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FEDERVINI: IL VINO ITALIANO VINCE GRAZIE ALL’EXPORT E SI SCOPRE PRIMA VOCE DELL’“EXPORT FOOD”, TERZA IN ASSOLUTO DELLE ESPORTAZIONI. 10 MILIARDI DI EURO IL FATTURATO NEL 2010, META’ DEI QUALI DALL’ESTERO (4,6 MILIARDI DI EURO)

Italia
Lamberto Vallarino Gancia, riconfermato oggi presidente di Federvini

Il vino italiano vince grazie all’export e si scopre prima voce dell’“export food” nazionale, terza in assoluto delle esportazioni nazionali, confermandosi colonna portante dell’economia italiana. Il comparto, infatti, nel 2010 ha raggiunto un valore di 10 miliardi di euro, e una produzione totale di 54 milioni di ettolitri: di questi, ben 24,84 costituiscono la quota che prende la via dell’estero, per un valore totale di 4,6 miliardi. La conferma che quello del vino italiano è un settore in salute, arriva dall’assemblea generale Federvini (organizzazione di Confindustria), di scena oggi a Roma, ed è contenuta nella relazione del “riconfermato” presidente Lamberto Vallarino Gancia. È l’impennata dell’export, quindi, secondo Federvini, che riesce a sopperire alla contrazione della domanda interna, vittima di misure di contrasto e prevenzione che hanno contribuito ad aggravare l’andamento dei consumi interni.
In termini meramente numerici, stiamo parlando della prima voce dell’“export food” e della terza in assoluto tra le esportazioni nazionali, andamento confermato anche dai dati sui primi mesi del 2011, trainati sia dalla ripresa economica dei Paesi storicamente partner del vino italiano, come la Germania, che si conferma primo consumatore estero, con 6,91 milioni di ettolitri importati nel 2010, sia dall’aperura di nuovi canali di vendita nei Paesi emergenti, come la Russia, che fa segnare un + 64,1% sul 2009 in volumi importati dall’Italia. Un successo che, secondo Federvini, nonostante le difficoltà a trovare un linguaggio comune, deve molti dei suoi meriti ad una rinnovata capacità di fare attività promozionale all’estero, dove spesso vendere rappresenta una corsa ad ostacoli, tra dazi, analisi, licenze, leggi, che sembrano remare contro proprio nei mercati maggiormente attratti dal made in Italy. Ecco perché Federvini ha chiesto maggiore determinazione, sia nei confronti della Ue che nei confronti dei Governi dei Paesi interessati, tenendo ben presente l’importanza di un settore che ha versato all’erario 557 milioni di euro di accise e 1 miliardo di euro di gettito Iva.
“L’impegno di Federvini - sottolinea il presidente Lamberto Vallarino Gancia - deve anche indirizzarsi verso una maggiore sensibilizzazione del mondo politico ed amministrativo su alcuni provvedimenti in via di definizione, i cui effetti costituiscono un importante elemento nella tenuta e nello sviluppo futuro del comparto. Un esempio è la direttiva accise, le cui modifiche, se fossero state approvate avrebbero potuto rappresentare un danno irrimediabile. L’introduzione di nuovi metodi di classificazione dei prodotti ai fini dell’applicazione delle accise sui vini, spiriti, birra e prodotti intermedi, finirebbe infatti per costituire un ulteriore disincentivo al consumo”. Sottolineando l’importanza del settore come “uno dei motori delle esportazioni italiane”, il presidente Federvini osserva però che “numerosissimi sono stati gli ostacoli, soprattutto tecnici (dazi, analisi, licenze) che il settore ha incontrato su quei mercati che più di altri mostrano interesse verso i prodotti italiani”. Su questo, la federazione aderente a Confindustria auspica “una maggiore determinazione sia nei confronti della Ue, affinché faccia sentire più forte la sua voce, sia direttamente con i Governi dei paesi interessati, con cui l’Italia intrattiene rapporti economici diretti”. Vi sono anche aspetti sui quali Federvini chiede di tornare a riflettere, per esempio quello dei controlli. “Occorre - conclude Lamberto Vallarino Gancia - prestare attenzione e combattere quei controlli che finiscono per essere di fatto inutili orpelli e ulteriori oneri che non portano alcun beneficio concreto”.

L’editoriale - Il messaggio Federvini, raccolto da WineNews: vino, valore d’Italia
Il tono è pacato come si addice ad un’organizzazione storica come Federvini, di espressione confindustriale, con chiara proiezione al business, ma seria, rispettosa, autorevole. Il segnale lanciato è chiaro, ed è da mettere in agenda al punto n. 1 per tutto il mondo del vino: questo “mondo” deve preservare, anzi sviluppare, in rapporto con le Istituzioni (dal Governo alla società civile, dal Parlamento ai Comuni), uno stile di consumo mediterraneo (abbinamento tra vino-cibo, territorio, stile di vita, qualità della vita, benessere ...).
Non solo, tutto questo “mondo” si deve attivare nella promozione di modelli di consumo responsabile, gli unici in grado di combattere i rischi ed i pericoli di alcune mode che stanno affermandosi tra i giovani e le cui politiche di contrasto finora messe in atto finiscono per penalizzare soltanto l’ampia fascia di consumatori attenti e responsabili. O forse quanto succede in Italia è il segno dei tempi: non si riescono più a capire le vere potenzialità del nostro Paese, con una politica a volte distratta da argomenti non importanti per la vita quotidiana di imprese e persone. La bellezza dei territori ed i valori che esprimono, e il vino è tra questi, sono componenti fondamentali dell’Italia del vino. Una battuta, infine: è brutto vincere all’estero con questo simbolo del made in Italy, proprio per le sue vere e più intime caratteristiche, e perdere in casa dicendo che il vino è alcol e basta, dimenticando secoli e secoli di storia.
P.S. - Da non dimenticare: il rischio è anche che se ne vada in fumo un’economia enoica (10 miliardi di vino più indotto), e con essa la sana abitudine che il vino è un piacere della vita, a cui non rinunciare. Ed il rischio è che al danno, si aggiunga pure la beffa: pur in un contesto che registra da anni una progressiva riduzione nei livelli di consumo di bevande alcoliche, e nonostante alcune misure di contrasto e prevenzione, sono forse proprio queste che non si sono dimostrate efficaci ma hanno bensì aggravato l’andamento generale dei consumi.

Focus - I dossiers Federvini
I consumatori
Il mercato nazionale ha mostrato una contrazione dei consumi anche nel 2010. È un andamento che si ripete da diversi anni, cui contribuiscono tante distinte motivazioni: ma più di ogni altra, secondo Federvini, il continuo, forte allarmismo sulle modalità di consumo dei nostri prodotti, dagli aperitivi ai vini, dai liquori ai distillati. Non è corretto descrivere il nostro modello di consumo di bevande alcoliche sulla base di mode e modelli assolutamente deprecabili, di quei consumatori, in particolare del mondo giovanile - pochi, ampiamente in minoranza - che per nulla interessati alle caratteristiche del prodotto, cercano durante il fine settimana uno stordimento, un’evasione, un annullamento della realtà attraverso tante diverse sfide: dalla resistenza fisica per arrivare alla mattina dopo a quella dei consumi fuori di qualsiasi regola.
“Mode e modelli che proprio in quanto negativi - sottolinea il presidente Federvini - traggono gran parte della loro forza dall’eco mediatica, dal passaparola fuori controllo e dall’inevitabile fascino che il “proibito” esercita in un circolo perverso che, ci tengo a sottolinearlo, è interesse nostro, al pari delle Istituzioni, spezzare. Al danno che provocano a loro stessi, e talvolta anche ad altri, si aggiunge una comunicazione stampa di forte pregiudizio nei confronti di tutti i consumi, con il risultato che il consumatore moderato, il consumatore attento, quello che ha aiutato i settori, in particolare l’enologia italiana, a crescere proponendosi sul mercato con una percezione ed una realtà di qualità estremamente importante, oggi si allontana perché spaventato, perché teme di incappare in controlli e sanzioni anche per comportamenti che certamente non lo espongono ad alcun rischio.
Non possiamo, né vogliamo - aggiunge Gancia - tradire questo rapporto profondo con i consumatori. È grazie a loro e per loro che in tutti questi anni sono stati realizzati importanti investimenti, abbiamo migliorato la qualità dei nostri prodotti, abbiamo aumentato le nostre capacità produttive, abbiamo offerto la nostra migliore immagine alla loro valutazione, abbiamo cercato di interpretare al meglio le loro esigenze in un processo di miglioramento continuo, che avremmo piacere di vedere riconosciuto anche dalle Istituzioni. Se non riusciremo a ristabilire un rapporto di fiducia profondo, continueremo a perdere i consumatori attenti esponendo al rischio di sopravvivenza le nostre attività e importanti aree del territorio che non vedranno sostenuta la loro realtà economica”.
“Ma il danno più profondo - dice il presidente Federvini - lo sconteranno le future generazioni che non avranno nel consumatore moderato il testimone e l’insegnante per sviluppare e consolidare la sapienza nei consumi che ancora oggi è fortemente radicata nel nostro Paese e rischia di perdere terreno se non sarà alimentata da comportamenti ed attenzioni coerenti. Noi non abbiamo mai avuto dubbi su questo forte legame, ma per essere certi che non fosse solo una sensazione di noi addetti ai lavori, abbiamo chiesto la collaborazione del professor Mannheimer e del suo Istituto di ricerca che, indagando i comportamenti e le motivazioni che guidano l’approccio al consumo di bevande alcoliche sia nel nostro Paese che in altri Paesi dell’Unione europea, ci ha illustrato delle evidenze con estrema chiarezza e rigore, fatti che al tempo stesso ci confortano e ci sollecitano ad un rinnovato impegno nei confronti dei nostri consumatori, primi e fondamentali partners delle nostre attività. Richiamiamo, quindi, ancora una volta - dice Gancia - l’attenzione del Governo, del Parlamento, delle Regioni, degli Amministratori di tutti i Comuni d’Italia, perché si sentano sempre più coinvolti nell’informare ed educare i consumatori; a rincuorarli nella loro capacità di saper distinguere il consumo intelligente, il consumo attento ed il consumo quotidiano dall’abuso, da tutte le forme di consumo sbagliato”.
Perché il consumo “buono”, secondo Federvini, esiste ed è il consumo moderato, responsabile, secondo i tempi ed i modi che, da sempre, caratterizzano i momenti migliori della socialità, della convivialità della nostra società. “Non diciamo nulla di nuovo - prosegue Gancia - tuttavia è bene ripeterlo e ricordarlo a tutti con assiduità. Tutto questo, e molto altro, è quello che chiamiamo “Lo Stile Mediterraneo”. Lo sapevamo, lo abbiamo imparato dai nostri padri e dai nostri nonni, lo “Stile Mediterraneo” è radicato nella cultura, nella tradizione e nella società italiana, ed è nostro impegno consolidarlo e trasmetterlo alle generazioni future, oggi ancor più determinati anche grazie al fatto che la dieta mediterranea, che ne è una delle più alte espressioni, ha trovato il riconoscimento e la tutela dell’Unesco. Riprendendo questa rete di contatti incideremo con maggior forza su quegli aspetti di devianza che tanto preoccupano anche noi produttori e sui quali sappiamo attenti ed impegnati il Ministero della Salute ed il Ministero della Gioventù”. Per il presidente Federvini, l’attenzione al mercato nazionale è fondamentale ma certamente non assorbe tutte le nostre energie perché è stato proprio il mercato internazionale che ha compensato il settore permettendogli di raggiungere traguardi di grandissimo successo.
La fiscalità
Sono due le considerazioni di Federvini in tema di fiscalità, una a carattere politico ed una tecnica per gli importanti cambiamenti normativi che sono intervenuti in merito ai documenti di trasporto dei prodotti italiani. Quando sentiamo parlare di fiscalità nei nostri settori il pensiero vola subito all’accisa, dice Federvini: se le voci giungono da Bruxelles, sappiamo di essere di fronte ad un nuovo tentativo di introdurre un’accisa positiva sul vino e di dover rispondere ancora una volta alla richiesta di considerare la fiscalità sulle bevande alcoliche come uno strumento di politica sociale. Anche nel 2010 Federvini ha avuto queste discussioni a fronte di uno studio affidato dalla Commissione Europea ad un istituto inglese di analisi economiche che avrebbe dovuto sostenere l’opportunità della modifica della direttiva accise. Questo studio, con un’impostazione e delle conclusioni molto articolate, fortemente criticate da Federvini, si è concentrato fra l’altro su due elementi: un giudizio negativo sul permanere dell’accisa zero applicata al vino ed agli altri prodotti fermentati, per le difficoltà che genera nel sistema degli scambi comunitari, “elemento ben capzioso - sottolinea Lamberto Vallarino Gancia - se guardiamo sia i dati del commercio intracomunitario del vino, sia quali Paesi abbiano realizzato i maggiori incrementi. I maggiori incrementi li abbiamo avuti in Paesi che applicano accise elevate sul vino ed ancor più elevate sui liquori e le acquaviti”.
L’altro elemento, è la modifica delle diverse categorie fiscali previste dalla direttiva accise oggi esistenti, motivata con la circostanza che le tecnologie produttive odierne possono consentire modifiche alla composizione dei prodotti finalizzate all’inserimento degli stessi in tre categorie distinte per fasce di gradazione, anticamera della tassazione unica a grado per qualsiasi bevanda alcolica. “Anche in questo caso - spiega Gancia - descrivendo dei possibili prodotti, che nella realtà proprio non esistono, si è cercato di utilizzare la tecnologia come un grimaldello per tornare a discutere delle categorie fiscali. Ancora una volta la Commissione Ue, insieme ad alcuni Governi nazionali che la hanno molto sollecitata, ha visto fallire il tentativo ma siamo purtroppo certi che ve ne saranno di nuovi. Diamo atto al Ministero dell’economia ed ai suoi rappresentanti a Bruxelles che la posizione dell’Italia è stata ferma nel respingere ogni ipotesi di ridiscussione della direttiva e di conseguenza dell’accisa “zero” sul vino”.
Se queste sono le preoccupazioni di scenario che giungono da Bruxelles, quando il tema accise viene toccato in Italia la materia genera altrettante preoccupazioni: sempre più spesso si propone di utilizzare come formula di copertura di eventuali spese o oneri a carico del bilancio dello Stato l’aumento delle accise sugli spiriti, sulla birra e sui prodotti intermedi. “Non siamo la soluzione per tutte le occasioni - dice Gancia - oltre al peso diretto che viene chiesto al settore ed ai nostri consumatori, l’aumento delle accise genera un supplemento di costi amministrativi che non appaiono ma che sono rilevanti: ad esempio il maggior costo delle cauzioni che dobbiamo accendere a favore dello Stato sugli stabilimenti di produzione e sulla movimentazione dei prodotti. Come si può pensare che in un momento così particolare per i consumi dei nostri prodotti, sia possibile alle imprese far fronte senza problemi a variazioni sia nei costi diretti sia nella disponibilità di liquidità immediata per versare i maggiori incrementi di accisa? Noi non lo comprendiamo”, aggiunge il presidente Federvini. I dati mostrano chiaramente che il gettito è in discesa ed eventuali incrementi determinerebbero un’ulteriore compressione ed esporrebbero al rischio di chiusura molte piccole e medie imprese che non sopporterebbero i maggiori oneri diretti ed indiretti.
Passando all’aspetto tecnico, il 2010, secondo Federvini, ci ha visto ancora intensamente impegnati nel preparare l’avvio della movimentazione dei nostri prodotti con un nuovo sistema di gestione dei documenti di trasporto, avendo avuto dal 1 gennaio 2011 concreta attuazione, non solo a livello italiano ma anche comunitario, la dematerializzazione dei documenti di accompagnamento, e cioè dei Daa, utilizzati per la movimentazione dei nostri prodotti. “Le aziende associate alla Federazione sono arrivate preparate - spiega il presidente Federvini - anche se le sorprese non sono mancate, all’importante appuntamento avendo avuto un confronto continuo e serrato con l’Agenzia delle Dogane che ha consentito alle stesse di effettuare numerose prove sperimentali. È chiaro che la dematerializzazione di questo documento non costituisce la massima semplificazione possibile e la panacea di tutte le criticità di un sistema prima totalmente cartaceo”. È stato, infatti, necessario un investimento in tecnologia da parte delle imprese, poi un lungo processo di coordinamento nonché sicuramente anche un cambio di mentalità e di approccio a tali realtà. Le disposizioni del nuovo Testo Unico Accise, infatti, prevedono un diverso approccio sistematico alla gestione amministrativo/contabile dei depositi fiscali. Ad esempio, spiega Gancia, “il fatto che entro l’autunno attendiamo i Decreti del Direttore dell’Agenzia delle Dogane con cui verranno abrogati alcuni registri cartacei che ormai datate disposizioni regolamentari prevedono come obbligatori per i depositi fiscali. Tale attività andrà a sostenere un’altra importante novità che abbiamo avuto nel 2010: l’autorizzazione a tenere in forma esclusivamente elettronica la gran parte dei registri delle contabilità dei depositi fiscali e la trasmissione dei dati contabili dei depositi agli organi dell’Amministrazione Finanziaria esclusivamente in forma telematica”.
La promozione
I brillanti risultati nell’export conseguiti nel 2010 soprattutto dal comparto vinicolo, che il primo scorcio del 2011 conferma, non sono frutto del caso, secondo Federvini. Sono anni che i produttori affrontano i mercati con grinta, con determinazione e sempre più insieme: “non è ancora un viaggiare generalizzato di comune accordo - secondo il presidente Gancia - ma credo che nella coscienza di tutti sia chiaro che il successo è anche da legare a questo nuovo modo di affrontare i mercati esteri”. Guardando ai prossimi anni, ed alle misure di cofinanziamento che l’Unione Europea attraverso l’Ocm mette a disposizione degli operatori, è necessario, dice Federvini, proseguire nella richiesta che la Federazione da anni porta avanti: una cabina di regia che aiuti e mettere a sistema gli investimenti nella promozione non solo come coordinamento economico-finanziario, ma anche come coordinamento tecnico, anche limitato, nei messaggi che portino il mercato estero a riconoscere subito la firma italiana; che consentano di comprendere, qualunque sia la lingua del mercato di consumo, che è l’Italia che gli sta inviando quel messaggio. I primi anni sono trascorsi con una forma di coordinamento a corrente alternata, non ancora vera cabina di regia; forse in conseguenza dei diversi cambi che l’Italia ha avuto alla guida del Ministero delle Politiche Agricole. “Abbiamo continuato ad insistere e ci sembra che i nostri stimoli abbiano dato impulso all’avvio di forme di organizzazione più efficienti ed efficaci - sottolinea Gancia - sono dei primi importanti segnali: il percorso è ancora lungo e richiede molta determinazione e buona volontà da parte di tutti i protagonisti. Tenuto conto della grande rilevanza dell’export dell’agroalimentare, e nell’ambito di questa voce del primato del settore vinicolo, è forte l’auspicio che le imprese e le proprie voci di rappresentanza siano considerate sempre più partner di grande affidamento ed esperienza”.
La tutela dei riferimenti geografici
L’ultima Ocm ha portato a dover rivedere l’assetto delle disposizioni in materia di denominazioni per andare incontro al sistema di classificazione dei riferimenti geografici nelle due famiglie, denominazione di origine protetta ed indicazione geografica protetta, che l’Unione Europea ha imposto in quasi tutti i settori agroalimentari. Questo cambiamento nasce dalle nuove regole del Wto, anche se purtroppo in quell’ambito il registro delle indicazioni geografiche per vini, liquori e distillati, continua a restare tristemente vuoto, secondo Federvini, e vuole assicurare una migliore tutela e protezione dei nostri elementi geografici ora protetti direttamente a livello europeo.
Questa innovazione nello stesso tempo ha imposto di rivedere molti disciplinari di produzione ed ora impone di trasformare tutti i disciplinari in altrettante schede tecniche da inviare a Bruxelles. Alla maggior tutela e protezione si sono accompagnate delle importanti innovazioni regolamentari: ad esempio per le Igt oggi si impone di fissare la coincidenza, pur con un regime di possibili deroghe, tra l’area di vinificazione e l’area di produzione delle uve. “Ho la sensazione - precisa Gancia - che diversi cambiamenti siano stati introdotti in Italia senza procedere ad un’efficace analisi dello scenario; pertanto, i provvedimenti che ne sono conseguiti non hanno beneficiato di quel processo di valutazione globale indispensabile per una migliore armonia nelle decisioni”. Per esempio, spiega il presidente Federvini, non si è mai ampiamente discusso di come applicare alle Igt la regola della “zona limitrofa” nella definizione della zona di produzione. Anzi, seguendo il criterio del caso per caso, si è creata della confusione che ora rende più complessa la ricerca di possibili soluzioni comuni.
Per Gancia, “il settore del vino è un settore a valenza economica nazionale al di là della rilevanza che singole denominazioni o singoli ambiti territoriali possono avere. Il settore vitivinicolo è presente, in maniera pressoché omogenea su tutto il territorio nazionale, con riflessi importantissimi non solo sul settore vitivinicolo”, ma come ha dimostrato una ricerca del Cueim (Consorzio Universitario di Economia Industriale e Manageriale) su stimolo della Federazione, induce un enorme sviluppo economico, a monte e a valle, “12” volte superiore al valore iniziale dell’investimento nel settore. “Dunque quando si vanno a delineare le regole del settore - spiega Gancia - le stesse hanno un impatto maggiore ed attraverso la concatenazione, visto che nessun ambito locale è a sé stante, sull’intera economia nazionale. Se non entriamo in questa ottica di analisi del settore vinicolo, continueremo a lasciare le imprese in balia del contrasto che vi può essere, anche solo per esigenze momentanee, tra un ambito territoriale ed un altro”.
Altra criticità, secondo Federvini, è il nuovo ruolo che i Consorzi hanno assunto, ruolo che per alcuni aspetti compete loro in relazione alla lunga tradizione che ha accompagnato l’attività di questi enti. Però i nuovi compiti sono particolarmente rilevanti e, nello stesso tempo, possono determinare degli effetti anche su aziende non attive nel Consorzio. Questo, per Federvini, chiede di porre la massima attenzione alle regole di valutazione sul grado di rappresentatività del Consorzio, oggi certamente non equilibrato verso il sistema delle imprese. E questo, dice Gancia, “sia in generale per tutti i Consorzi quale che sia la tipologia della denominazione che utilizzano e tutelano, sia con maggior convinzione nei confronti ad esempio del Consorzio di tutela del vino liquoroso.
Appare evidente come per questi prodotti calcolare la rappresentatività sul prevalente apporto della parte agricola mette ai margini tutte quelle aziende che con grandi investimenti, attenzione ed impegno hanno finora custodito il patrimonio rappresentato dalla denominazione”.
Osservatorio di settore
Da Federvini arriva la richiesta dell’istituzione di un osservatorio economico nazionale che segua le dinamiche economiche fondamentali, ne esegua un approfondimento a supporto delle centinaia di migliaia di operatori dei nostri settori che da soli non possono affrontare o recuperare questo tipo di analisi. “Oggi stiamo mettendo le basi per la politica agricola degli anni futuri e sembra che l’unico punto cruciale sia il mantenimento del divieto di nuovi impianti o la loro liberalizzazione - dice il presidente Lamberto Vallarino Gancia - evitiamo qualsiasi malinteso: non è in discussione la rilevanza di questa materia. Il nostro settore quando pensa ad investimenti nel vigneto deve guardare mediamente ai futuri venticinque anni; deve mantenere un equilibrio nelle proprie scelte sapendo che anche la più attenta analisi difficilmente gli consentirà di intuire quali potranno essere le preferenze del consumatore già solo da qui a cinque anni. E questa riflessione è ancor più importante quando sono in gioco denominazioni o distretti produttivi particolarmente rilevanti. Però - aggiunge Gancia - non possiamo considerare la discussione sui diritti d’impianto quale punto unico della nostra riflessione che deve essere più ampia e tale da consentire di guardare con altrettanta attenzione sia la produzione che il mercato. Non è questione di chi prevale, non è questione di supremazia: è l’esigenza indispensabile di considerarci “filiera” dove la produzione deve trovare sbocco sul mercato e dal mercato devono arrivare le indicazioni che trovano attenta la produzione. Se non entriamo in quest’ottica - dice ancora Gancia - il primo nostro concorrente sarà sempre il vicino di casa, mentre è indispensabile che le energie, le attenzioni e gli investimenti siano dedicati al consumatore finale: è dalla sua scelta che dipende il nostro successo. E per raggiungere questo obiettivo la filiera non deve avere esitazioni”.
Il Decreto Legislativo 61/2010
Alla mutata impostazione comunitaria ha fatto seguito la necessaria modifica del quadro normativo nazionale: per i prodotti a denominazione di origine e ad indicazione geografica abbiamo avuto, nell’aprile del 2010, il nuovo Decreto Legislativo che ha fissato le modalità di passaggio dalle regole della Legge 164/92 al nuovo impianto comunitario. Il Comitato nazionale per la tutela e la valorizzazione delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche tipiche dei vini - nelle sue due articolazioni, la Sezione Amministrativa e quella Interprofessionale - è stato chiamato ad un lavoro straordinario per fare in modo che le denominazioni di origine e le indicazioni geografiche italiane avessero le carte in regola per essere presentate a Bruxelles ed ottenere così la tutela e la protezione comunitaria. Questa fase di passaggio si chiuderà a dicembre 2011 quando cesserà anche l’attività di questa edizione del Comitato: dovrà essere nominato il nuovo, fortemente alleggerito nella composizione, come prevede il Decreto Legislativo 61/2010, ma forse anche nei compiti, prevalentemente consultivi.
Come già sottolineato, dice Federvini, è stato fatto tantissimo con l’apporto delle Regioni e della Segreteria Amministrativa: ma è mancato talvolta il disegno di insieme. Le esigenze congiunturali, le spinte che provenivano da questo o quel territorio, ci hanno portato ad avere profonde differenze nei nostri disciplinari, da quelli che riconoscono la piena tradizionalità a territori produttivi antichi e rinomati a quelli che hanno come valenza principale la valorizzazione e tutela di vitigni autoctoni; a quelli, infine, che rincorrono nomi già noti ed immediatamente riconoscibili dai consumatori internazionali. Il quadro d’insieme che ne è scaturito è di grandissima rilevanza per la valorizzazione dei territori e per la disciplina di tantissime denominazioni articolate su tantissime tipologie. Però, nello stesso tempo, secondo Federvini, presenta alcune incongruenze che, si augura la federazione, superata la fase straordinaria che si è dovuto affrontare come conseguenza della riforma e del calendario europei, portino ad una valutazione più serena e spingano a realizzare accorpamenti ed a migliorare le definizioni degli ambiti territoriali.
I controlli
In materia di controlli, la riforma comunitaria ha introdotto una novità consistente con l’obbligo della certificazione da parte di enti terzi; ancora una volta, secondo Federvini, il settore è giunto preparato ma diviso all’interno della filiera sulle strategie e sugli obiettivi. Questo ha fatto sì che in alcuni casi venissero adottate decisioni che ci rendono “diversi” dai nostri partners europei.
“Vogliamo mantenere la diversità per quel che riguarda il rigore dei controlli e l’immagine di un sistema efficiente - sottolinea il presidente Gancia - ma non possiamo svolgere la nostra attività con controlli che generano costi e ripetizioni di atti che nulla danno né al settore vitivinicolo,né al consumatore, mentre sottraggono tante risorse alle imprese”.
Ed il dibattito proprio in queste settimane diventa particolarmente caldo per quel che riguarda le Igt. “Nelle ultime due campagne vendemmiali - spiega Gancia - abbiamo beneficiato di un regime transitorio con i controlli affidati all’Ispettorato Centrale Qualità e Repressione Frodi, cui siamo particolarmente grati per essersi sobbarcato questo rilevante impegno. Ora è in dirittura di arrivo il Decreto che intende definire il passaggio dei controlli agli enti terzi ed anche in questo caso stiamo assistendo alla previsione di nuovi appesantimenti amministrativi e burocratici. Pur se è noto a tutti, voglio ricordare e sottolineare che gran parte dei successi conseguiti in questi anni dal vino italiano è stata realizzata con i vini ad indicazione geografica, perché i loro disciplinari presentano una maggiore versatilità, perché i loro sistemi di produzione consentono di cogliere meglio le formule di contenimento dei costi anche legati alla logistica di produzione. Si rischia, invece, con le nuove regole di vedere allineata questa categoria con i vini a denominazione di origine, per i costi che i controlli andranno a generare, insieme al mutato quadro produttivo che ho già ricordato. Così facendo rischiamo di perdere la grande flessibilità e la grande adattabilità di questi vini ai tempi di richiesta che possono giungere dal mercato”. Dunque controlli sì, insieme a tutte le garanzie per il consumatore come è consuetudine normale del settore agroalimentare italiano ed ancor più storicamente del settore del vino italiano; ma attenzione, dice Federvini, a tutti quelli che possono essere inutili orpelli o ulteriori oneri da cui nessuno trae beneficio.
La disciplina del lavoro
L’anno trascorso è stato caratterizzato soprattutto dalla fase di gestione del Ccnl rinnovato il 22 settembre 2009. A tale riguardo, spiega Federvini, sono stati attuati due importanti impegni assunti nel Ccnl Industria alimentare. Il primo è rappresentato dalla costituzione, nel mese di gennaio, della Cassa nazionale per il rischio vita dei lavoratori dell’industria alimentare, che offre una copertura assicurativa a favore degli eredi dei dipendenti a tempo indeterminato deceduti in costanza di rapporto di lavoro. Alla Cassa - resa operativa dal mese di luglio - aderiscono 130.000 lavoratori per un totale di circa 4360 Aziende. Il lavoro di messa a punto del nuovo Organismo è stato molto impegnativo, anche perché rappresenta una novità nel panorama degli enti di natura contrattuale presenti nel settore manifatturiero. Il secondo obiettivo riguarda la costituzione del Fondo di assistenza sanitaria integrativa dell’industria alimentare, volto a fornire prestazioni di assistenza sanitaria ai lavoratori a tempo indeterminato e ai contrattisti a termine con durata del rapporto pari o superiore a 9 mesi. A tale riguardo, è stato recentemente sottoscritto a livello nazionale un accordo per l’accantonamento da parte delle aziende, a decorrere da gennaio 2011, della contribuzione al Fondo sanitario prevista dall’accordo di rinnovo del Ccnl 22 settembre 2009.

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