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La tecnica non è tutto, neanche nei campi: a tu per tu con Massimo Montanari, tra i massimi storici dell’alimentazione viventi, per capire perché la storia agraria è comunque “fondamentale”, sia per i consumatori che per i coltivatori

Non Solo Vino
Massimo Montanari

Nonostante il fatto che il ventesimo (e a maggior ragione il ventunesimo) siano senz’altro secoli nei quali il predominio della scienza e della tecnica ha dato moltissimo alla civiltà umana, anche in termini di produzione di cibo e di studio dell’alimentazione, Massimo Montanari - medievista, cattedratico dell’Università di Bologna e uno dei massimi studiosi di storia dell’alimentazione d’Europa e del mondo - non ha dubbi sul fatto che anche in questi tempi mantenere una prospettiva storica sia utile, e anzi, “fondamentale, anche per un atteggiamento di umiltà”.
Per Montanari, la scienza ci ha si dato molto, ma “non spiega tutto: la storia ci insegna che gli uomini hanno sempre cercato di costruire un rapporto con la terra e con il cibo che oggi definiremmo sostenibile, e oggi lo definiamo così perché la cultura in cui viviamo ci porta a fare cose insostenibili a livello di consumo di risorse”.

Di conseguenza, secondo lo storico, ci troviamo in una sorta di “ritorno al passato” dal punto di vista del rapporto tra uomo e terra: se fino a qualche decennio fa la tecnica e la produzione erano gli unici fattori veramente importanti, oggi si è, secondo Montanari, alla ricerca di un nuovo equilibrio - o meglio, alla riscoperta di quell’equilibrio che ieri c’era e che oggi non c’è più, e non per rinnegare il progresso, ma per renderlo davvero ragionato. Anche perché “il cibo è anche strumento di relazione, con gli altri e con la terra, e la storia è sempre utile, perché ci fornisce storie e vicende che sono succedute, per capire che quello che facciamo non è mai la cosa migliore in assoluto, ma è quella che facciamo al momento. Potrebbe essercene una migliore”.
La storia dell’agricoltura e dell’alimentazione, quindi, sono cose che Montanari definisce “intelligenti” perché aiutano a mantenere uno sguardo che non sia fisso solo su temi come la produttività: “questo lo capiamo sempre di più, perché lo sviluppo non può essere infinito”.
La storia - anche quella agraria - è, quindi, sempre magistra vitae, “anche perché si intreccia con la storia delle comunità e del paesaggio: non facciamo archeologia pura, siamo persone impegnate nel tenere vivo un pensiero che deve essere il più possibile aperto. Lo storico serve comunque, a prescindere da quello che ricostruisce. Nella storia non ci sono soluzioni per il presente, ma ci sono situazioni che meritano di essere comprese e studiate, specie quando i problemi non sono solo tecnologici, ma culturali, come oggi”. Un monito che vale, eccome, anche per gli agricoltori e gli imprenditori agricoli di oggi e di domani...

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