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GLI ACCORDI BILATERALI TRA EUROPA E USA SUL COMMERCIO DI VINO, SIGLATI NEL 2005, E CHE STANNO VIVENDO SOLO ORA LA CHIUSURA DEL CERCHIO, SCRICCHIOLANO. ECCO LE RICHIESTE DELL’AREV, CHE DALL’UE SI ATTENDE PIÙ CORAGGIO E DAGLI USA UN PASSO INDIETRO

Italia
In fase di chiusura gli accordi bilaterali sul commercio di vino tra Usa e Ue

Gli accordi bilaterali tra Europa e Usa sul commercio di vino, siglati nel 2005, e che stanno vivendo solo ora la chiusura del cerchio, scricchiolano. Anche perché, l’ormai annosa questione della gestione dei nuovi domini web “.vin” e “.wine”, ancora irrisolta, ha riaperto altre piccole e grandi diatribe, che l’Arev - Assemblea delle Regioni Europee Viticole (www.arev.org) intende risolvere, forzando forse un po’ la mano. Sul tavolo, innanzitutto, lo stesso accordo di libero scambio, considerato dall’organizzazione “elusivo”, perché “sottomesso alle fluttuazioni erratiche della parità monetaria euro-dollaro che varia secondo le strategie politiche della moneta più presente al mondo”. Una disparità che, sempre secondo l’Arev, non sarebbe affatto compensata da migliorie tariffarie e soppressione dei diritti doganali, tanto che “un’armonizzazione transatlantica deve mettere al centro una discussione sulle norme ed i regolamenti, siano esse giuridiche, finanziarie, sanitarie, ambientali, culturali”.
Ciò che chiede l’Arev, in sostanza, è che la Commissione Europea leghi la firma agli accordi di libero scambio Ue-Usa al rispetto di cinque punti, decisamente importanti per il mondo del vino europeo. Per prima cosa, “l’abbandono definitivo - come si legge nella nota dell’Arev - da parte degli Usa, tanto sul mercato nazionale che internazionale, delle 17 indicazioni geografiche europee, dette “semigeneriche” menzionate qui di seguito anche accompagnate da menzioni come “genere” o “tipo”: Burgundy, Chablis, Champagne, Chianti, Claret, Haut-Sauterne, Hock, Madeira, Malaga, Marsala, Moselle, Port, Retsina, Rhine, Sauterne, Sherry (vino di Xérès) e Tokaj”. Quindi, “l’abbandono definitivo da parte degli Usa, tanto sul mercato nazionale che internazionale, delle denominazioni tradizionali europee qui di seguito: château, classic, clos, cream, crusted/crusting, fine, late bottled vintage, noble, ruby, superior, sur lie, tawny, vintage et vintage character”. E ancora, l’obbligo, sempre da parte degli Usa “di garantire il rispetto delle pratiche enologiche riconosciute dall’Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino (Oiv) per tutti i vini esportati verso i mercati europei”. Poi “l’esenzione per i vini europei del certificato d’etichetta (Cola)” e, infine, il “riconoscimento del “vino biologico” europeo ai sensi degli Regolamenti (Ce) n. 834/2007 e 889/2008”.
E non finisce qui, perché l’Arev non ha perso certo l’occasione per sottolineare che “è l’Organizzazione Mondiale del Commercio (Omc) che gestisce gli accordi sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale che riguardano il commercio, in questo caso la protezione delle denominazioni geografiche. Inoltre, la Commissione Europea, il Parlamento Europeo e l’Oiv hanno recentemente criticato pesantemente l’ Icann (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers) sull’attribuzione di nuovi domini internet di primo livello generico “.wine” o “.vin” senza alcun riguardo per la protezione delle denominazioni geografiche. A questo proposito, si desidera urgentemente che il monopolio americano di internet nel settore migri verso un multilateralismo, specialmente per le procedure d’opposizione e di ricorso”.
Poi, “in maniera generale - continua la nota dell’Arev - un accordo con gli Usa rimetterebbe in questione l’obiettivo di far evolvere l’agricoltura europea verso modelli più sostenibili, sul piano economico, sul piano sociale e su quello ambientale; concentrando invece il processo di sfruttamento per poter mantenere viva la competizione, inoltre questo processo ridurrebbe enormemente il numero di lavoratori nel settore aumentando la disoccupazione e di conseguenza la desertificazione delle campagne profonde, il degrado dell’ambiente e della biodiversità e metterebbe fine all’obiettivo di creare dei circuiti corti tra produttori e consumatori”. A fronte della moltiplicazione degli accordi bilaterali e interregionali, i quali rendono fragili i sistemi multilaterali dell’Omc, dell’Oiv e dell’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale, l’Arev sottolinea che “senza il rispetto degli accordi Adpic/Trips dell’Omc da parte degli Usa e senza il ritorno degli Usa verso l’Oiv (definizione del vino, pratiche enologiche), tutti i progressi sull’insieme dei punti sopraindicati sembrano votato al fallimento. Le Organizzazioni chiedono alla Commissione di far prova di coerenza e di non rimettere in questione le raccomandazioni ed i principi fondamentali delle Organizzazioni internazionali di riferimento come l’Omc, l’Oiv e l’Omoi: è in gioco la credibilità dell’Europa ed il mantenimento della sua influenza sui regolamenti, sulle norme e gli standard internazionali, senza parlare del rischio di suscitare una risposta da parte di Stati terzi esclusi dagli accordi e dagli insiemi commerciali regionali”. Infine, al di fuori degli scambi commerciali, ci sono altri due punti dell’accordo che l’Arev rigetta in toto: “la “Protezione degli investitori stranieri” e il “Regolamento dei contenziosi da parte di un tribunale Eccezionale” i quali cedono una parte della Sovranità degli Stati verso il settore privato e la supremazia del diritto degli affari: queste due parti conducono ad una modifica fondamentale del Trattato sull’Unione Europea ed ad un abbandono della Sovranità degli Stati. Qualsiasi Organo di risoluzione dei contenziosi deve imperativamente conformarsi al modello dell’Ord (Organo di Risoluzione dei Contenziosi) dell’Omc, dove solo gli Stati sovrani sono abilitati a decidere in funzione della propria Costituzione Nazionale, dei trattati europei e dei Diritti dell’Uomo”.

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