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13,8 miliardi di Euro in valore (+2,6%, 10% dell’agroalimentare italiano) con esportazioni per 7,8 miliardi (21%, e +9,6%): ecco il mondo Dop, Igp e Stg per il Rapporto Qualivita 2016. Focus: i rischi per il “made in Italy” con Trump alla Casa Bianca

L’Italia sa capitalizzare bene il suo patrimonio senza pari di produzioni alimentari a denominazione e a indicazione geografica protette: sono 814 i prodotti tutelati in questo modo nel nostro Paese, che complessivamente generano 13,8 miliardi di euro alla produzione (+2,6% anno su anno) e valgono 7,8 miliardi oltreconfine, ovvero il 21% di tutte le esportazioni del settore wine & food, con un tasso di crescita del 9,6%. Ecco, in prima battuta, i lusinghieri numeri contenuti nell’edizione 2016 del Rapporto Qualivita-Ismea sulle indicazioni geografiche, che dipingono un quadro più che confortante per l’export agroalimentare tricolore nella sua totalità.

Nello specifico, nel 2015 il settore food di questi prodotti valeva 6,35 miliardi di euro all’origine, in flessione dell’1,5% anno su anno, ma con consumi in crescita dell’1,7%, a 13,3 miliardi di euro - un aumento che in gdo sfiora invece il 5% - mentre il comparto vinicolo, che genera complessivamente 2,84 miliardi di bottiglie, valeva 7,4 miliardi alla produzione (+5,8%). In particolare, i vini certificati, ad esclusione degli spumanti, valgono il 75% di tutte le vendite in grande distribuzione organizzata, per un giro d’affari complessivo di 1,3 miliardi di euro. Il valore alla produzione dello sfuso è pari a 7,4 miliardi di euro (+5,8%), e, sottolinea il rapporto, il valore all’export è cresciuto del 7,7%, con menzione speciale per le performance straordinarie del “Sistema Prosecco”, che con un mirabolante +57% sul 2014 stima un valore alla produzione dello sfuso di oltre 600 milioni di euro. Complessivamente, i mercati esteri si confermano essere una componente vitale per il “vigneto Italia”: l’export di vini Dop e Igp ha raggiunto nel 2015 i 14,1 milioni di ettolitri (+4,5%), per un giro d’affari di 4,7 miliardi di euro (+7,7%) e una quota dell’87% rispetto ai 5,4 miliardi complessivi delle esportazioni italiane di vino. Le prime dieci Dop rappresentano il 53% della produzione totale a volume, e il 58% a valore, e le prime cinque denominazioni (Prosecco, Conegliano Valdobbiadene - Prosecco , Chianti, Asti e Chianti Classico) coprono oltre il 40% del totale, con più di 900 milioni di euro di valore alla produzione dello sfuso. Nelle Igp, invece, le prime cinque indicazioni (Delle Venezie, Veneto, Terre Siciliane, Toscano e Emilia) raggiungono complessivamente 439 milioni di euro di valore alla produzione dello sfuso, e coprono oltre il 69% del totale.

Dal punto di vista geografico, la distribuzione delle indicazioni geografiche vede, nel comparto food, le prime tre Province - Parma,Modena, Reggio nell’Emilia - confermare l’importanza della “Food Valley” emiliana, grazie alle 34 filiere Dop-Igp presenti sul territorio, ma soprattutto grazie all’entità del valore economico delle produzioni principali (Parmigiano Reggiano, Prosciutto di Parma e Aceto Balsamico di Modena su tutte). Nel comparto vinicolo, invece, è il “Sistema Prosecco” a determinare il maggiore impatto sul territorio di Treviso e Verona - Province che presentano, comunque, altre numerose importanti denominazioni. Seguono quelle di Siena, Cuneo, Asti e Firenze, ovvero le tradizionali aree di produzione delle denominazioni storiche toscane e piemontesi.

Nel suo insieme, inoltre, l’Italia non solo mantiene il suo primato mondiale nel settore delle produzioni certificate di questo tipo, con 814 prodotti nei comparti alimentare e vinicolo, ma nel corso del 2016 hanno avuto luogo ben 13 nuove registrazioni, mentre a livello globale i nuovi prodotti registrati sono stati 69 nel primo dei due comparti, di cui 65 in Paesi dell’Unione Europea e 4 in Paesi extraeuropei. Un sistema produttivo, sottolinea il rapporto, garantito da 247 Consorzi di tutela riconosciuti dal Ministero delle Politiche Agricole - 137 alimentari e 110 vinicoli - e 247 agenti vigilatori: nel corso del 2015 sono stati effettuati dagli organismi di controllo pubblici oltre 162.000 controlli, di cui più di 1.500 sul Web, per un valore di sequestri complessivo che supera i 36 milioni di euro.



Focus - I rischi per l’agroalimentare italiano in Usa con Trump Presidente



La politica estera commerciale del nuovo Presidente degli Stati Uniti Donald Trump - potenzialmente ben più protezionista di quella del suo predecessore, benché al momento solo sbandierata nei confronti dell’Ue - mette a rischio ben il 9,6% delle vendite all’estero del “made in Italy” che sono dirette in Usa, il principale cliente dell’Italia fuori dall’Unione Europea. Ad affermarlo è Coldiretti, in riferimento a quanto emerso dal Rapporto Qualivita-Ismea 2016, dal quale si evidenzia che le indicazioni geografiche rappresentano un fattore chiave della crescita del “made in Italy” nel mondo. Gli States sono un mercato determinante per l’agroalimentare del nostro Paese, con una previsione di 3,8 miliardi di euro di esportazioni nel 2016 e con il vino che risulta il prodotto più gettonato con 1,3 miliardi - davanti a olio, formaggi e pasta, secondo le proiezioni di Coldiretti. Risultati ottenuti grazie ai primati qualitativi e di sicurezza alimentare, con l’Italia che è l’unico Paese al mondo con 4.965 prodotti alimentari tradizionali censiti, 291 specialità Dop o Igp riconosciute a livello comunitario e 523 vini Doc-Igt, ma che è anche quello più “green”, con quasi 60mila aziende agricole biologiche in Europa. Primati che vanno ora difesi, sottolinea Coldiretti, rispetto ai rischi legati a una possibile stretta sulle importazioni, ma anche rispetto a una eventuale revisione degli accordi commerciali. In questo contesto, con il rischio di chiusura delle frontiere si pone un evidente problema di proliferazione sul mercato statunitense del fenomeno dell’“Italian sounding” che vale già 20 miliardi di euro, secondo la Coldiretti. Il 99% dei formaggi di tipo italiano sono in realtà realizzati in Wisconsin, California e New York, dal Parmesan al Romano senza latte di pecora, dall’Asiago al Gorgonzola fino al Fontiago, un improbabile mix tra Asiago e Fontina. Ma - denuncia la Coldiretti - c’è anche il Chianti prodotto in California, mentre sempre negli States è possibile acquistare del Marsala Wine. Il fenomeno del falso vino “made in Italy” trova forte impulso anche dalle opportunità di vendita attraverso il Web, dove è possibile acquistare da aziende statunitensi “pseudo-vino” ottenuto da polveri contenute in “wine-kit” che promettono in pochi giorni di ottenere Chianti, Valpolicella, Frascati, Primitivo, Gewurztraminer, Barolo, Verdicchio, Lambrusco o Montepulciano. Il fenomeno, però - conclude Coldiretti - colpisce tutti i comparti dell’export tricolore, dai pomodori san Marzano all’olio d’oliva fino ai salumi.

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