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“BOROLI WINE FORUM” - PIERRE GODÉ, VICE PRESIDENTE LVMH (68 TRA I PIÙ PRESTIGIOSI BRAND AL MONDO): “IL MARCHIO DIVENTA VALORE NEL MOMENTO IN CUI VIENE RICONOSCIUTO DAL CONSUMATORE. E DEVE ESSERE PROTETTO, ANCHE SE COSTA MOLTISSIMO ...”

Italia
I protagonisti del Boroli Wine Forum 2014

“Mio nonno Giacomo non fu il primo della famiglia a produrre il vino, ma fu il primo a venderlo con un’etichetta, un brand”. Erano gli anni 20 del Novecento e il patron di Casa Conterno non poteva ancora immaginare quanto quella scelta lungimirante avrebbe cambiato il mondo delle generazioni future. Lo ricorda il nipote Roberto Conterno, barolista di Monforte, dal “Boroli Wine Forum”, ospitato oggi alla Locanda del Pilone di Alba. Lo spunto della discussione è “Il valore del marchio. Un asset per l’internazionalizzazione”. La primavera arriva così tra le vigne di Langa. La famiglia Boroli (Silvano, Elena e Achille) ha chiamato, per il secondo anno, l’amico Bruno Vespa a moderare l’incontro. Ci sono ospiti illustri, non solo tra i relatori anche in platea. C’è Pierre Godé, vice presidente di Lvmh Moët Hennessy Louis Vuitton, che, con 77.000 dipendenti, controlla 68 tra i più prestigiosi brand al mondo. Moët et Chandon, ma anche Veuve Clicquot, Château d’Yquem, Numanthia. Solo per citarne alcuni legati al vino.
“Il marchio è un mezzo - apre Pierre Codé, che introduce uno dei temi più dibattuti del “Boroli Wine Forum” - per presentare un prodotto: diventa valore nel momento in cui viene riconosciuto dal consumatore: “un grande marchio deve essere protetto: costa molto, ma oggi la contraffazione è uno dei maggiori problemi. L’era di internet ha creato un fiorente mercato del falso. Il web dà dei mezzi efficaci e veloci ai contraffattori per smerciare i loro prodotti. Spesso quando trovate la parola autentico potete essere quasi sicuri che non lo è”.
In Langa, c’è anche Pierre Lurton, direttore di Château d’Yquem e Château Cheval Blanc: “a Bordeaux non deteniamo - ammicca ai barolisti - la verità sui vini. Io sono un ragazzo fortunato: vengo da un famiglia di viticoltori. Ho imparato che nel nostro mestiere il vino si fa prima di tutto nella vigna. Occorre obbedire al territorio e cercare l’equilibrio tra la natura e la mano dell’uomo. L’uomo gioca con la materia e la supera. La grandezza di un prodotto si misura nel superamento dei rischi. E’ la complessità che fa i grandi vini e dà valore. Il valore è la firma del brand. Non abbiate paura dei piccoli difetti. Sono come le piccole rughe delle donne: rendono affascinante il brand”.
Lo spagnolo Manuel Louzada, direttore di Numanthia, azienda vinicola nel cuore della Spagna, vicino alla città di Toro, racconta dell’emozione di quando vide per la prima volta quei 1600 ettari di vigne che avevano resistito alla filossera: “hanno più di 150 anni. Sono vigne con una grande forza e la trasmettono ai vini. Il vino, come diceva mio nonno, deve emozionare. Senza emozione, senza passione non c’è brand”.
Emozione, ma anche territorio: “negli ultimi trent’anni - dice Giovanni Geddes da Filicaja Ceo Masseto - ci siamo resi conto del valore del territorio: nel caso del vino, il grande brand è inscindibile dal suo territorio”. Così è per quella collina di 7 ettari del Masseto di proprietà dell’Ornellaia: in 25 anni è diventato uno dei vini più ricercati dai collezionisti e tra i più battuti alle aste internazionali. L’annata 2001 ha ricevuto i 100/100 dalla rivista americana “Wine Spectator”, consolidando così il brand. Altra voce dalla terra toscana Carlo Paoli, direttore della Tenuta San Guido a Bolgheri: “è stato un piemontese a credere nella potenzialità di questi vigneti - ricorda - mi ha insegnato che le cose che ci entusiasmano, entusiasmano anche gli altri. Lavoro, così, ogni giorno, pieno di entusiasmo e fiero di essere italiano”.
Insieme a Conterno, c’è Luca Currado, azienda Vietti di Castiglione Falletto: “il brand non si costruisce in un anno. Il nostro ha una storia di due secoli. A mio padre va il merito di aver creduto nel terroir con grande tenacia. E’ stato tra i primissimi a imbottigliare vigneti singoli come il Rocche e nel 1967 ad iniziare ad esportare negli Usa. Noi figli continuiamo e consolidiamo il brand sapendo che non avremmo mai potuto ottenere un’internazionalità senza un territorio così forte come la Langa. I nostri marchi iniziano ad infrangere molti tabù , entrano nella grande ristorazione, nelle cantine dei grandi collezionisti e incominciano ad avere quell’apprezzamento alle aste che sognavamo”. D’accordo Roberto Conterno: “il Barolo stesso è un marchio, la nostra Langa è un marchio”.
Porta il suo contributo anche il giornalista americano Richard Nalley, autore della guida 2015 del “Food & Wine Magazine”: “sono un americano che beve vino, tante cose sono cambiate negli ultimi anni in America. I brand sono ancora importanti ma i giovani consumatori cominciamo a comprare vini nuovi. Il consumatore americano non è più fidelizzato come dieci anni fa: cerca la qualità, ma è attento al prezzo. Ci vogliono nuove strategie per affrontare il mercato americano: anche i distributori si specializzano in determinati filoni di vino. Chi nel biologico, chi in un certo terroir. Ciò che si vuole comunicare non si comunica solo nell’etichetta, ma anche l’importatore, il giornalista e ora il blogger possono creare il brand e lanciarlo. I nuovi consumatori cercano spunti più semplici per capire i vini e i territori. Nuovi modi per informarsi sono i social media. I giovani sono quelli che in America consumano il miglior vino. E continueranno a crescere: a loro dovranno parlare nei prossimi anni i vostri brand”.
Fiammetta Mussio

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