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Quando la bolla mediatica sul cibo si esaurirà assisteremo a un “crepuscolo degli chef”, e l’unica luce rimarrà quella dei veri protagonisti della cucina italiana: i produttori di materie prime e lavorate. Ieri messaggio-dibattito a “Taste - Firenze”

Tra food porn, Masterchef, cuochi che sembrano rockstar e tutta la grande abbuffata mediatica su internet e tv, il cibo è ormai diventato una vera ossessione contemporanea. Ma quando questa bolla inizierà a sgonfiarsi capiremo chi sono “i veri protagonisti della cucina italiana” che “non sono certo gli chef bensì i produttori di materie prime e lavorati. Loro dovrebbero essere gli ambasciatori da mandare nel mondo a far conoscere il made in Italy”. Ne è convinto il Gastronauta Davide Paolini che all’argomento ha dedicato il suo ultimo libro, “Il crepuscolo degli chef. Gli italiani e il cibo tra bolla mediatica e crisi dei consumi”, e che l’ha voluto affrontare insieme a chef stellati in uno dei “Ring” a Taste, il salone dedicato alle eccellenze del gusto e alla food culture, ieri, a Firenze. A fianco del “Gastronauta” Paolini, che è anche l’ideatore di Taste, gli stellati Vito Mollica, executive chef Four Season (Milano e Firenze), Marco Stabile, chef e patron del Ristorante Ora d’Aria (Firenze), Antonello Sardi, chef de La Bottega del Buon Caffè (Firenze), Andrea Mattei, head chef del Ristorante Meo Modo (Resort Borgo Santo Pietro, Chiusdino), e Luca Landi, chef del Lunasi (Hotel Plaza e de Russie, Viareggio).
Il libro e il Ring, “non sono un j’accuse nei confronti degli chef - ha esordito Paolini - bensì ho preso loro a pretesto perché in questo momento sono il centro dell’attenzione mediatica intorno al cibo. Credo che sia un momento in cui prima o poi ci sarà un crepuscolo per il mondo del cibo, per il semplice motivo che i dati economici non corrispondono a quelli virtuali”.
Infatti, ha sottolineato il Gastronauta, “se da un lato contiamo 15 milioni di foto su internet che riguardano il cibo, 25.000 blog dedicati, migliaia di siti, a cui si aggiungono 77 trasmissioni televisive che parlano di mangiare e 1.200 libri, dall’altro assistiamo a un crollo dei consumi: dal 2007 a oggi siamo tornati ai livelli di 30 anni fa, e se andiamo a vedere la differenza tra aperture e chiusure di locali che si occupano di cibo, siano essi alta ristorazione o semplici paninerie, nel 2014 lo scarto è stato negativo di 10.000 unità, nel 2015 di 9.000 esercizi e lo scorso anno si parla di 13.000”. Per Paolini “vuol dire che qualcosa non va, e fin tanto che il dato virtuale reggerà probabilmente i grandi chef potranno permettersi di continuare fare altro rispetto al loro mestiere e integrare le entrate del ristorante, che non sempre sono tante, scrivendo libri, facendo i testimonial o trasmissioni Tv. Ma quando questa allucinazione mediatica comincerà a calare non so cosa succederà”. “Spero che in questo crepuscolo - ha detto ancora - una luce rimarrà accesa ma questa luce non potrà essere altro che quella dei produttori di materie prime o di lavorati, perché sono loro i veri protagonisti della cucina italiana e non certo gli chef. Credo che sia un paradigma che esiste ma che ancora nessuno vuol riconoscere”.
E allora, “basta con gli showcooking dei cuochi, facciamoli fare ai casari, ai pescatori, agli agricoltori. Non mandiamo gli chef a cucinare per 40 persone nelle ambasciate, mandiamo piuttosto i nostri produttori nei supermercati esteri. Uno dei più grandi chef al mondo, il francese Paul Bocuse, con cui chiudo il libro, di recente ha così ammonito i suoi colleghi: io li ho fatti uscire dalle cucine, ora è arrivato il momento di rientrare”, ha concluso Paolini.
Un segno dei tempi e di questo, è stato ricordato, è che “negli ultimi anni sono aumentati studenti degli istituti alberghieri. Molti di loro vogliono fare gli chef e non il cuoco, andare in Tv, fare pubblicità, vendere i libri e fare i testimonial”. A proposito del crepuscolo della professione, secondo Vito Mollica “di spazio per noi chef ce ne sia ancora tanto. Magari cambierà il modo in cui saremo visti. Questo è un momento eccezionale in cui i giovani vedono noi chef come potenziali mete. Un tempo c’erano il pilota d’aero o il calciatore, ora c’è anche il cuoco. Non so quanto questo durerà ma di sicuro a livello di mestiere e di lavoro durerò tantissimo. Il cibo, specie per la nostra nazione, è una componente economica e tradizionale fortissima, e abbiamo il dovere e il diritto di lavorare e far conoscere in giro per il mondo quello che i produttori continuano a creare. Questo contraddistinguerà in futuro sempre di più la professione dello chef. Come per il mondo del vino, dove si beve meno ma si beve meglio, anche in futuro si mangerà meno ma si mangerà meglio”. Per Marco Stabile, il domani della sua professione sarà con “i cuochi in cucina a cucinare, meno esibizionismo e più cucina vera. Io il futuro lo vedo così, ed è quello che sto già facendo oggi. Ritorneremo alla nostra normalità, non siamo showman o ideatori di fantasie “astronomiche”, ritorniamo alla concretezza, dare gusto vero e fare cose buone da mangiare, basate su prodotti buoni. La gente è satura, come tutte le cose perché non c’è stato un limite e oggi torniamo indietro alla cultura gastronomica e non al sensazionalismo”. Ma c’è anche chi, come Luca Landi, ha confessato di essere “sempre uscito poco dalla cucina. I cuochi non sono degli attori, oggi c’è chi intraprende questo mestiere non per cucinare ma per andare in tv. Se le scuole alberghiere oggi sono piene di studenti è perché la Tv gli fa vedere un mondo che non esiste. Quando andavo alla scuola alberghiera, eravamo in 32 in classe, oggi solo in due facciamo i cuochi professionisti”.

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