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Tanto desiderate quanto maledette: le stelle Michelin disegnano la costellazione degli chef mondiali, ma non tutti sanno reggerne il peso. Lo chef Sébastien Bras (Le Suquet) restituisce le tre stelle: “continueremo a dare il massimo, senza pressioni”

Non Solo Vino
Lo chef francese Sébastien Bras

E se il problema, alla fine, fossero le luci della ribalta, tanto cercate quanto, alla fine, insostenibili? Certo, lo chef, o meglio il cuoco, non è un lavoro come un altro, è anzi uno dei più stressanti e logoranti (appena dietro chirurghi e poliziotti), ma da quando il mondo della tv ha fatto degli chef le nuove celebrità, e quello delle guide ha portato la competizione a livelli che, con la cucina, hanno ben poco a che fare, qualcosa è cambiato. A “pesare” più di ogni altra cosa, in maniera quasi mitica ma crudamente reale, sono le stelle Michelin, la voglia di conquistarle, la paura di perderle che, più di una volta, ha portato grandi chef alla follia, se non addirittura al suicidio, tra delusioni, depressione e, spesso, debiti. È andata così, drammaticamente e per motivi diversi, a Bernard Loiseau, Pierre Jaubert e Franco Colombani, ma anche, più recentemente, a Benoit Violier. Non andrà, così, invece, a Sébastien Bras, chef francese proprietario del “Le Suquet”, ristorante di famiglia che, dal 1999, vanta tre stelle Michelin. Che adesso, d’accordo con la propria famiglia, ha deciso, ringraziando per il privilegio e l’onore, di restituire. L’ha fatto affidando le proprie parole ad un messaggio video, postato sulla pagina Facebook del ristorante, in cui Bras ha spiegato di voler “dare una svolta alla mia vita, professionale e non, ma continuando a fare il mio lavoro, con la stessa passione e curiosità di prima, ma senza la pressione di questi anni, in cui ognuno dei 500 piatti che ogni giorno lasciava le nostre cucine sarebbe potuto essere quello giudicato dal critico di turno. Vogliamo avere lo spirito libero, e continuare nel nostro lavoro serenamente e senza pressioni, per far vivere nel nostro ristorante l’espressione reale del nostro stato d’animo, della nostra accoglienza, del nostro servizio e, soprattutto, del nostro territori”.

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