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UN MARCHIO PER CERTIFICARE E PROMUOVERE LA FILIERA ECOSOSTENIBILE DEL VINO ITALIANO: ECCO IL PROGETTO “SOSTENIBILITÀ DELLA VITICOLTURA IN ITALIA”. MINISTERO DELL’AMBIENTE, MONDO DELL’UNIVERSITÀ E AZIENDE NE DISCUTONO A PALERMO

Italia
Ministero Università e cantine insieme per la viticoltura sostenibile

Promuovere modelli ecosostenibili di produzione del vino puntando sulla certificazione ambientale, per sostenere l’ingresso delle aziende italiane nel mercato internazionale: ecco l’obiettivo del progetto “Sostenibilità della Viticoltura in Italia”, presentato oggi a Palermo, voluto dal ministero dell’Ambiente grazie alla collaborazione con le università di Perugia, Piacenza e Torino e con aziende di spicco del Belpaese enoico, come Castello di Monte Vibiano Vecchio, Gancia, Masi agricola, Marchesi Antinori, Mastroberardino, Michele Chiarlo, Venica&Venica, Planeta e Tasca d’Almerita, per consolidare le metodologie impiegate nella produzione del vino per l’impatto ambientale dell’intera filiera, con un marchio garantito dal ministero.
Ma quali sono i capisaldi di una certificazione che permetterebbe all’Italia di presentarsi sui mercati esteri con una veste tutta nuova? Innanzitutto il “Carbon Footprint”, una misura che esprime in CO2 equivalente il totale delle emissioni di gas ad effetto serra associate, direttamente o indirettamente, ad un prodotto (in questo caso la bottiglia di vino), un’organizzazione o un servizio, “impronta” già indicata da alcuni produttori del Belpaese, come Salcheto nel territorio del Nobile di Montepulciano. Quindi il “Water Footprint”, un indicatore del consumo di acqua dolce definita come il volume totale di acqua dolce utilizzata per produrre beni e servizi, misurata in termini di volumi d’acqua consumati (evaporati o incorporati in un prodotto) e inquinati per unità di tempo, il cui computo totale, in viticoltura, è dato dalla somma di tre componenti, “acqua blu”, “acqua verde” ed “acqua grigia”, il cui utilizzo incide in modo diverso sul ciclo idrogeologico. Quindi ci sono due indicatori relativi esclusivamente al ciclo del vino, la “Valutazione della gestione agronomica del Vigneto”, che valuta l’utilizzo degli agrofarmaci, la gestione del suolo, della fertilità e della sostanza organica, delle acque superficiali, l’uso delle macchine agricole e gli aspetti legati alla biodiversità aziendale, e l’”Indicatore Socio-Economico e di Qualità del Paesaggio”, che permette di integrare nella valutazione della sostenibilità gli aspetti ambientali, sociali ed economici, basandosi su un tool box kit di indicatori qualitativi e quantitativi capace di misurare la ricaduta sul territorio delle azioni intraprese dalle aziende.
“L’intento finale - spiega da Palermo il ministro dell’Ambiente Corrado Clini - è di sperimentare in Italia una metodologia produttiva certificata per ridurre i consumi energetici legati al processo produttivo del vino. È una grande opportunità per le nostre aziende, perché nei mercati internazionali esiste una grande richiesta di una certificazione di qualità ambientale, soprattutto per i prodotti di alto livello”. In Europa, del resto, si stanno già conducendo sperimentazioni simili, in Francia e Spagna, per individuare un protocollo che sia poi adoperabile da altre aziende, ma al momento non esiste ancora nulla di simile. Per questo Clini si augura di “poter presentare il risultato finale entro la fine della legislatura, con il riconoscimento della qualità ambientale e del rispetto ecosostenibile del prodotto italiano rispetto ad altri. Siamo convinti che non esiste conflitto tra impresa e ambiente: sono due facce della stessa medaglia e le aziende italiane devono essere protagoniste di questo cambiamento”.

Focus - Gli indicatori per la valutazione della sostenibilità nella produzione vitivinicola Italiana

Carbon Footprint
La carbon footprint è una misura che esprime in CO2 equivalente il totale delle emissioni di gas ad effetto serra associate direttamente o indirettamente ad un prodotto, un’organizzazione o un servizio. In conformità al Protocollo di Kyoto, i gas ad effetto serra da includere sono: anidride carbonica (CO2), metano (CH4), protossido d’azoto (N2O), idrofluorocarburi (HFCs), esafluoruro di zolfo (SF6) e perfluorocarburi (PFCs). La tCO2e (tonnellate di CO2 equivalente) permette di esprimere l’effetto serra prodotto da questi gas in riferimento all’effetto serra prodotto dalla CO2, considerato pari a 1 (ad esempio il metano ha un potenziale serra 25 volte superiore rispetto alla CO2, e per questo una tonnellata di metano viene contabilizzata come 25 tonnellate di CO2 equivalente). La misurazione della carbon footprint di un prodotto o di un processo richiede in particolare l’individuazione e la quantificazione dei consumi di materie prime e di energia nelle fasi selezionate del ciclo di vita dello stesso. A questo proposito l’esperienza degli ultimi anni suggerisce che il label di carbon footprint è percepito dai consumatori come un indice di qualità e sostenibilità delle imprese. Le aziende, oltre a condurre l’analisi e la contabilizzazione delle emissioni di CO2, si impegnano a definire un sistema di carbon management finalizzato all’identificazione e realizzazione di quegli interventi di riduzione delle emissioni, economicamente efficienti, che utilizzano tecnologie a basso contenuto di carbonio. Le misure di riduzione possono essere integrate dalle misure per la neutralizzazione delle emissioni (carbon neutrality), realizzabili attraverso attività che mirano a compensare le emissioni con misure equivalenti volte a ridurle con azioni economicamente più efficienti o più spendibili in termini di immagine (piantumazione di alberi, produzione di energia rinnovabile).

Water Footprint
L’impronta idrica è un indicatore del consumo di acqua dolce ed è definita come il volume totale di acqua dolce utilizzata per produrre beni e servizi, misurata in termini di volumi d’acqua consumati (evaporati o incorporati in un prodotto) e inquinati per unità di tempo. Nell’ambito del progetto del ministero per la prima volta in Italia si è sviluppata una metodologia per il calcolo dell’impronta idrica della vitivinicoltura comprendendo, quindi, la valutazione dei consumi e degli impatti direttamente generati dall’attività aziendale in vigneto ed in cantina.
Il computo globale della water footprint della vitivinicoltura è dato dalla somma di tre componenti:
Acqua blu: si riferisce al prelievo di acqua superficiale e sotterranea destinata ad essere utilizzata in campo ed in cantina. Si tratta dei volumi realmente consumati nel processo produttivo, infatti rappresentano la quantità di acqua dolce che non torna a valle del processo produttivo nel medesimo punto in cui è stata prelevata o vi torna, ma in tempi diversi.
Acqua verde: è il volume di acqua piovana evapo-traspirata durante il ciclo colturale della vite.
Acqua grigia: rappresenta il volume di acqua inquinata, quantificata come il volume di acqua necessario per diluire gli inquinanti in modo che la qualità delle acque rimanga sopra gli standard di qualità definiti (legali e/o ecotossicologici).
L’utilizzo delle tre componenti di acqua virtuale incide in modo diverso sul ciclo idrogeologico. Ad esempio, il consumo di acqua verde esercita un impatto meno invasivo sugli equilibri ambientali rispetto al consumo di acqua blu. La water footprint offre quindi una migliore e più ampia prospettiva su come la vitivinicoltura influisca sull’utilizzo delle risorse idriche. I risultati della sperimentazione condotta nelle 9 aziende italiane selezionate nell’ambito del progetto hanno rilevato un’impronta idrica per la bottiglia da 0,75 litri pari a circa 1000 volte il contenuto della stessa (l’impronta di una bottiglia di vino da 0,75 litri può variare da 700 a oltre 1000 litri). Per quanto riguarda la ripartizione nelle tre componenti l’acqua verde, che è rilevante per i prodotti agricoli, costituisce nel caso del vino una parte significativa del totale dei consumi, ma è bene ricordare che, nelle medesime condizioni spazio-temperali, un prato ne avrebbe richiesto un quantitativo maggiore. I consumi di acqua blu e grigia sono generalmente bassi evidenziando l’ottima efficienza nell’uso della risorsa in campo ed in cantina, e l’adozione in vigneto di pratiche adatte a minimizzare le contaminazioni dei corpi idrici superficiali e di falda. Circa 100 litri di acqua per un bicchiere di vino possono sembrare tanti, ma non lo sono se si considera che la maggior parte dei consumi è attribuibile all’acqua verde.

Valutazione della gestione agronomica del Vigneto
Basandosi sulla Direttiva 2009/128/CE sull’uso sostenibile dei fitofarmaci e sulle linee guida indicate dall’Oiv definite dalla guida Cst 1-2008, il progetto ha sviluppato un indicatore innovativo che prende in considerazione le pratiche di gestione agronomica del vigneto. In particolare valuta l’utilizzo degli agrofarmaci, la gestione del suolo, della fertilità e della sostanza organica, delle acque superficiali, l’uso delle macchine agricole e gli aspetti legati alla biodiversità aziendale.
L’indicatore si sviluppa in tre sezioni:
Uso dei prodotti fitosanitari: lo strumento analizza il rischio ambientale degli agrofarmaci in base alle proprietà chimiche e ai limiti eco-tossicologici, valutandone l’impatto potenziale a seconda del tipo di terreno dell’azienda e delle caratteristiche idrogeologiche e meteorologiche della zona.
Suolo: lo strumento si sviluppa su quattro moduli.
1. Considera l’uso dei fertilizzanti organici e minerali valutando il rischio legato agli effetti potenzialmente dannosi come l’eccesso di nutrienti nel terreno, la contaminazione dei corpi idrici e gli effetti sulla biodiversità rapportati alla percentuale di sostanza organica e alle caratteristiche fisiche del suolo, al rapporto C/N, al contenuto in N, P2O5 e K2O, e alle modalità di applicazione;
2. Valuta l’influenza che le operazioni colturali, con particolare riferimento all’utilizzo delle macchine agricole, e l’azione battente della pioggia possono avere sulla compattazione del suolo;
3. Valuta l’effetto delle pratiche di gestione del suolo sull’evoluzione della sostanza organica;
4. Valutando come le pratiche di gestione agronomica e l’uso delle macchine influiscano sulle perdite di suolo causate dall’erosione.
Biodiversità: l’indicatore tiene conto della presenza di aree a vegetazione naturale, o piantumate dal viticoltore, presenti in azienda e/o contigue ai vigneti, basandosi sul presupposto che la presenza di questa aree rappresenta un importante serbatoio di fauna utile. Si parte cioè dall’idea che più un paesaggio è diversificato e migliore è il suo stato ambientale.
Nell’indice utilizzato: le aree naturali hanno la massima qualità, le aree artificiali non hanno qualità in termini di paesaggio e le aree agricole hanno qualità solo se vi è diversificazione colturale.

Indicatore Socio - Economico e di Qualità del Paesaggio
Nel panorama complessivo dell’agricoltura italiana, il paesaggio disegnato dalla coltivazione della vite ha una importanza fondamentale e in alcuni casi (Langhe, zona del Prosecco nel Trevigiano, Collio e Colli Orientali del Friuli) il paesaggio viticolo è già oggetto di tutela o, addirittura come nel caso della Langhe, sta per essere riconosciuto come patrimonio dell’umanità. La sostenibilità non è infatti solo valutazione dell’impatto ambientale, e non è solo misurabile attraverso la valutazione dell’impronta idrica, carbonica, e dell’impatto ambientale dovuto alla gestione del vigneto. Pertanto, al fine di integrare nella valutazione della sostenibilità gli aspetti ambientali, sociali ed economici è stato costruito un tool box kit di indicatori qualitativi e quantitativi capace di misurare la ricaduta sul territorio delle azioni intraprese dalle aziende. Gli ambiti di inchiesta sono biodiversità , paesaggio, turismo, società e collettività, gestione delle risorse umane ed economiche.

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