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#stopCETA: Coldiretti, organizzazione alleate e agricoltori uniti in Piazza Montecitorio per denunciare la legittimazione del falso Made in Italy. A rischio sono anche la produzione di grano e carni, ma soprattutto la salute degli italiani

Per la prima volta nella storia l’Unione Europea legittima in un trattato internazionale la pirateria alimentare a danno dei prodotti Made in Italy più prestigiosi, accordando esplicitamente il via libera alle imitazioni che sfruttano i nomi delle tipicità nazionali, dall’Asiago alla Fontina dal Gorgonzola ai Prosciutti di Parma e San Daniele. Inoltre, la sospensione dei dazi, spalancherebbe la porta a un’invasione di grano e carne, tale da mettere in ginocchio le aziende italiane. È l’allarme lanciato dalla Coldiretti, che parla di un precedente disastroso a livello internazionale in occasione della mobilitazione di migliaia di agricoltori che hanno lasciato le campagne per invadere la Capitale, in Piazza Montecitorio davanti al Parlamento, dove è in corso la discussione per la ratifica del Trattato di libero scambio con il Canada. Un accordo che colpisce anche il formaggio italiano più esportato nel mondo, il Parmigiano Reggiano, che potrà essere liberamente prodotto e commercializzato dal Canada con la traduzione di Parmesan.
L’iniziativa #stopCETA è condivisa con un'inedita ed importante alleanza con altre organizzazioni Cgil, Arci, Adusbef, Movimento Consumatori, Legambiente, Greenpeace, Slow Food International, Federconsumatori, Acli Terra e Fair Watch) che chiedono di fermare un trattato sbagliato e pericoloso per l’Italia. La svendita dei marchi storici del Made in Italy agroalimentare non è solo un danno sul mercato canadese ma è soprattutto un pericoloso precedente nei negoziati con altri Paesi anche emergenti che sono autorizzati cosi a chiedere le stesse concessioni. Per denunciare il pericoloso “cavallo di troia” è stato esposto per la prima volta su un banco della Coldiretti il “maxipacco” dono del falso Made in Italy con le imitazioni delle specialità nazionali più prestigiose, dai formaggi ai salumi, realizzate in Canada che il paese nordamericano sarà di fatto autorizzato a produrre e vendere ai consumatori di tutto il mondo con la ratifica del trattato.
Nel cesto della Coldiretti tra i vari prodotti ci sono Asiago, Romano, Montasio, pecorino friulano, romanello, scamorze, Crotonese, Fontina, provoloncino friulano salami, cacciatore salami, veneto salami, mortadella Italia salami, prosciuttino Italia salami, soppressata salami Italia, Siciliano italian style salami, Toscano italian style salami, Napoli italian style salami e San Daniele prosciutto tutti rigorosamente prodotti in Canada. Ma nessun limite è previsto nell’accordo neppure per i wine kit che promettono di produrre in poche settimane le etichette più prestigiose dei vini italiani, dal Chianti al Valpolicella, dal Barolo al Verdicchio che il Canada produce ed esporta in grandi quantità in tutto il mondo.
Casi eclatanti di sfruttamento delle denominazioni per prodotti che nulla hanno a che fare con quelli originali, di cui rappresentano di fatto delle caricature come il Romano che scimmiotta il pecorino romano ma è fatto con latte di mucca invece che con quello di pecora. Secondo il Dossier della Coldiretti, ben 250 denominazioni di origine (Dop/Igp) italiane riconosciute dall’Unione Europea non godranno di alcuna tutela sul territorio canadese. Peraltro il trattato dà il via libera all’uso di libere traduzioni dei nomi dei prodotti tricolori (un esempio è il parmesan) mentre per alcuni prodotti (asiago, fontina e gorgonzola) è consentito in Canada l’uso degli stessi termini accompagnato con “genere”, “tipo”, “stile”, e da un’indicazione visibile e leggibile dell’origine del prodotto. Ma se sono stati immessi sul mercato prima del 18/10/2013 possono essere addirittura commercializzati senza alcuna indicazione.
La tutela delle indicazioni geografiche riconosciute non impedisce l’uso in Canada di indicazioni analoghe per coloro che abbiano già registrato o usato commercialmente tale indicazione (sono compresi nell’eccezione formaggi, carni fresche e congelate e carni stagionate). In sostanza si potrà continuare a produrre e vendere “prosciutto di Parma” canadesi in coesistenza con quello Dop ma anche “Daniele Prosciutto” locale. È anche riconosciuta la possibilità di utilizzare parti di una denominazione di una varietà vegetale o di una razza animale (come ad esempio la chianina).
“La presunzione canadese di chiamare con lo stesso nome alimenti del tutto diversi è inaccettabile - ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo - perché si tratta di una concorrenza sleale che danneggia i produttori e inganna i consumatori. Si rischia di avere un effetto valanga sui mercati internazionali dove invece l’Italia e l’Unione Europea hanno il dovere di difendere i prodotti che sono l’espressione di un’identità territoriale non riproducibile altrove, realizzati sulla base di specifici disciplinari di produzione e sotto un rigido sistema di controllo. L’Italia, che è leader in Europa nella qualità alimentare con 291 specialità Dop/Igp riconosciute a livello comunitario e 415 vini Doc/Docg - conclude Moncalvo - non può accettare passivamente la banalizzazione del proprio patrimonio conservato da generazioni. Deve invece farsi promotrice in Europa di una politica commerciale contro l’omologazione e più attenta alle distintività”.
Si unisce al coro Martino Cerantola, alla guida della delegazione veneta di Coldiretti: “L’Asiago è già canadese!”. E, infatti, l’imitazione del formaggio è stata scovata e inserita fra i prodotti del “maxi pacco” contenente i falsi Made in Italy. Ma non sono a rischio solamente i prodotti trasformati tutelati dai disciplinari nazionali: sono a rischio di sopravvivenza anche la produzione nostrana di grano e di carne. Con la prospettiva dell’accordo di libero scambio tra Unione Europea e Canada sono aumentati del 15% gli sbarchi di grano duro del Paese nordamericano in Italia nei primi due mesi del 2017, con manovre speculative che stanno provocando la scomparsa della coltivazione in Italia. Il trattato spalancherebbe le porte all’invasione dal paese nordamericano di grano, la principale coltivazione dell’Italia particolarmente diffusa nelle aree più deboli del Paese ma che prevede anche il via libera all’importazione a dazio zero per circa 75.000 tonnellate di carni suine e 50.000 tonnellate di carne di manzo dal Canada dove vengono utilizzati ormoni per l’accrescimento vietati in Italia.
“La concorrenza sleale provocata dalle importazioni spacciate come tricolori ha provocato il taglio dei prezzi pagati ai produttori agricoli sotto i costi di produzione - precisa Moncalvo - con la decimazione delle semine di grano che in Italia sono crollate del 7,3% per un totale di 100.000 ettari raccolti in meno. In pericolo non ci sono solo la produzione di grano e la vita di oltre trecentomila aziende agricole che lo coltivano, ma anche un territorio di 2 milioni di ettari a rischio desertificazione e gli alti livelli qualitativi per i consumatori garantiti dalla produzione Made in Italy”. Oggi, con le quotazioni del grano a 24 centesimi al chilo, gli agricoltori italiani ne devono vendere più di 4 chili per poter acquistare un caffè. Una realtà che rischia di essere aggravata dall'approvazione del Ceta, che prevede l’azzeramento strutturale dei dazi indipendentemente dagli andamenti di mercato. Circa la metà del grano importato dall’Italia arriva, infatti, proprio dal paese nordamericano dove le lobby sono già al lavoro contro l’introduzione in Italia dell’obbligo di indicazione della materia prima per la pasta previsto per decreto e trasmesso all’Unione Europea, trovando purtroppo terreno fertile anche in Italia.
Una necessità per nascondere ai consumatori il fatto che già lo scorso anno sono arrivate in Italia oltre un milione di tonnellate dal Canada dove viene fatto un uso intensivo di glifosato nella fase di pre-raccolta per seccare e garantire artificialmente un livello proteico elevato che è però vietato in Italia perché accusato di essere cancerogeno. In assenza dell’etichetta di origine non è possibile conoscere un elemento di scelta determinante per le caratteristiche qualitative, ma si impedisce anche ai consumatori di sostenere le realtà produttive nazionali e, con esse, il lavoro e l’economia nazionali. L’81% dei consumatori italiani ritiene che la mancanza di etichettatura di origine nella pasta possa essere ingannevole secondo la consultazione pubblica on-line sull'etichettatura dei prodotti agroalimentari condotta dal Ministero delle Politiche Agricole.
Per denunciarne i rischi gli agricoltori della Coldiretti hanno distribuito sacchetti di grano canadese con la scritta “No al granocanadese con glifosato in preraccolta vietato in Italia”. Tale sostanza chimica è stata vietata in pre raccolta in Italia dal 22 agosto 2016, con l’entrata in vigore del decreto del Ministero della Salute, perché accusata di essere cancerogena. Un pericolo quindi anche per i consumatori visto che i cereali stranieri risultati irregolari per il contenuto di pesticidi sono praticamente il triplo di quelli nazionali, a conferma della maggiore qualità e sicurezza del Made in Italy, sulla base del rapporto sul controllo ufficiale sui residui di prodotti fitosanitari negli alimenti divulgato l’8 giugno 2017 dal Ministero della Salute. I campioni con un contenuto fuori legge di pesticidi sono pari allo 0,8% nel caso di cereali stranieri mentre la percentuale scende ad appena lo 0,3% nel caso di quelli di produzione nazionale.
Ancora una volta, quindi, il settore agroalimentare è divenuto merce di scambio nelle trattative internazionali senza alcuna considerazione del pesante impatto che ciò comporta sul piano economico, occupazionale e ambientale e della sicurezza. “E’ necessaria - sottolinea Moncalvo - una valutazione ponderata e approfondita dell’argomento, soprattutto in considerazione della mancanza di reciprocità tra modelli produttivi diversi che grava sul trattato”. Nel Ceta manca infatti ogni riferimento alla portata vincolante del principio di precauzione che, in Europa, impone una condotta cautelativa nelle decisioni che riguardano questioni scientificamente controverse circa i possibili impatti sulla salute o sull’ambiente. L’accordo prevede, al contrario, l’applicazione del principio di equivalenza delle misure sanitarie e fitosanitarie tra le parti, consentendo di ottenere il mutuo riconoscimento di un prodotto (e, quindi, di evitare nuovi controlli nel paese in cui verrà venduto), dimostrandone l’equivalenza con quelli commercializzati dalla controparte.
Il problema è che, in Canada, viene utilizzato un numero rilevante di sostanze attive vietate nel Ue. Gran parte di queste sono molecole risalenti agli anni ’70 vietate nell’Unione da circa 20 anni, tra cui l’Acefato, il Carbaryl, il Carbendazim, il Fenbutatin oxide, il Paraquat l’Acido solforico per i quali, oltre all’elevata tossicità riscontrata, sono comprovati, o comunque non sono esclusi, effetti neurotossici, cancerogeni, sulla mutagenesi, sulla riproduzione e, più in generale, sugli ecosistemi In Canada, inoltre, è consentito l’uso della streptomicina impiegata per la lotta alle batteriosi delle colture, mentre in Italia l’utilizzo di antibiotici in agricoltura è proibito sin dal 1971. Analogamente nel paese nordamericano vi è un diffuso impiego di Ogm nei campi e di ormoni negli allevamenti che sono anch’essi vietati in Italia.
“Nei trattati - precisa Moncalvo - va riservata all’agroalimentare una specificità che tuteli la distintività della produzione fermando una escalation che mette a rischio la tutela della salute, la protezione dell’ambiente e la libertà di scelta dei consumatori”. È il caso delle condizioni favorevoli che sono state concesse al Marocco per pomodoro da mensa, arance, clementine, fragole, cetrioli, zucchine, aglio, olio di oliva, all’Egitto per fragole, uva da tavola, finocchi e carciofi, oltre all’olio di oliva dalla Tunisi. Ma a pesare sono pure gli effetti dell’embargo Russo che è costato all’Italia quasi un miliardo di euro nel solo settore agroalimentare.

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