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“Non sono sicura che il consumatore medio, nel mondo, abbia capito la grande rivoluzione del vino italiano, perché l’Italia ha sempre esportato le sue etichette migliori. Ma sono contenta della riscoperta degli autoctoni”. A WineNews Jancis Robinson

Italia
Jancis Robinson

Negli ultimi 40-50 anni, il vino italiano ha vissuto una profonda rivoluzione che ha portato il vigneto Italia, storicamente orientato alla qualità, a puntare tutto sulla qualità, con risultati decisamente importanti. Ma nel mondo, questo enorme cambiamento, è stato davvero colto appieno? “In realtà non sono sicura che il consumatore medio, nel mondo, abbia capito quello che è avvenuto nella rivoluzione qualitativa del vino italiano, perché il quadro è davvero molto complesso”: a dirlo a WineNews, nel Simposio Internazionale dei Masters of Wine a Firenze, è Jancis Robinson, una delle più celebri ed autorevoli esponenti della prestigiosa organizzazione, e firma tra le più seguite a livello internazionale.

“Da un lato - spiega ancora la Robinson - prima in Italia c’è stata una rivoluzione verso l’internazionalizzazione, con stili più moderni di vinificazione, l’adozione della barrique e così via. Ma adesso c’è, ancora in corso, un cambiamento che io definirei più “salutare”, cioè quello di andare a recuperare e riscoprire tutto ciò che rendeva davvero speciale il vino italiano. La vera rivoluzione è stata la straordinaria crescita della qualità, ma all’estero - sottolinea la Master of Wine - non so quanto si siano accorti di questo cambiamento, perché in realtà difficilmente, anche in passato, sono stati esportati vini cattivi, l’Italia ha sempre puntato sui migliori”.
É un fatto, però, la riscoperta di tante varietà autoctone o di antica coltivazione, il rilancio di territori fino a qualche decade fa sconosciuti ai più, ha portato anche una grande varietà e diversità nel vino italiano. Una diversità che, secondo lei, è più difficile o affascinante raccontare? “Per me è una cosa meravigliosa da raccontare, i vini italiani sono così diversi, eppure, così particolari, così distintivi. Per questo sono così felice che l’Italia stia, in un certo senso, abbandonando i “percorsi” internazionali dove dominano Cabernet, Chardonnay, Merlot e così via, e stia ritornando alle sue varietà indigene e ai suoi terroir tradizionali.

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