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“L’Osteria Francescana è una bottega rinascimentale in cui si fanno cultura e formazione. Restituendo ciò che ci viene dato, promuovendo agricoltori e turismo, dando speranza ai bisognosi, accogliendo giovani”. Così lo chef laureato Massimo Bottura

Non Solo Vino
Massimo Bottura riceve la laurea honoris causa a Bologna

“Mi piace vedere l’Osteria Francescana, così come tanti dei ristoranti che vengono identificati come la nuova cucina italiana, non solo come un ristorante, iconico sì, ma come una bottega rinascimentale. Abbiamo creato un laboratorio di idee dove ogni giorno si fa cultura ma si è anche al fianco dell’agricoltura, portavoce di una nuova generazione di contadini, pescatori, allevatori, artigiani, cresciuti al nostro fianco e hanno condiviso le nostra filosofia, veri e propri eroi, che ci permettono di trasmettere emozioni attraverso le loro materie prime. Insieme, abbiamo creato una nuova forma di turismo: quello gastronomico, il cui obbiettivo è la scoperta di un territorio per poi culminare nella visita al ristorante di riferimento ed emozionarsi masticando il meglio della sua espressione, e pensate noi in Italia cosa abbiamo da offrire. Siamo gli imprenditori del bello e del buono. Non è un caso che negli ultimi anni le forze economicamente trainanti siano state le eccellenze del gusto made in Italy, marchio straordinario, immediatamente riconoscibile in tutto il mondo. Le piccole imprese e la loro competitività sono uniche e facilmente identificabili nella loro costante ricerca della meraviglia, nella volontà di eccellere, nell’abilità di raccontare il nostro Paese ed esprimerne appieno la bellezza. In questi luoghi si fa naturalmente formazione. E sono luoghi in cui convergono da tutto il mondo giovani pieni di sogni, energia e positività”. Lo ha detto, laureato e commosso, nella sua lectio magistralis, Massimo Bottura, ricevendo ieri la laurea honoris causa in Direzione Aziendale dal rettore Francesco Ubertini, in un’affollatissima Aula Magna di Santa Lucia all’Università di Bologna.
Una laurea attribuita allo chef italiano tre stelle Michelin dell’Osteria Francescana di Modena - aperta il 9 marzo 1995, ha ricordato Bottura ripercorrendo le tappe della sua carriera, citando i suoi piatti più celebri e Joseph Beuys, di fronte a, tra gli altri, Romano Prodi, il Ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina, l’imprenditore Oscar Farinetti e, tra gli chef, Mauro Uliassi, Moreno Cedroni, Pino Cuttaia, Davide Oldani, Ciccio Sultano e Andrea Berton - e che ha raggiunto il vertice della “The 50 World’s Best Restaurants” che lo ha incoronato n.1 al mondo, perché è “un caso esemplare di gestione di una piccola impresa familiare italiana” portata al successo, “unendo imprenditorialità, tecnica e cultura, e diffondendo il made in Italy nel mondo”.
Fare cultura, e in particolare, quella “edibile” che “sfama la mente”, attraverso la cucina, ma anche con l’arte, la musica, recuperando la tradizione, con l’innovazione, in una parola educando, è la ricetta filosofica di Bottura. Nella sua Osteria, ma anche con la Onlus Food for Soul ed il format dei Refettori come mense per i bisognosi aperti a Milano, in occasione di Expo 2015, all’Antoniano di Bologna, a Rio de Janeiro, per le Olimpiadi, nella sua Modena, e presto anche a New York, nel Bronx. “Dobbiamo metterci in condizione di aprirci, di approfondire la nostra conoscenza - ha detto Bottura - che non deriva solo da influenze esterne, ma prende vita dalla condivisione della professionalità di persone appassionate, che lavorano con umiltà per raggiungere un sogno comune. Consapevolezza di cosa si è riusciti a raggiungere e come, con quale talento speciale o attitudine naturale. Come individuo, ma soprattutto come team: riconoscere la passione, l’impegno che rendono il nostro lavoro unico e identificabile: il segno. È fondamentale essere capaci di riconoscersi come squadra, prima ancora che come azienda”.
La consapevolezza, ha detto lo chef, “ci porta a essere responsabili gli uni degli altri, in uno stesso gruppo e al di fuori, verso la nostra comunità. Portare all’esterno quello che abbiamo accumulato in anni di esperienza, di duro lavoro, di sacrifici, ma anche di riconoscimenti e soddisfazioni. Nel momento in cui realizzi che nella vita hai ricevuto tutto, se hai sensibilità, ti rendi conto che è il momento di restituire. E nelle stesse botteghe in cui facciamo cultura. Promuoviamo l’agricoltura, sviluppiamo il turismo, facciamo formazione. Abbiamo scoperto l’enorme potenziale sociale che possiamo rivolgere alle nostre comunità. I Refettori non sono nati per fare beneficenza. Il nostro obiettivo non è sfamare i bisognosi, ma riempire i loro occhi di bellezza, ristorare corpo e anima, farli sentire accolti, riunire una comunità attraverso la valorizzazione di quello che altrimenti sarebbe andato perduto: spazi, cibo e persone. Facendoci portavoce di un messaggio di speranza”.

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