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IL TURISMO DEL VINO IN QUANTO TALE NON ESISTE, O È COMUNQUE MARGINALE. A FARE LA DIFFERENZA, TRA QUALITÀ DEI PRODOTTI, PAESAGGIO E RICCHEZZA CULTURALE, SONO I SERVIZI. DALLA CONVENTION DI CITTÀ DEL VINO IL PROFESSOR FESTA (UNIVERSITÀ DI SALERNO)

Il turismo del vino in quanto tale non esiste, o è comunque marginale. A fare la differenza per il successo di un territorio, al netto della qualità dei prodotti, della bellezza del paesaggio e della ricchezza culturale, sono i servizi. Ecco la sintesi brutale, forse, ma realistica, emersa nel seminario “Vino e Accoglienza” di scena a Guardia Sanframondi (Benevento), nella Convention delle Città del Vino. A spiegarlo il professor Giuseppe Festa, Ricercatore di economia e gestione delle imprese Università di Salerno.

“La riflessione parte dal fatto che, secondo l’ultimo rapporto sull’enoturismo di Città del Vino e Censis Servizi, in Campania, la provincia di Salerno è risultata la n. 1 per enoturismo (e n. 8 a livello nazionale), nonostante non sia di certo il territorio campano più importante, per il vino. Peraltro a poca distanza da territori molto più conosciuti dal punto di vista enoico, come il Sannio o l’Irpinia. Appare evidente, prendendo questo caso come esempio, che a fare a differenza sono i servizi, la “ricettività”: Salerno è ben collegata, rispetto ai territori citati, sia via terra che via treno, ma anche via mare, c’è un tessuto importante di alberghi, B&B, ristoranti, e c’è una concentrazione importante di competenze dell’accoglienza. Ancora oggi - prosegue Festa - si pensa che basti un produttore importante, un vino di qualità, ma è tutto vano se poi, come spesso capita, manca tutto il resto. Mancano spesso la capacità di marketing e di comunicazione, e mancano servizi. La filiera del vino è trasversale tra i macrosettori economici: c’è agricoltura (settore primario), c’è manifattura (secondario), c’è commercio, accoglienza, comunicazione (terziario). Ed è proprio in questo ultimo aspetto, dal punto di vista enoturistico, la criticità. Anche territori di grandi vini, non decollano, dal punto di vista turistico, perché mancano i servizi. E allora potremmo provare ad applicare anche ai terroir del vino, la “Service Dominant Logic”, basata sull’offerta del servizio. Anche perché stiamo ancora cercando una definizione di “turismo del vino. E di marketing del turismo vino, sul quale il modello non è neanche la Francia, come pensiamo, ma il Nuovo Mondo, gli stati Uniti e così via”.

“Noi abbiamo un piano nazionale strategico sul turismo - aggiunge Festa - in cui non si parla mai di vino, al limite qualche volta di enogastronomia. E se si guardano i dati, chi si muove prevalentemente per visitare una cantina o i vigneti, l’enoturista propriamente detto, rappresenta meno del 5% dei flussi turistici. Mentre è chiaro che oltre il 50% dei turisti che si muovono quando arrivano in una località degustano anche prodotti enogastronomici tipici. Il “segreto” per il successo, probabilmente, sarebbe abbinare l’opportunità del vino e dell’enogastronomia a motivazioni turistiche diverse. Per fare esempi sul territorio campano, per esempio, portare il vino e l’enogastronomia tra gli scavi di Paestum, sul mare a Furore e così via. Offrendo servizi all’altezza. Perché è vero che oggi, chi fa turismo cerca un’esperienza, ma l’esperienza si crea anche grazie al servizio”.

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