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Agricoltura, cibo, cambiamento climatico: futuro del pianeta e di Slow Food ricomincia dalla Cina, sede del Congresso internazionale dell’organizzazione fondata da Carlo Petrini (da oggi al 1 ottobre a Chengdu). Parole chiave: inclusività e apertura

Non Solo Vino
Carlo Petrini

La Cina è il più grande Paese al mondo, economia che oggi, insieme (o forse più) a quella americana ed europea, può decidere il futuro del pianeta. Anche a partire dal cibo, che nel Paese asiatico è un coacervo di culture culinarie, gastronomiche e agricole millenarie, ma anche tema di grande attualità sul fronte dell’approvvigionamento, della sicurezza alimentare e non solo. Ecco perchè prorio dal Celeste Impero può partire una nuova rivoluzioni per l’agricoltura e l’alimentazione planetaria. Ed ecco perchè Slow Food, il movimento fondato 30 anni fa da Carlo Petrini, che ha cambiato l’approccio al cibo e alla filiera che lo produce in tutto il mondo, ha scelto proprio la Cina come sede del suo congresso internazionale n. 7, da oggi al 1 ottobre a Chengdu (www.slowfood.com).

Scelta che ha un grande valore simbolico, poiché questo paese affronta da qualche anno ormai il dilemma di come nutrire un quinto dell’umanità avendo a disposizione solo il 7% dei terreni agricoli, considerano inoltre il fatto che a partire dagli anni Ottanta ha fatto una serie di scelte devastanti per l’ambiente. Di contro, come detto può invece vantare una cultura contadina ultramillenaria e in questi ultimi anni sta elaborando un Programma nazionale con il quale si impegnerà a ridurre le proprie emissioni in una percentuale compresa fra il 60 e il 65% entro il 2030. Oltre 500 i delegati, da 90 Paesi del mondo, che dovranno eleggere il presidente e le nuove cariche e, soprattutto, segneranno quel processo che porterà a “a disegnare l’assetto che avrà Slow Food nei prossimi dieci, venti anni. Tra le parole chiave ci saranno internazionalità e globalità, intese sia come diffusione globale del movimento, sia come organizzazione senza barriere, aperta e inclusiva”, spiega Slow Food. Al centro del congresso, ovviamente, il grande tema del cambiamento climatico globale, partendo anche proprio dalla “case history” cinese, con il Governo di Pechino che, negli ultimi anni, spiega ancora Slow, “ha deciso di intraprendere una fase di transizione verso un modello di sviluppo verde, più attento all’ambiente, alla qualità e alla salubrità del cibo. Tra le varie rivoluzioni che la Cina sta compiendo c’è, ad esempio, la recente decisione del governo di tagliare il consumo di carne del 50%. Una scelta che gioverà non solo alla salute dei cinesi (una percentuale molto elevata della popolazione è colpita da patologie legate a una non corretta alimentazione), ma anche a quella del pianeta, riducendo le emissioni di CO2 e limitando la deforestazione che si pratica per far spazio agli allevamenti”.

“Come si sfamerà l’umanità del futuro? Come metteremo fine alle storture che oggi vediamo acuirsi e che poggiano saldamente su un sistema produttivo che, partendo dai beni di consumo, ha infine pervaso anche la sfera del cibo per arrivare, attraverso di esso, fino nel profondo del nostro stesso modo di pensare e di guardare al mondo?”: queste le questioni che, in un editoriale sul quotidiano torinese “La Stampa”, pone il fondatore e presidente internazionale Carlo Petrini. Secondo cui, come detto, le parole chiave del congresso, e del futuro, saranno “inclusività e apertura. L’esperienza della rete di Terra Madre ce lo ha fatto capire dal 2004 a oggi. Non possiamo pensare di incidere profondamente sul sistema alimentare restando soli, isolandoci sulle nostre posizioni e avendo paura di contaminarci, di mischiarci, di incrociare strade che non sono le nostre e di ascoltare voci che suonano diversamente. Se vogliamo sperare di essere realmente trasformativi non possiamo prescindere dal formare alleanze e reti, dal coinvolgere soggetti diversi su tematiche comuni. È ora di consentire alle idee giuste di camminare anche su gambe altrui, proprio perché le nostre sono spesso stanche e fragili. Solo così un nuovo rapporto tra città e campagna, uno sviluppo rurale realmente inclusivo, una comunità di consumatori (meglio co-produttori) informati e consapevoli, un’agricoltura pulita e rigenerativa nei confronti delle risorse ambientali e della biodiversità, il cambiamento climatico, il benessere animale, l’accesso a un cibo buono e giusto per tutti potranno diventare realtà e potranno regalarci un futuro degno e promettente per tutti. Essere attivisti del cibo oggi per Slow Food significa occuparsi di queste questioni e farlo insieme a tutti coloro che come noi credono che dal nodo del cibo passi molto dell’avvenire dell’umanità”.

E ava anche in questo senso la campagna di “Menu for Change”, lanciata da Petrini a “Cheese 2017”, a Bra, e che dalla Cina assume una dimensione internazionale fondamentale, per quella che, passando anche dal cibo e dall’agricoltura, secondo Carlìn è “la sfida più tremenda per il mondo intero, quella della violenza dei cambiamenti climatici, che richiede immediati cambiamenti collettivi e individuali” (https://goo.gl/DgGd8D).

Il settore agricolo, ricorda Slow Food è responsabile del 21 - 24% (Fao 2015) delle emissioni totali, a fronte del 37% di quello energetico, 14% dei trasporti e l’11% dell’industria. Nel settore agroalimentare, la fonte principale di emissioni di gas-serra arriva dall’allevamento zootecnico che (vedi l’assurda crescita degli allevamenti intensivi) da solo, produce il 40% delle emissioni dell’intero settore. A questa fonte segue quella della distribuzione di fertilizzanti sintetici: 13% delle emissioni agricole.

E il conto da pagare è salatissimo, soprattutto in alcune zone del mondo. “Nonostante siano tra i minori produttori di gas serra, l’Africa e i paesi più deboli sono i primi a scontare le conseguenze del riscaldamento globale. E i primi a pagarne le conseguenze sono contadini, pastori e comunità indigene costretti quindi a migrare. Con la promozione dell’agroecologia, la tutela della biodiversità, stando a fianco dei produttori sul campo, Slow Food in Africa e in tutto il mondo contribuisce a sviluppare pratiche di mitigazione e adattamento. Molto deve essere fatto e Slow Food non può vincere da sola” interviene John Kariuki, vicepresidente della Fondazione Slow Food per la Biodiversità.

Risponde il cinese Tiejun Wen, decano esecutivo dell'Istituto di studi avanzati per la sostenibilità, Renmin University, e Istituto per la ricostruzione rurale, Southwest University: “Per affrontare i cambiamenti in atto è necessario lavorare sull’integrazione fra il contesto urbano e quello rurale. In Cina, il sistema fondato sullo sviluppo delle aree urbane spesso non è in grado di rispondere alle istanze delle aree rurali, che vanno valorizzate nelle proprie specificità. Tre concetti vanno posti al centro di questo sviluppo: la solidarietà per i diritti dei contadini, la sicurezza agricola ecologica, la sostenibilità ambientale rurale. E per far ciò bisogna passare da un modello politico fondato sul capitale a uno fondato sulle persone”.

E dalla nostra rete, arriva l’intervento di Mbaye Diongue, immigrato senegalese in Italia: “in Senegal, le conseguenze devastanti del cambiamento climatico hanno già iniziato un percorso insidioso e inarrestabile nelle zone costiere, come Bargny o Saint-Louis, dove interi quartieri sono stati inghiottiti dal mare che avanza. La grande domanda che riguarda noi africani, e in generale i paesi poveri o in via di sviluppo, è se abbiamo meritato tutto questo, dove stia la nostra colpa. In Africa, abbiamo contribuito poco o niente al cambiamento climatico. Perché dobbiamo subirlo senza avere gli strumenti, i mezzi, la capacità reale di far fronte ai cambiamenti in corso?”.

Anche in Italia, il comparto agricolo è un emettitore netto di gas-serra e contribuisce per circa il 7% alle emissioni totali nazionali. E anche in Italia gli effetti del cambiamento climatico minano le nostre produzioni più preziose: “l’Europa ha passato l’estate con una drammatica siccità interrotta da improvvise alluvioni che hanno causato disastri idrogeologici, colpendo soprattutto le zone rurali più indifese. E il paradosso è che proprio l’agricoltura industriale contribuisce alle incessanti emissioni che scaldano il pianeta. Ma esistono modelli agricoli differenti. Bisogna agire. I governi con gli obiettivi globali di contenimento delle emissioni, ciascuno di noi con le proprie scelte quotidiane” auspica Francesco Sottile, docente di Coltivazioni arboree e Arboricoltura speciale presso l’Università di Palermo.

“Ridurre le emissioni non può più essere una possibilità da rimandare, è un obbligo. E ognuno deve intervenire: eliminiamo del tutto gli sprechi, soprattutto alimentari. Ogni europeo spreca 179 kg di cibo ogni anno. Pensate che il cibo buttato consuma una quantità d’acqua pari al flusso del fiume Volga e utilizza inutilmente 1,4 miliardi di ettari di terreno - quasi il 30% della superficie agricola mondiale. Tradotto in emissioni? Lo spreco alimentare è responsabile della produzione di 3,3 miliardi di tonnellate di gas-serra (ndr, Fao 2015). Cerchiamo di prediligere prodotti di prossimità, di mangiare poca carne ed evitare quella che arriva da allevamenti intensivi. E poi poniamoci poche e semplici domande: come è stato prodotto il cibo che condivido con la mia famiglia? Da dove arriva? Di quanta energia e di quanta acqua ha avuto bisogno? Slow Food lavora per divulgare questa conoscenza e per valorizzare e sostenere quelle produzioni che scelgono pratiche agricole e produttive resilienti ed ecologiche, le uniche che possono contribuire alla mitigazione e all’adattamento al cambiamento climatico. Aiutateci a portare avanti i nostri progetti, anche una piccola donazione fa la differenza” conclude Carlo Petrini.

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