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Azienda produttrice di olio dop confiscata in Sicilia, di proprietà del boss Messina Denaro: la produzione, però, non si ferma, grazie alla nuova etichetta “Extraetico”. Secondo Eurispes, il mercato dell’agrimafia vale 16 miliardi, +12% in 2 anni

Ancora beni confiscati alle mafie. Questa volta si tratta di 4 aziende sigillate l’11 febbraio, 108 immobili (tra ville, appartamenti, magazzini, laboratori, terreni) e conti correnti. Sarebbero proprietà del boss latitante Matteo Messina Denaro, che a Trapani aveva un giro di affari di milioni di euro legato alla produzione di olive, e quindi di olio. Dal giorno del sequestro queste aziende non hanno mai fermato la produzione, ma l’olio Dop di Messina Denaro è già diventato simbolo dell’antimafia, grazie all’etichetta “Extraetico”, patrocinata dall’associazione Libero Futuro, la cooperativa Spazio Libero e il tribunale di Trapani.

“Dietro la latitanza di Messina Denaro c’è un nuovo modello di mafia, sganciato dal territorio, che fa degli affari un percorso criminale molto particolare. Un percorso che passa dal contributo di insospettabili professionisti e imprenditori” ha affermato alcuni giorni fa la procuratrice aggiunta Teresa Principato davanti alla commissione parlamentare antimafia.

Quelli confiscati a Trapani sono solo gli ultime di una lunga serie di terreni e aziende confiscati alla mafia, che hanno mantenuto le attività e forniscono prodotti diventati simbolo dell’antimafia, con il sostegno fondamentale di associazioni come LiberaTerra, la cooperativa Lavoro e Non Solo Qui. Queste associazioni e cooperative nascono con lo scopo di valorizzare territori difficili partendo dal recupero sociale di terreni confiscati alle mafie, restituendo dignità al territorio intero e alle persone che lo abitano, rendendosi così indipendenti dal lavoro legato alle associazioni mafiose.
Secondo un rapporto di LiberaTerra il 20% degli immobili dati in gestione dall’associazione sono terreni agricoli, per un totale di 2.245. Nonostante la lotta alla criminalità organizzata a cui contribuiscono queste associazioni, i controlli (sequestri a +170% in un anno), le normative sull’etichettatura e la maggiore attenzione dei consumatori, il business delle “agromafie” continua a crescere. E, per l’ultimo rapporto Coldiretti/Eurispes (www.eurispes.eu), vale 16 miliardi di euro (quasi la metà dell’agroalimentare “pulito”), in crescita del 12% negli ultimi due anni. Le infiltrazioni mafiose, secondo il rapporto, controllano grandi tratti della filiera, dalla produzione alla distribuzione, e in ogni settore, dal latte alla carne, dal caffè all’ortofrutta, per non parlare degli oltre 5.000 locali in mano alle organizzazioni criminali in tutta Italia.
In regioni quali la Calabria e la Sicilia si denota un grado di controllo criminale del territorio pressoché totale, al pari della Campania (Reggio Calabria 99,4; Ragusa: 100,0; Napoli 78,9; Pescara 71,4;).
Questa risultanza, purtroppo non particolarmente sorprendente, riflette la forza e l’estensione di organizzazioni quali la ‘ndrangheta, la mafia e la camorra. Il grado di controllo e penetrazione territoriale della Sacra Corona Unita in Puglia, invece, pur mantenendosi significativamente elevato, risulta inferiore che altrove così come in Sardegna, regione dove all’elevata intensità dell’associazionismo criminale non corrisponde di pari grado l’egemonia di un’unica organizzazione. Il livello medio-basso dell’IOC (Indice di Organizzazione Criminale elaborato dall’Eurispes) racchiude gran parte delle maggiori province del Centro e Nord Italia, quali Genova (23,4), Torino (18,8), Firenze (18,8), Milano (17,9), Bologna (15,2) e Brescia (14,9).
Il valore totale dei sequestri nel 2015 è stato di 436 milioni di euro con il 24% nella ristorazione, il 18% nel settore della carne e salumi, l’11% in quello delle farine, del pane e della pasta, ma settori sensibili sono, a seguire, quelli del vino, del latte e formaggi e dei grassi e oli come quello di oliva. Inoltre, dai controlli dei Nas sono emersi 25,2 milioni di prodotti alimentari adulterati, contraffatti, senza le adeguate garanzie qualitative o sanitarie o carenze nell’etichettatura e nella rintracciabilità.

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