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IL FUTURO DEI CONSORZI DEL VINO? RAFFORZATA LA FUNZIONE DI “GESTORI DELLA DENOMINAZIONE” SONO SEMPRE PIÙ “AGENZIA DI SVILUPPO TERRITORIALE”. ALMENO QUELLI CHE HANNO “COMPRESO” IL DECRETO. FOCUS: CONSORZI & ERGA OMNES ECCO LE CRITICITÀ LEGISLATIVE ...

Italia
Il futuro dei Consorzi del vino d’Italia

La nuova fisionomia dei Consorzi del vino italiani sta diventando sempre più chiara e, ad appena un paio di anni dall’entrata in vigore del Decreto Legislativo 61/2010 (la nuova legge quadro del vino tricolore), almeno i Consorzi che hanno da subito “compreso” lo spirito del nuovo assetto legislativo stanno rafforzando il loro ruolo e la loro funzione di “gestori della denominazione” fino a definirsi sempre più compiutamente come vere e proprie “agenzie di sviluppo territoriale”.
A ben guardare, un dato naturale, verrebbe da dire, perché questi istituti lavorano sul territorio insieme ai produttori, alle amministrazioni comunali e alle altre istituzioni. Con loro hanno creato, negli anni, una rete importante di relazioni, professionalità e di progettualità. Insomma, i Consorzi possono svolgere il compito di “catalizzatori di energie” produttive e promozionali, come la gestione organica e strategica delle risorse provenienti dall’Ocm vino e dai Programmi di Sviluppo Rurale (Psr), ma anche attivando nuove sinergie tra produttori e territorio.
I Consorzi sono chiamati allora a diventare un tavolo di sintesi, dove il valore del marchio di territorio è più facilmente comunicabile, per rispondere alle esigenze delle piccole e grandi aziende, ma anche alle sollecitazioni che vengono dal mondo della politica e delle istituzioni. In una parola la nuova frontiera finisce per chiamarsi necessariamente “promozione del territorio”, perché questo è un tutt’uno con la denominazione vinicola che da quello nasce e che su quello vive. Senza dimenticare, però, anche quei casi in cui questo processo di valorizzazione è avvenuto per merito delle aziende che ci hanno creduto, precedendo anche la stessa fondazione dei consorzi, e, in questo senso, rivelando sinergie importanti, i cui costi non hanno gravato sulla comunità intera dei produttori di quelle particolari zone.
Tutto inizia nell’estate 2009, quando avviene il passaggio normativo per cui l’attività di controllo dai Consorzi passa ad enti terzi. Scomparendo questo pacchetto di funzioni dalle competenze (e dai bilanci) dei Consorzi stessi, evidentemente, quest’ultimi dovevano trovare un ruolo alternativo ed egualmente importante.
Ad indicare la strada, peraltro, è stato lo stesso conseguente aggiornamento legislativo, che il sistema del vino tricolore ha sostenuto proprio in quel periodo, mentre gli stessi Consorzi (almeno quelli che hanno compreso fin da subito la “posta in gioco”), fin dal 2008, hanno cominciato a sviluppare tutta una serie di progetti che “spianavano”, di fatto, questo mutamento radicale della loro fisionomia.
Il nuovo impianto normativo, come sappiamo, trova i suoi fondamenti nella regolamentazione comunitaria a cui si agganciano i decreti di attuazione nazionali. Il reg. 479/2008 (la legge quadro Ue sul vino o Ocm vino) ha, in parte, confermato una serie di regole del settore, ma per alcuni aspetti fondamentali ha inserito innovazioni sostanziali. Entrato in vigore il 1 agosto 2009, negli Stati membri è iniziata una frenetica attività legislativa con l’obiettivo di elaborare in tempi utili tutti i provvedimenti attuativi. In Italia la nuova disciplina comunitaria ha reso incompatibili la vecchia legge 164/1992 sostituita dal decreto legislativo n. 61/2010 che include tra i suoi punti fondamentali, appunto, il nuovo sistema di controlli completamente affidato ad enti “terzi” e le nuove attività dei Consorzi, in materia di tutela, vigilanza e valorizzazione delle denominazioni che si esplicheranno nei confronti di tutti i loro utilizzatori (il cosiddetto “erga omnes”, ossia i contributi per queste attività dovranno essere sostenuti da tutti e non più soltanto dagli associati).
Se da un lato i Consorzi hanno quindi ceduto la pura attività di controllo, dall’altro i soggetti con una rappresentatività di almeno il 66% hanno preso su di sé la possibilità di adottare misure di governo dell’offerta e gestire l’attività di vigilanza, tutela e valorizzazione “erga omnes”. Un risultato che rafforza il ruolo del Consorzio come “gestore della denominazione” e che lo proietta verso ruoli ed attività, almeno in parte, nuovi.
L’articolo 17 del Decreto Legislativo n. 61/2010 stabilisce che il Consorzio persegua una serie di attività che la norma indica in maniera piuttosto dettagliata, se pure suscettibile di interpretazione, e che è possibile racchiudere nei concetti di promozione e valorizzazione, di tutela e cura degli interessi della Denominazione, di vigilanza. Per la funzione di valorizzazione si va dalla stipula di convenzioni ed accordi con organismi pubblici e/o privati; partecipazione a mostre, convegni, fiere, workshop, manifestazioni in Italia ed all’estero, all’attività di collaborazione con enti pubblici e privati, organismi ed associazioni, istituti e scuole, per promuovere e realizzare iniziative per la diffusione dell’educazione alimentare e del consumo corretto e responsabile dei prodotti tutelati, anche organizzando corsi di formazione, professionali e didattici; dall’attività di presentazione, promozione e degustazione della denominazione in manifestazioni ed eventi dedicati alla valorizzazione di prodotti agroalimentari della regione di appartenenza ed al di fuori di questa;dal supporto logistico ed organizzativo per eventi dedicati alla promozione ed alla valorizzazione delle denominazioni, alla gestione di strutture pubbliche e private per la valorizzazione e promozione dei vini tutelati, partecipando ai relativi bandi di accesso ed incaricandosi dei relativi compiti; dall’attività di valorizzazione, come ente promotore e gestore, del distretto d’area rurale e dei percorsi culturali, enoturistici ed enogastronomici previsti da leggi e norme regionali, nazionali e comunitarie.
Una serie di prerogative che, alla luce di una corretta interpretazione, lanciano decisamente da protagonisti i Consorzi nell’agone degli enti di promozione. Un ruolo delicato ma altamente importante che, forse, potrebbe aumentare la tendenziale “polverizzazione” del sistema della promozione del made in Italy enoico e non solo, ma che, altrettanto probabilmente, se ben compreso e gestito, potrebbe anche portare all’effetto opposto cioè a quello di una semplificazione, “promuovendo” i Consorzi del vino come unici “ambasciatori” dei vini più importanti del Bel Paese nel mondo.

Focus - Consorzi & “erga omnes”: è tutto oro quello che luccica? Probabilmente no. Esistono delle criticità legislative che potrebbero minare il funzionamento del sistema così come è uscito dal decreto legge 61/2010
Consorzi ed ”erga omnes”. Un tema che, solo apparentemente, sembra completamente sviscerato e risolto nei suoi meccanismi più interni, primi fra tutti quelli legislativi. Il decreto legge 61/2010, la nuova legge quadro del mondo del vino italiano, ha, tra le altre cose, rimodellato il quadro delle competenze e delle prerogative dei Consorzi di tutela, ma ancora con qualche punto critico da risolvere. A ben guardare, infatti, restano sul tappeto alcune “zone d’ombra”, che sono emerse soprattutto in sede di “concessione” del cosiddetto “erga omnes” ai Consorzi che ne hanno fatto richiesta a cavallo dell’estate 2012.
Si tratta, ricordiamolo, di uno dei punti fondamentali della nuova legge che attribuisce ai Consorzi di tutela del vino che, operano sulla base dei criteri di rappresentatività produttiva e pro capite, l’esclusiva delle attività di “gestione della denominazione”, allargata, per di più, anche alle aziende non iscritte ai Consorzi stessi. Ed è proprio su questo punto che sono nati, allorquando si è proceduto alla domanda di passaggio all’“erga omnes” (previa modifica del regolamento interno dei Consorzi richiedenti), alcuni casi di respingimento della richiesta, secondo quanto risulta a WineNews.
Il Ministero delle Politiche Agricole, incaricato di analizzare queste domande, si è trovato a confrontarsi con una vera e propria nuova giurisprudenza e, se, probabilmente, nei primi casi di questo tipo ha, in qualche modo, “lasciato correre”, non mostrando particolari resistenze, successivamente ha adottato un criterio più rigoroso nell’analisi di questo tipo di procedura.
La criticità più forte risiede nel fatto che ai Consorzi richiedenti l’“erga omnes” è espressamente imposto dal Ministero di realizzare nuovi regolamenti interni in cui la ripartizione dei voti dell’assemblea rispetti “quel principio di eguaglianza-ragionevolezza richiesto per definire il valore ponderale del voto e che consiste nel rapporto proporzionale con l’entità del valore economico dell’interesse coinvolto dall’azione del Consorzio, cioè con le dimensioni e la capacità produttiva del varie imprese consorziate” (parere del Consiglio di Stato n. 29/97 e Decreto Ministeriale n. 256 del 4 giugno 1997). Ma, evidentemente, in alcuni casi questo criterio non è stato rispettato e così alcuni Consorzi si sono visti, per adesso, respingere questa importante (specie dal lato economico) opzione.
Peraltro, lo stesso Ministero delle Politiche Agricole era dovuto intervenire con il Decreto Ministeriale del 7 novembre 2012 sempre in tema di “gestione delle maggioranze” consortili, per chiarire alcuni dettagli per l’esercizio effettivo dell’“erga omnes” (“le funzioni di tutela, promozione, valorizzazione, informazione del consumatore e cura generale degli interessi relativi alla denominazione”) da parte di quei Consorzi che già lo avevano ottenuto. Un provvedimento legislativo che, in sostanza, distribuendo “i pesi” della rappresentanza in seno ai Consorzi in sede di istituzione di nuove denominazioni e, soprattutto, nelle procedure di modifica dei disciplinari di produzione già esistenti, introduce un margine di manovra più “elastico”, rispetto alla componente effettiva dei soci. Ma le perplessità, non restano solamente queste.
Se le incongruenze generate dal precedente assetto legislativo (legge 164 del 1992 e, soprattutto, Decreto Ministeriale n. 256 del 4 giugno 1997), prima fra tutte, il dubbio che i Consorzi volontari di tutela costituiti in associazione potessero costruirsi in questa forma giuridica ai sensi dell’articolo 2602 del Codice Civile, sono state arginate con la sovrapposizione della legislazione comunitaria in tema di vini a quella delle altre Dop e Igp agroalimentari (in precedenza la legge n. 521del 1999, aveva solo in via interpretativa affiancato i Consorzi Doc/Docg a quelli Dop/Igp e, quindi, decretato la loro validità rispetto al Codice Civile), resta ancora aperto, risolto il problema formale, quello sostanziale, o meglio, quello legato alla finalità delle attività del Consorzio stesso.
Vale a dire se un Consorzio, come recita l’articolo 2602 del Codice Civile, è un’organizzazione comune per “la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese”, resta ancora per lo meno difficile riuscire a far collimare le diverse esigenze dei soci di un Consorzio di tutela del vino che, notoriamente, comprendono la grande cantina cooperativa o meno con organizzazione industriale, rete commerciale globale e risorse umane specializzate, con quelle del piccolo produttore che produce, commercializza e organizza la propria azienda praticamente da solo.

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