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CHI L’AVREBBE MAI DETTO ... LA CRISI COLPISCE ANCHE IL CAFFE’. 70 MILIONI LE TAZZINE CONSUMATE OGNI GIORNO IN ITALIA, MA NELL’ULTIMO ANNO SE NE SONO BEVUTE L’1,4% IN MENO. LO DICE UNO “SPECIALE” OSSERVATORIO

Sono 70 milioni le tazzine di caffè che gli italiani consumano ogni giorno in 130.000 esercizi pubblici, ma in quest’ultimo anno, ne hanno bevuta qualcuna in meno: le vendite calano dell’1,4%. Anche se in modo contenuto dunque, la crisi tocca anche il settore del caffè, uno dei più vivaci del panorama food & beverage italiano, con oltre 700 aziende coinvolte a livello produttivo, quasi 7.000 addetti specifici e poco più di 3 miliardi di euro come valore complessivo della produzione, di cui oltre 600 milioni destinati all’esportazione. Un mondo a cui “Host 2011”, il salone internazionale dell’ospitalità professionale, in programma a Fieramilano fino al 25 ottobre (info: www.host.fieramilano.it), offrirà un’importante vetrina, punto di riferimento per gli operatori di tutto il mondo.
Dal proprio osservatorio, l’Associazione Caffè Speciali Certificati Csc Italia (ente indipendente che seleziona e certifica caffè crudi di qualità pregiata), registra che, nonostante la tendenza a riassorbire il rialzo dei prezzi delle materie prime per non ledere i consumi (nei primi mesi 2011, le quotazioni dell’Arabica sono salite ai massimi storici da 34 anni a questa parte), la flessione nel consumo del caffè al bar mantiene il trend negativo in atto dal 2007.
“Il 35% del fatturato dei 130.000 bar italiani ruota intorno ad espressi e cappuccini, da cui il consumatore è spesso deluso - commenta Enrico Meschini, presidente di Csc - mettiamoci in più il peso della crisi, le nuove abitudini che hanno affermato l’uso delle cialde e il ricorso ai distributori automatici ed ecco spiegato il perchè di questa flessione. Al mercato interno stagnante, si reagisce accelerando sull’export e puntando su miscele di pregio per fidelizzare il cliente, permettendo al locale di distinguersi e di offrire un’esperienza di consumo di alto livello”.
Parlando di valore del mercato del caffè, se il 30% è concentrato nel dettaglio alimentare, il restante 70% riguarda il settore dei consumi fuori casa (cioè al bar, al ristorante, negli esercizi commerciali). In termini di valore del business quindi, la ristorazione è largamente più importante rispetto al dettaglio alimentare (negozi e supermercati) in cui vengono commercializzati i due terzi dei volumi complessivi di caffè consumato in Italia, dato a cui corrisponde soltanto il 30% delle vendite in valore. Sul caffè lavorato in Italia, secondo dati recenti della Camera di Commercio di Milano (luglio 2011), la voce export in questo settore segna un andamento positivo (+21,2%): nel 2010 l’Italia ha esportato caffè torrefatto (non decaffeinizzato) per un valore di oltre 237 milioni di euro, destinato soprattutto a Germania (16,3%), Francia (14,3%) e Austria (7,9%).
“La nostra esperienza dice che la qualità ripaga degli investimenti necessari per perseguirla - continua Meschini - certi numeri dimostrano che all’estero si va sempre più radicando l’attenzione per caffè interessanti e di alto livello qualitativo, premiando i nostri caffè in maniera significativa. La nostra associazione si impegna da anni per affermare la cultura della qualità e, come già è accaduto per il vino, per legittimare la tazzina come consumo di gusto, non come una semplice consuetudine”.
Concetto troppo spesso abusato, la qualità del caffè è un’esigenza reale per gli esercenti e per i consumatori: il problema è piuttosto la definizione dei criteri per conseguirla. “Csc, ad esempio, ha voluto dotarsi di procedure rigorose, elaborate e rispettate proprio per ottenere uno standard qualitativo certo, costante e dimostrabile. Per noi sono speciali quei caffè che nascono dall’entusiasmo, dalla professionalità e dalla voglia di ricerca di tutti i soggetti coinvolti nel cammino che, dalla pianta nel paese d’origine, porta alla tazzina di caffè bollente. Ottenere uno specialty - conclude il presidente di Csc - richiede un grande impegno in termini di tempo, denaro, competenza e passione. Una via ardua da seguire, anche se ricca di soddisfazioni personali, difficile da far comprendere all’esercente e al consumatore: soprattutto se chi l’ha intrapresa non è una multinazionale o una potenza industriale”.

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