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I POSSIBILI DAZI CHE LA CINA POTREBBE APPLICARE DOPO L’INDAGINE ANTIDAMPING SUL VINO EUROPEO PREOCCUPANO, MA IL PAESE ASIATICO RIMARRÀ UNO DEI TOP PLAYER DEL FUTURO ENOICO. LO STATO DELL’ARTE E IL FUTURO NELL’ESPERIENZA IN CINA DI ENOTECA ITALIANA

Italia
Fabio Carlesi, Ding Hao e Giovanni Pugliese

L’avvio ufficiale da parte della Cina dell’indagine antidumping e antisussidi sulle importazioni di vino europeo, preoccupa i produttori italiani, ma non per questo, ovviamente, ci sarà una “smobilitazione” degli investimenti (la maggior parte delle risorse dell’Ocm, peraltro tra i temi sotto accusa da parte delle autorità cinesi, si è concentrata proprio in Cina negli ultimi anni) o si crederà meno in quello che da tanti è indicato come il mercato del futuro per il vino e non solo. La ricchezza nel Paese asiatico, seppur meno velocemente di qualche anno fa, continua a crescere, e se ci sarà voglia di vino italiano, eventuali nuovi dazi potranno frenare la crescita, ma non arrestarla. “L’importante è continuare ad investire in cultura e formazione, come facciamo ormai da anni, perché è indiscutibile che i cinesi ne abbiano voglia e siano incuriositi. Amano tutto quello che è Italia, e il vino in particolare”. Così a WineNews Fabio Carlesi, segretario generale di Enoteca Italiana (www.enoteca-italiana.it), e Giovanni Pugliese, vice direttore di Yishang Wine Consulting Company (www.yishang-vino.com), il braccio operativo in Cina dell’Enoteca, che per il vino italiano è il partner istituzionale più apprezzato dalla autorità cinesi (unico ente straniero nella commissione sul fenomeno delle imitazioni alimentari ammesso da Pechino).

“I margini di sviluppo per l’Italia ci sono tutti, soprattutto nella fascia media, che è quella più corposa e dove sarà il vero business. Ma dobbiamo sbrigarci ora, perché rischiamo di perdere questo treno. La conoscenza del vino italiano sta crescendo rapidamente, anche perché i cinesi sono curiosi, e quando decidono di imparare qualcosa lo fanno, ed in maniera approfondita. Anche perché hanno già l’approccio alla degustazione, grazie al tè, e riescono in fretta ad imparare anche con il vino. Noi investiamo tanto in formazione, è la nostra mission principale, e stiamo dialogando anche con altre organizzazioni come l’Istituto Grandi Marchi e il Consorzio Italia del Vino (che riuniscono le più importanti realtà vinicole d’Italia) per aggregare le forze e potenziare sia la formazione in loco che le attività di incoming in Italia. E poi, a fine 2013 vorremmo lanciare una piattaforma on line di divulgazione sul vino e sui territori italiani, ma anche di e-commerce, coinvolgendo anche i più autorevoli player del mercato cinese”. Insomma, dazi o non dazi, le potenzialità da cogliere, lavorando bene, sono tante, almeno guardando ai numeri. La Cina ha fatto registrare, nel 2012, un incremento di importazioni di vino del 6% in volume (326.735 ettolitri) e del 15% in valore (77 milioni di euro) sul 2011. Certo, i consumi sono ancora bassissimi: 1,34 litri procapite all’anno, di cui solo 0,29 (più o meno due bicchieri) di vino di importazione, che per la metà è francese.

“Ma se in alcune città importanti come Pechino e Shangai c’è già una discreta affermazione del vino, ci sono altre zone, soprattutto a Ovest del Paese, in cui nei prossimi anni ci sarà il boom, come nella provincia del Sichuan dove ci sono città come Chengdu, che fa 14 milioni di abitanti, o Chongqin, che sfiora i 29 milioni, e dove come Enoteca concentreremo gli investimenti nei prossimi anni”. L’importante, spiegano, è continuare a solleticare la curiosità del consumatore finale, che poi sollecita a sua volta anche la crescita della preparazione degli “intermediari” (ristoratori, sommelier, camerieri), anche se per ora, per “le masse”, bisogna continuare a puntare su messaggi semplici, parlando dei territori, al limite delle denominazioni più importanti, piuttosto che sulle caratteristiche organolettiche del vino ...

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