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Accelera l’iter diplomatico per l’accordo di cooperazione economica fra UE e Giappone: via i dazi su agroalimentare e componentistica auto - e buone notizie per le cantine italiane, che in terra nipponica soffrono la concorrenza cilena e australiana

Sull’onda dei roboanti proclami protezionistici del Presidente Trump, e a valle di una sua visita in terra europea che ha confermato quanto il rapporto tra le due sponde dell’Atlantico si sia fatto fragile sotto la sua presidenza, si intensificano le notizie che danno come ormai in dirittura d’arrivo l’accordo di cooperazione economica (Epa) fra Unione Europea e Giappone: secondo quanto riportato dal “New York Times” (www.nytimes.com), che ha potuto ottenere copia di una bozza del testo, l’accordo dovrebbe essere fissato nel 90% dei suoi punti principali dal Premier giapponese Abe ai primi del mese prossimo, sulla scia della sua presenza al G20 di Amburgo del 7 luglio.
L’accordo, oltre ad avere una sua evidente importanza dal punto di vista economico e geopolitico (Ue e Giappone “muovono” congiuntamente un’economia da 20 triliardi di Euro l’anno, e hanno avuto un interscambio commerciale pari a circa 125 miliardi nel 2016), contiene molte buone notizie per l’agroalimentare europeo, e quindi anche tricolore. Uno dei punti principali sui quali battono i negoziatori europei è infatti quello dell’annullamento dei consistenti dazi che il Giappone impone sui prodotti alimentari provenienti dall’Ue, e che includono una gabella tra il 30 e il 40% sui formaggi, del 38,5% sulle carni bovine, di fino al 30% sul cioccolato, di fino al 24% sulla pasta, del 15% sul vino (o un minimo di 125 yen - un Euro circa - per litro) e del 9% sui pomodori in scatola. Inoltre, dato non secondario, i negoziatori Ue desiderano che l’Epa includa il riconoscimento di 205 prodotti ad indicazione geografica, in modo da garantirne l’esclusiva vendita con il nome corrispondente - e quindi tutelando per legge le eccellenze “made in Italy” in terra nipponica. In cambio, il Giappone vedrebbe azzerati i dazi del 10% attualmente imposti dall’Unione su veicoli e componentistica automotive nipponiche: una concessione molto allettante per quello che è attualmente il sesto partner commerciale dell’Ue, e il quinto Paese importatore di vino al mondo (25,9 milioni di litri nel 2016, secondo dati Vinexpo-Iwsr).
Sebbene l’export di vino italiano nei paesi extra-Ue abbia tenuto il passo con la crescita della media mondiale degli scambi nel primo trimestre di quest’anno (+6,3% contro +6,1%), secondo l’analisi dell’Osservatorio Paesi Terzi di Business Strategies sui 12 mercati più importanti, che insieme rappresentano il 96% del totale, l’Italia enoica ha visto il suo export calare del 4,4% in valore verso il Giappone, in un quadro nel quale l’Asia pesa per il 6,5% nell’export vinicolo nazionale, contro il 4,6% del 2006. L’Impero del Sol Levante è un mercato nel quale l’Italia si trova obiettivamente messa in difficoltà, oltre che dall’onnipresente Francia, anche da due competitor che godono dei vantaggi portati da Epa bilaterali già ratificati e attivi, ovvero Australia e Cile. Non è infatti raro vedere una rappresentazione plastica di questo stato di cose negli scaffali dedicati al vino degli onnipresenti “konbini” nipponici: i vini francesi, come di consueto, dominano le fasce di prezzo più alte, mentre i vini cileni e australiani, a parità di prezzo, sono ben più rappresentati di quello tricolore, e altrettanto succede nell’horeca. Non a caso, dato che l’Epa firmato nel 2007 ha gradualmente portato i dazi sul vino cileno all’attuale 2,3% (dando al Paese sudamericano la leadership in volume nel 2015), mentre per quello australiano la percentuale è ancora al 7,5%, dato che l’accordo tra Giappone e Australia è entrato in vigore solo nel 2015. Per i vini europei, l’Epa prevederebbe un azzeramento totale dei dazi nel giro di otto anni dalla sua ratifica: secondo il funzionario Ue Pedro Silva Pereira, interpellato in materia da “Politico” (www.politico.eu), “abbiamo indicazioni del fatto che il governo giapponese farà concessioni sui dazi agricoli, particolarmente per quanto riguarda carni suine e vino, il che potrebbe permetterci di ammorbidire le nostre richieste in tema di dazi sui latticini, la cui negoziazione è stata particolarmente difficile”. Il governo Abe, come da consolidata tradizione, ha infatti opposto molte resistenze a misure che potrebbero indebolire la fragile industria agroalimentare del Giappone, storicamente teso tra un’autarchia culturale plurisecolare e la necessità di garantire una nutrizione bilanciata e completa ai 127 milioni di abitanti che abitano l’arcipelago nipponico, particolarmente povero di terre coltivabili e, di conseguenza, primo consumatore di pesce al mondo. Una situazione storica che ha portato ad uno sfruttamento insostenibile delle risorse ittiche nei mari circostanti apertamente sovvenzionata dallo Stato nipponico, e sul quale, così come sulla caccia alle balene, l’Unione Europea ha dovuto concedere terreno nei negoziati bilaterali, passando da richieste esplicite a laconici “inviti” a cambiare la situazione.
Note dolenti di una negoziazione dalla quale, ad ogni buon conto, potrebbero essere ingenerati molti effetti positivi per entrambi i paesi: secondo uno studio condotto dalla London School of Economics citato dalla Commissione Europea le esportazioni dall’Ue verso il Giappone potrebbero aumentare di un terzo, e il Pil consolidato dell’Unione di circa lo 0,8%, in un quadro nel quale 600.000 posti di lavoro europei sono legati all’export verso il Paese dell’estremo Oriente. Si verrebbe così a creare un blocco commerciale di pari dimensioni a quello che coinvolge i tre Paesi nordamericani firmatari del Nafta, ovvero Usa, Messico e Canada, e che è ad oggi la più grande zona economica di libero scambio del mondo. Un quadro nel quale, infine, se il vantaggio competitivo dei vini cileni e australiani venisse a cadere nel medio termine, il comparto enoico italiano potrebbe finalmente competere ad armi pari con questi ultimi.

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