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Cosa ci lascia “Identità Golose” 2017? Un tema importante e controcorrente, quello del viaggio, un racconto della cucina attraverso la scoperta e l’innovazione, e tanti spunti da un mondo, quello della ristorazione, che non si stanca di reinventarsi

Non Solo Vino
Niko Romito e Angel Leòn, chef protagonisti a Identità Golose 2017

Si chiude il sipario su “Identità Golose”, ma cosa rimane dell’edizione 2017? Prima di tutto, un messaggio forte, perché il tema scelto da Paolo Marchi, “La forza della libertà: il viaggio”, è in netta controtendenza in un mondo in cui vince la paura della diversità e la voglia di erigere muri piuttosto che facilitare l’incontro e la contaminazione, aspetti fondamentale in cucina, dove non c’è spazio né per il protezionismo né per l’intolleranza. Ma rimangono anche tanti spunti e stimoli, idee di ogni genere, più o meno sorprendenti, lanciate dai migliori chef del Paese, che hanno declinato il tema del viaggio attraverso storie e progetti.
Come quello di Niko Romito, che dal suo Reale, tre stelle Michelin a Castel di Sangro (L’Aquila), ha iniziato ormai da un anno e mezzo “un viaggio metodologico e sociale: riguarda la mia missione di cuoco. Si parte da Rivisondoli, Roma e Milano - ha spiega Romito - e potrebbe serenamente estendersi a New York, Londra e Tokyo. Vogliamo portare l’alta cucina a strati sempre più estesi di consumatori, scendere al livello della gente, allargare la proposta di “cucina del mezzo”. Generare più anelli di congiunzione tra alta ristorazione e trattoria. Per arrivare al concetto di “Intelligenza Nutrizionale”: un tipo di ristorazione pensata su larghissima scala, carceri, mense scolastiche, linee aeree”. Lo chef del Reale è partito da un luogo particolare, di sofferenza, l’ospedale, con la collaborazione dell’Università della Sapienza di Roma. “Mi sono chiesto se non si potesse cucinare del cibo buono, sano e anche bello per donare un sorriso al paziente - ha raccontato ancora il cuoco tristellato - così abbiamo messo a punto un protocollo di ricerca sperimentale. Inizialmente dovevamo lavorare su tre aspetti: il food cost, il gran numero di piatti e il personale non specializzato delle cucine degli ospedali, dove abbiamo lavorato per un anno e mezzo, capendo subito che le norme sanitarie impongono derrate di qualità in entrata; ma non in uscita. Cioè, se distruggo degli spinaci in cottura nessuno se ne cura. È lì che occorreva intervenire”. Come? “Applicando sette tecniche di alta ristorazione agli ingredienti di sempre dell’ospedale: il siringaggio, il sottovuoto, la salamoia, la cottura ad alta temperatura con pellicola di amido, la cottura al vapore, la cottura della pasta (a 80 gradi) e l’uso del carrello di servizio (come rigeneratore dei piatti)”.
Il viaggio di Heinz Beck, anche lui tristellato Michelin alla Pergola dell’Hotel Cavalieri di Roma, ha invece le sembianze di una busta, spedita da chissà dove, con la citazione di un detto africano all’esterno, “Ciò che non hai mai visto lo trovi dove non sei mai stato”, ed una sorpresa all’interno: un panino non panino, ossia un non piatto, concetto estremo di uno chef che conosce le cucine del mondo come pochi altri.
Ma il viaggio porta sempre con sé nuovi ingredienti, l’Italia, come ha ricordato qualche giorno fa lo stesso Marchi, proprio a WineNews, deve buona parte della sua ricchezza gastronomica a prodotti arrivati da lontano, se non da lontanissimo. Ma c’è ancora tanto da scoprire: dal mare e dagli oceani, ad esempio, arrivano i minuscoli granchi liofilizzati che hanno magicamente illuminato i calici portati sul palco dallo chef spagnolo Angel Leon, due stelle Michelin a Puerto de Santamaria, vicino Cadice. Dove ha coltivato un legame con il mare profondissimo, solcandolo e scoprendolo fin negli abissi di un ingrediente che ormai ha conquistato più di uno chef in giro per il mondo: il plancton, lanciato nei suoi piatti da ormai dieci anni, e che torna, sul palco di Identità Golose, con Philippe Léveillé, il cui viaggio è cominciato in Bretagna, dove è nato, ed è arrivato fino a Concesio, provincia di Brescia, dove ha conquistato due stelle Michelin con il “Miramonti l’Altro”. Il suo incontro tra Italia e Francia? Provocatorio, formaggio e frutti di mare: acqua di mozzarella, foglia di ostrica, cozze, vongole, un tocco di plancton e una galette di blé noir e burro di alghe.
Certo il plancton non è l’ingrediente più strano a prendersi la scena della kermesse milanese, primato che spetta senza grandi dubbi ad uno dei pastifici più amati del Belpaese, Pastificio Felicetti: “noi - ha raccontato Riccardo Felicetti - stiamo già facendo sperimentazione per una pasta con l’80% di farina di semola e il 20% di farina di grillo”. Una sperimentazione, almeno per ora, visto che la farina di grillo e gli insetti edibili in Italia non possono essere venduti come prodotti alimentari, come capita invece in altri Paesi europei che hanno interpretato in maniera non restrittiva la normativa europea sul “novel food”.
Tra i protagonisti più attesi, e non poteva essere altrimenti, Carlo Cracco, che, tra le altre cose, ha annunciato il suo addio dopo 6 edizioni a “MasterChef”, con rumors sempre più insistenti che danno Antonia Klugmann, chef stellata de “L’Argine” a Vencò, in provincia di Gorizia, come possibile sostituta: sarebbe la prima chef donna alla conduzione di “MasterChef”, e darebbe seguito alle dichiarazioni dello stesso Cracco, che in un’intervista a Repubblica si era augurato l’arrivo di una “quota rosa” al suo posto. Tra i tanti aspetti toccati, quello del gelato, un settore ancora in attesa di un disciplinare che fa fatica ad arrivare, e chissà se mai arriverà, una sorta di Godot del gusto, per un prodotto ed un’attività sempre più in balia di fattori contingenti. Primo tra tutti, il consumo prettamente stagionale che crea incertezza e fatturati oscillanti, imponendo così alle attività, spesso piccole imprese familiari, di cercare soluzioni alternative per assicurare costanza sui 12 mesi, “la gelateria tradizionale è moribonda” dice Paolo Brunelli da Senigallia, ma lo si riscontra ovunque, nelle chiusure nei mesi invernali, o nell'apertura ad altre categorie merceologiche, si tratti di pasticceria o cioccolateria. “Il problema è che il gelato vive di un consumo di prossimità - dice Simone Bonini di Carapina - si fanno centinaia di chilometri per un ristorante o una pizzeria, ma quando si tratta di gelato si entra nel primo posto che capita”. Serve che al gelato venga riconosciuto un ruolo e un valore, mancanza di cui, forse, i gelatieri sono vittime corresponsabili: “come pensare che venga riconosciuto come un prodotto di qualità quando ancora si vendono coni pagando un prezzo fisso a prescindere dal gusto? Nessuno pensa a fare prezzi diversi per gusti diversi”, come capita, per esempio per la pizza, anche quella al taglio.
Già, la pizza, lei sì che ha fatto un gran bel viaggio, emancipandosi ormai come come piatto declinabile ad ogni livello, anche il più alto, come dimostrano le declinazioni che ne hanno dato Franco Pepe (Scarpetta, con due consistenze e stagionature diverse di Grana Padano, un battuto di 3 pomodori e basilico disidratato) e Sarah Minnick della Lovely’s Fifty Fifty di Portland, in Oregon (spinaci, carote fermentate e peperoncino, capperi, limone, pomodori schiacciati e feta) tanto da farla diventare, per la prima volta, “Piatto dell’anno” di Identità Golose. Reinterpretata da un altro grande chef, Massimiliano Alajmo, in tre nuove forme: oltre alla pizza cotta al vapore, su cui lavora da anni, arrivano il MaxCalzone, il MaxCalzino, ed il Centopezze, con diversi strati di impasto diversi e elementi aromatici e grassi differenti. Nulla di strano, così, se proprio la pizza di Franco Pepe è stata capace di conquistare una delle “piazze” di riferimento dell’incontro tra alta cucina e vino, quella del Relais l’Albereta: il 9 marzo apre il chiosco “La Filiale”, con un menu totalmente dedicato alla pizza, grazie all’incontro e all’amicizia che lega Martino de Rosa e Franco Pepe. Un feeling cementato da una visione comune sull’importanza del territorio, sul concetto di ospitalità e dal costante desiderio di mettersi in gioco e sperimentare: da qui l’idea di abbinare il meglio della pizza a grandi vini, un omaggio alla Franciacorta ma anche un’apertura a nuove frontiere del gusto (www.albereta.it).
Infine, andiamo un po’ fuori tema, ma solo un po’, con il “Premio Cuoco dell’Anno” by Contadi Castaldi, assegnato dalla redazione di “Identità Golose” a Riccardo Camanini, chef alla guida del ristorante Lido 84 a Gardone di Riviera, che ha mosso i primi passi del suo viaggio, ancora agli inizi, proprio all’Albereta, al fianco di una leggenda come Gualtiero Marchesi. Amato dai grandi chef come Massimo Bottura, Alain Ducasse, Corey Lee, chiamato ai congressi di tutto il mondo, Camanini è sicuramente quello che più tra i giovani Chef italiani, sta rivoluzionando l’idea di cucina stellata. Alla fine degli anni novanta vola nelle cucine stellate di Londra e Parigi - con esperienze a Le Manoir aux Quat Saison, 2 stelle appuntate sul petto di Raimond Blanc e una seconda a La Grande Cascade di Parigi, a spiare il mestiere di chef come Jean Louis, braccio armato di Alain Ducasse, per poi approdare sul lago di Garda, alla guida dei fuochi di Villa Fiordaliso dove per 16 anni mantiene senza sforzo la meritata stella Michelin, prima di dar vita al suo progetto più ambizioso e riuscito, quello del Lido 84.

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