della produzione di uva e di vino, la vera ricchezza di quei territori poveri di cereali e di biade. Il Bacci, alla fine del 1500, dà dei vini eoliani una precisa descrizione: “Lipari ha numerose colline feconde e vigneti dai quali produce un vino genuino in virtù del calore sotterraneo, un vino che merita di essere paragonato al Mamertino e che viene trasportato per mare per molti porti d’Italia, ottenendo grandi lodi e realizzando lo stesso prezzo del Siciliano”. Lo Spallanzani, medico modenese, nel 1788 scrive un libro dal titolo “Destinazione Eolie” dove descrive le uve che vengono prodotte, soprattutto a Lipari. Oltre alle “mostali” usate per produrre vino comune, cita le Passoline che “altro non è che l’uva di Corinto” ed infine la “quarta qualità”, la famosa Malvasia di Lipari. Del vino di Malvasia scrive : ”vino di uno schietto color d’ambra,generoso e soave,che inonda e conforta la bocca di un’amabile fragranza,con un ritorno di soavità alcun tempo appresso di averlo gustato.” Nel periodo prefillosserico una varietà era molto comune per produrre un vino comune, la Montuonica o Mantonica, la quale incrociata con il Sangiovese (chiamato Corinto a Lipari nella sua forma apirene a causa delle virosi), ha dato origine a Gaglioppo e di Nerello Mascalese. Forse alcuni vitigni siciliani e calabresi hanno avuto origine nelle Eolie.
Inquadramento geografico, il clima, i suoli e la viticoltura
Sono sette isole disposte ad arco, di cui tre sono sede di attivi vulcani, (Stromboli,Vulcano,Lipari) quali risultato di fenomeni di subduzione, causati dalla tettonica a placche che le spinge verso la Calabria. Nello stesso spazio a completare l’arco ci sono altri sei vulcani sottomarini dalla altezze varianti da 1.500 m dal fondale marino a poche centinaia di metri dalla superficie dell’acqua, (Sisifo, Enarete, Eolo, Lamentini, Palinuro, Alcione) che appartengono ad un complesso vulcanico ancora attivo, più grande dell’Etna. La più antica è Filicudi che risale al Pleistocene inferiore, dell’età di 1 milione di anni, la più recente a Alicudi, di 90.000 anni.
Il clima è tipicamente mediterraneo, con estati calde e secche, (600 millimetri di piogge annuali, 30-40 mm d’estate), molto ventoso con venti prevalenti da nord-ovest (Maestrale) e da sud-est (Scirocco). La viticoltura si realizza fino a 400 metri sul livello del mare, talvolta su terrazze che consentono di immagazzinare l’acqua invernale e di ridurre i danni dell’erosione.
I suoli sono molto giovani, immaturi, in continua evoluzione, leggeri, costituiti da pomice e da altri materiali piroclastici, a reazione subacida, poveri di carbonati e ricchi di potassio. Molto diversi da quelli di Pantelleria e ed Etna. A Salina si possono riconoscere tre tipi di suolo :nella zona di Malfa i suoli sono costituiti da pomice, più o meno ricchi di silice e minerali ferrosi e da tufi bruni, nella zona di Valdichiesa, tra i due vulcani dell’isola, i suoli sono più ricchi di scheletro che consente maggiori riserve idriche, mentre il versante sud dell’isola che presenta suoli formati dalle eruzioni di Vulcano, leggermente limosi e pietrosi, dà origine a vini meno strutturati ma più aromatici. Il vitigno quasi esclusivo è la Malvasia delle Lipari, (forse la vera malvasia greca di Monemvasia ) che presenta diversi sinonimi e luoghi di coltivazione nel Mediterraneo (Malvasia di Dubrovnich in Dalmazia, Greco di Bianco o di Gerace nella Calabria ionica, Malvasia di Bosa in Sardegna, Malvasia di Sitges a Barcellona e nelle Canarie).
La prima citazione del vitigno, a Salina, è del 1653 e nel XVIII secolo la produzione di vino era di 3.500 ettolitri. Alla fine del 1800 con l’arrivo della fillossera la viticoltura delle isole entra in una crisi dalla quale si solleverà solo verso gli anni ’70 con la Denominazione d’Origine “ Malvasia delle Lipari”. È un vitigno medialmente aromatico, molto adatto all’appassimento che avviene su stuoie per la durata di 10-20 giorni. Di giorno le uve sono esposte al sole e di notte sono protette da coperture chiamate “pinnate”. La forma d’allevamento tradizionale oltre all’ alberello basso, è la “prieula”, una pergoletta in quadro molto bassa (60-70 cm da terra), adatta alle condizioni molto ventose delle isole.
L’arcipelago presenta una superficie di vigneti di circa 160 ettari, dei quali 90 a Malvasia, per due terzi sull’isola di Salina ed un quarto a Lipari. La produzione di vino è di 6.700 ettolitri, dei quali 1.000 a Doc. Le isole producono anche altri vini bianchi e rossi Igt Salina da vitigni quali Nero d’Avola, Nerello mascalese, Inzolia e Catarratto.
Le isole Eolie e la Sicilia
Molto suggestiva è l’ipotesi che il vino siciliano Pollio, famoso in epoca classica per le sue note aromatiche e mielate e portato dai Fenici in Sicilia da Byblion, città del Libano, oggi Jubail, altro non sia che il vino delle Lipari. Il vitigno, Malvasia o Moscato, dal quale veniva prodotto, sulla cui identità si sono divisi gli storici dell’Ottocento, proveniva dalla Tracia, patria di Dioniso ed era il vino che Ulisse aveva offerto a Polifemo. Le Eolie potrebbero essere quindi uno dei primi luoghi di acclimatazione di vitigni orientali portati in Sicilia e quindi diffusi in altre zone di influenza greca come la Croazia, la Calabria, la Sardegna, la Catalogna dove la Malvasia è ancora presente con altri nomi.
Queste isole identificano il modello antropologico delle storia ciclica che si contrappone a quella cosiddetta lineare. Nella storia ciclica gli eventi si verificano in una realtà atemporale e sono costretti a ripetersi: la storia non è quindi un prolungamento nel futuro ma un destino già segnato in partenza.
Cosa significa questo nella vita di tutti i giorni?Noi dipendiamo dalle oscillazioni del gusto, dell’etica, in una parola dai valori presenti nell’attualità. I miti dell’origine capisaldi della storia ciclica, che sono alla base delle cultura delle isole del Mediterraneo, e che sono ancora presenti in località lontane come la Grecia o in civiltà precedenti come quella fenicia o etrusca. La storia lineare nel suo procedere nasconde gli elementi identificativi di un luogo, di una cultura che sono ben evidenti dove la storia è ciclica. E per questa ciclicità, dopo secoli di oblio, di rassegnazione e di dissanguamento sociale per l’emigrazione, le piccole isole tornano ad essere luoghi ambiti e frequentati per la bellezza dei luoghi e per la qualità dei loro prodotti, vino in primis.
Il vigneto ed il vino di queste isole, di “questi pezzi di terra apparentemente conchiusi”, come diceva Platone, si trasformano da luoghi fuori “dal mondo” in luoghi “dentro di noi” . Se il paesaggio rurale in generale è un mosaico di immagini locali alle quali l’agricoltura è storicamente inscindibile, dalla forma del suolo, dal clima e dalle produzioni tipiche, solo quello delle piccole isole diventa rappresentazione di un rapporto equilibrato tra prodotto e contesto della produzione, dove non vi è traccia di agricoltura industrializzata. La vera agricoltura sostenibile è l’unica presente, a tal punto che la produzione è talmente integrata con la manutenzione del territorio da identificarsi con la natura dei luoghi. Nell’agricoltura industrializzata dove i presidi paesaggistici sono ormai rari iconemi da proteggere come relitti di un paesaggio dismesso, le isole nella loro interezza sono i soli paesaggi della diversità biologica e culturale, rimasti tali non tanto per la scarsa redditività delle colture ma per il valore intrinseco che conferiscono all’offerta turistica elitaria. La viticoltura in questo contesto appare la protagonista dei cosiddetti paesaggi dell’eccellenza agricola dove la qualità dei vini traspare dalla limitazione dei presidi chimici, dalla cura del suolo, dalla manutenzione dei muretti, dei sentieri, degli edifici rurali e dalla biodiversità delle specie spontanee ed alimentari di antica coltivazione, quali antidoto alla strisciante omologazione alimentare.
La Sicilia può trarre una lezione importante da questi avamposti della cultura occidentale, dando contenuti concreti alla multifunzionalità della sua viticoltura che non può prescindere da una sostenibilità integrale delle sue produzioni.

Focus - I 10 motivi perché la Sicilia “Mi piace”, credit Alessandro Regoli, direttore WineNews
Che la Sicilia, un “continente”, per le sue tante “anime”, le sue storie antiche e la continua voglia di innovare, le realtà consolidate e quelle emergenti, dove vecchie e nuove generazioni ancora convivono, con tutti i suoi pregi e contraddizioni, sia una delle Regioni rampanti del vino italiano, i cui nettari sono sempre più apprezzati in tutto il mondo, è ormai un fatto.
Una nuova ed ultima conferma, ma solo in ordine di tempo perché di certo altre ce ne saranno, è arrivata quando, freschi di entusiasmo per il trionfo agli Oscar del capolavoro di Paolo Sorrentino “La grande bellezza”, e dell’Italia in generale, WineNews ha pensato subito al vino italiano, al successo che ha nel mondo, e a quale fosse la sua “grande bellezza”. E lo ha chiesto, di recente, alle firme più prestigiose della stampa enoica internazionale (da The Wine Advocate a Wine Enthusiast, da JancisRobinson.com a Master of Wine e famosi wine writer …).
Il risultato? La Sicilia è una delle Regioni del vino italiano che, con Toscana e Piemonte, racconta meglio “La grande bellezza” dell’Italia del vino. Ma non è questo l’unico motivo, per cui quest’isola affascinante, complicata e divertente, mi piace.
1 - Perché guardando nel passato, vede sempre il suo futuro, in un “laboratorio” di soggetti privati e pubblici, studiosi ed importanti università, in cui si riscoprono antichi vitigni e si fanno rinascere con successo interi territori.
2 - Per la contaminazione che si riflette anche nei vini, tra autoctoni e internazionali che nel “continente siciliano (con le sue isole)” si incontrano per la gioia di chi ama i grandi vini.
3 - Per la stratificazione storica, dalla colonie greche all’abusivismo edilizio, passando per Bizantini, Arabi, Normanni, spagnoli, francesi ...
4 - Perché le “grandi” cantine si alleano con le più piccole, grazie ad aziende “pioniere” che hanno fatto e fanno ancora oggi da apripista a tante altre realtà, non solo del vino, diventate di eccellenza.
5 - Per le tavolate con i prodotti che si prendono dal campo e si portano direttamente in tavola, preparati sul momento, dai pomodori ai capperi, dai pistacchi alle nocciole, ma anche per i “trionfi” di crudité e dolci siciliani.
7 - Perché vecchie e nuove generazioni fanno ancora le cose insieme, e i più anziani non si tirano mai indietro, ma anzi sostengono, le idee che partono da figli e nipoti (dall’attenzione alla sostenibilità al mondo della rete, solo per fare un esempio).
8 - Perché c’è il feudo antico ma anche il resort più moderno, conservati, restaurati, in entrambi i casi alla base del rilancio, insieme a molto altro, della Sicilia come una delle mete turistiche più importanti al mondo.
9 - Perché ci sono il mare ed il vulcano, sintesi estrema delle tante anime di questo “continente”, meglio ancora, dal punto di vista enologico, di quelle nuove, capaci in poco tempo di raggiungere un grande successo.
10 - Perché senza i suoi “mali” che, purtroppo, l’affliggono non sarebbe la Sicilia che “Mi piace” raccontare.

Focus - I vitigni più diffusi e i dati di produzione della Sicilia
Un 73% di vitigni autoctoni o di antica coltivazione siciliani, un 21% di internazionali, e il 6% di italiani: ecco, secondo i dati 2013 dell’Assessorato alle Risorse Agricole della Regione Siciliana, lo spettro ampelografico della Sicilia, dove dominano nettamente i vitigni isolani. Tra i bianchi, il più presente è il Catarratto Bianco, che rappresenta il 33% di tutta l’uva a bacca bianca coltivata in Sicilia, seguito da Grillo (8%), Inzolia (7%), Chardonnay (6%) e Grecanico (5%), e da una miriade di altri vitigni a spartirsi il restante 41%. Sul fronte delle uve a bacca nera, domina il Calabrese (alias Nero d’Avola) con il 47% del totale, seguito dal Syrah (15%), dal Merlot (12%), dal Cabernet Sauvignon (8%) e dal Nerello Mascalese (7%), con gli altri vitigni che si spartiscono l’11%. Nel complesso, la vendemmia 2013, in Sicilia, ha prodotto 6.151.724 milioni di ettolitri, di cui 738.428 litri a Doc e Docg, 2.630.683 a Igt, e 2.78.613 di vino da tavola.

Focus - “Sicilia en primeur” 2014, “due giorni” di degustazione: ecco i nostri migliori assaggi
35 aziende, con 300 vini in degustazione, decisamente contemporanei e con grandi potenzialità, nella “due giorni” di degustazione a“Sicilia en Primeur” 2014 by Assovini.
“La Sicilia é molto più di un’isola … é un continente del vino”, per usare parole del professor Attilio Scienza, che, da sempre, mette l’accento sull’importanza di valorizzare non solo i terroir ma anche i territori nel senso più ampio del termine.
Quest’anno grande interesse per il “bianco” Grillo, ma anche per il Nerello Mascalese, che ha uno stile ideale per avere successo presso i consumatori, é un vino fine ed elegante, e per il Nero d’Avola, pronto già ad accogliere le tante espressioni della Sicilia.
Con “Sicilia en primeur”, c’è, ogni anno, parafrasando Antonio Rallo, presidente Assovini, “un desiderio di approfondire la conoscenza del mondo del vino siciliano, con i produttori di anno in anno sempre più consapevoli del valore del Made in Sicily. Segno che l’attività di divulgazione e di promozione sta andando nella direzione giusta”.
Ecco i nostri migliori assaggi:
Occhipinti - Il Frappato - 2012
Baglio Di Pianetto - Agnus - 2010
Cantine Settesoli - Mandrarossa Cavadiserpe - 2012
Caruso & Manini - Timpule Grillo - 2013
Le Casematte - Figliodiennenne - 2012
Azienda Agricola Cos - Pithos Bianco - 2012
Cottanera - L’Ardenza - 2009
Cusumano - Moscato dello Zucco - 2009
Cooperativa - Canicattì - Fileno - 2013
Donnafugata - Mille e Una Notte - 2009
Donnafugata - Ben Ryé - 2011
Fazio - Pietra Sacra Bianco Cataratto - 2012
Feudo Arancio - Dalila - 2012
Feudo Principi di Butera - Deliella - 2011
Fondo Antico - Grillo Parlante - 2013
Girolamo Russo - Etna Rosso Feudo - 2012
Girolamo Russo - Etna Rosso San Lorenzo - 2012
Graci - Quota 600 - 2011
Graci - Etna Rosso - 2012
Masseria del Feudo - Haermosa Chardonnay - 2012
Musita - Regieterre Grillo - 2013
Planeta - Burdese - 2010
Planeta - Eruzione 1614 Carricante - 2013
Planeta - Nero d’Avola Nocera - 2013
Tasca d’Almerita - Cabernet Sauvignon - 2010
Tasca d’Almerita - Tascante - 2010
Tasca d’Almerita - Ghiaia Nera - 2012
Tenuta Rapitalà - Grillo Tenuta - 2013
Valle dell’Acate - Cerasuolo di Vittoria Docg Classico - 2011

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