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L’Italia alla guerra del latte: contro le multinazionali francesi come Lactalis-Parmalat che “pagano sotto i costi di produzioni”, dice Coldiretti, e Bruxelles, con Renzi e Martina “per un passo storico: il Paese di origine obbligatorio in etichetta”

Non Solo Vino
In Italia è guerra del latte

È una battaglia dura, quella che il latte italiano sta combattendo, e che si gioca su due campi: da un lato, quello “europeo”, dove gli allevatori, Coldiretti in testa, hanno spinto il Governo a presentare uno schema di decreto (annunciato come “fatto storico” dal Presidente del Consiglio Matteo Renzo e dal Ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina, che lo hanno firmato insieme al Ministro dello Sviluppo Economico Calenda, e che prevede l’indicazione del Paesi di mungitura, confezionamento e trasformazione) per tentare introdurre l’origine obbligatoria in etichetta per latte e formaggi; dall’altro, quello francese, dove il “nemico” sono le grandi multinaizonali del latte, come Lactalis che, sostengono gli allevatori, ha cambiato unilateralmente le condizioni contrattuali, arrivando a pagare i produttori italiani al di sotto dei costi di produzione (anche 30 centesimi al litro). Con uno scontro che finito anche a “carte bollate”, in Tribunale, con il presidente Lactalis Italia Jean Marc Bernier e il direttore Parmalat Giuseppina Corsi hanno denunciato per diffamazione e violenza privata Roberto Moncalvo, presidente della Coldiretti e vice presidente del Copa, l’organizzazione degli agricoltori europei (provvedimento già archiviato a favore di Moncalvo dal Tribunale di Lodi, nrd). Con tutto questo che coinvolge una filiera, quella lattiero casearia italiana, piena di contraddizioni, con il Belpaese che ha il primato mondiale dei formaggi tradizionali censiti dalle Regioni (488) e delle Dop (49, sulle 45 della Francia), ma è anche il primo importatore al mondo di latte e “latte equivalente” (polveri, cagliate e così via), con 24 milioni di litri all’anno, nonostante dal 2011 (anno di acquisizione di Parmalat da parte di Lactalis) abbiano chiuso 4.000 stalle, oltre il 10% sulle 33.000 che ci sono oggi nel Belpaese (dove nel 2005 gli allevamenti erano 60.000). Una situazione che mette a rischio anche i 120.000 posti di lavoro nell’attività di allevamento da latte, che generano lungo la filiera un fatturato di 28 miliardi. Ecco, in estrema sintesi, il quadro che emerge, per l’Italia, nel “Milk World Day” promosso dalla Fao in tutto il mondo, con migliaia di allevatori, guidati da Coldiretti, che si sono riuniti a Milano, capitale di quella Lombardia che produce il 40% del latte italiano, alla presenza del premier Renzi, del Ministro delle Politiche Agricole Martina e anche del Ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti, “la cui presenza alla giornata del latte italiano è una conferma della strategicità del settore per la salute, l’ambiente il lavoro e l’economia del made in Italy”, ricorda la Coldiretti.
“Il decreto per l’origine del latte in etichetta è già stato firmato – ha detto i Premier Renzi - non è una promessa, ed è stato già inviato ieri a Bruxelles ieri. Prima i fatti e poi le parole. Questa è una storia che richiama giustizia, sapere che cosa sto bevendo”.

“Con oggi ufficializziamo che l’Italia porta in etichetta l’origine del latte e dei suoi derivati: è una tappa storica per il mondo dei produttori e degli allevatori - ha aggiunto il Ministro Martina - è un passaggio necessario per garantire sempre di più e sempre meglio i nostri allevatori in questo momento molto difficile per la crisi del latte che sta vivendo tutta l’Europa”. E un risultato storico lo sarebbe davvero, se da Bruxelles arrivasse l’ok a quanto previsto dal decreto che, lo ricordiamo, deve essere non i contrasto con le regole del mercato Ue. Storico per gli allevatori, “ma anche per i consumatori - sottolinea la Coldiretti - che nella metà dei casi sono disposti a pagare il vero Made in Italy alimentare fino al 20% in più. Ma c’è addirittura un 12% che è pronto a spendere ancora di più pur di avere la garanzia dell’origine nazionale”.

“Un risultato che risponde alle esigenze di trasparenza degli italiani che, secondo la consultazione pubblica online del Ministero dell’Agricoltura, in più di 9 casi su 10 - sottolinea il presidente Coldiretti, Roberto Moncalvo - considerano molto importante che l’etichetta riporti il Paese d’origine del latte fresco (95%) e dei prodotti lattiero-caseari quali yogurt e formaggi (90,84%), mentre per oltre il 76% lo è per il latte a lunga conservazione. Un risultato che arriva a undici anni esatti dall’introduzione dell’obbligo di indicare l’origine per il latte fresco fortemente voluto dalla Coldiretti anche per sostenere i consumi di un alimento fondamentale nella dieta degli italiani. Con l’etichettatura di origine - precisa Moncalvo - si dice finalmente basta all’inganno del falso made in Italy che riguarda 3 cartoni di latte a lunga conservazione su 4 venduti in Italia sono stranieri mentre la metà delle mozzarelle sono fatte con latte o addirittura cagliate provenienti dall’estero, ma nessuno lo sa perché non è obbligatorio riportarlo in etichetta.
1,7 milioni di mucche da latte presenti in Italia possono finalmente mettere la firma sulla propria produzione di latte, formaggi e yogurt che è garantita a livelli di sicurezza e qualità superiore grazie al sistema di controlli realizzato dalla rete di veterinari più estesa d’Europa, ma anche ai primati conquistati a livello comunitario con la leadership europea con 49 formaggi a denominazione di origine realizzati sulla base di specifici disciplinari di produzione”.
Ad essere tutelati sono anche i consumatori italiani che, nel 2015, hanno acquistato - secondo una analisi della Coldiretti - una media di 48 chili di latte alimentare a persona, mentre si posizionano al settimo posto su scala mondiale per i formaggi con 20,7 chilogrammi per persona all’anno, dietro ai francesi, con 25,9 chilogrammi a testa, ma anche da islandesi, finlandesi, tedeschi, estoni e svizzeri”.

Focus - Il Ministero delle Politiche Agricole: “origine obbligatoria in etichetta per latte e formaggi in Italia. Decreto inviato a Bruxelles”. Martina: “svolta storica per la nostra agricoltura”

Il Ministero delle Politiche Agricole comunica che lo schema di decreto che introduce l’indicazione obbligatoria dell’origine per i prodotti lattiero caseari in Italia è stato condiviso dal Ministro Maurizio Martina e dal Ministro dello sviluppo Economico Carlo Calenda. Lo schema è stato inviato per la prima verifica a Bruxelles, avviando così l’iter autorizzativo previsto a livello europeo.

Questo sistema sperimentale consentirà di indicare con chiarezza al consumatore la provenienza delle materie prime di molti prodotti come latte Uht, burro, yogurt, mozzarella, formaggi e latticini.
“Siamo davanti a un passo storico - ha dichiarato il Ministro Maurizio Martina - che può aiutare tutto il sistema lattiero caseario italiano. Parliamo di un settore che nel suo complesso vale più di 20 miliardi di euro e che vogliamo dotare di ancora più strumenti per competere. Ci sono analisi che dimostrano la propensione dei consumatori anche a pagare di più per un prodotto che sia d’origine italiana tracciata. Con questo decreto sarà possibile sfruttare questi spazi, perché finalmente i consumatori potranno essere pienamente informati.
L’indicazione chiara ed evidente dell’origine della materia prima è un elemento cruciale per valorizzare il lavoro di più di 34.000 allevatori che rappresentano il cuore pulsante di questo settore. Il nostro impegno per salvaguardare il loro reddito è quotidiano e spingiamo perché ci sia un ulteriore rafforzamento dei rapporti di filiera nel nostro Paese. Lavoriamo ancora a Bruxelles perché questa sperimentazione apra la strada ad un passo europeo ancora più forte”.
Da un’indagine demoscopica, commissionata da Ismea, emerge che il 67% dei consumatori italiani intervistati si dichiara disposto a pagare dal 5 al 20% in più per un prodotto lattiero caseario che abbia chiara in etichetta la sua origine italiana. Per 9 italiani su 10 è importante conoscere l’origine delle materie prime per questioni legate al rispetto degli standard di sicurezza alimentare, in particolare per latte fresco e i prodotti lattiero-caseari. Si è espresso così, infatti, il 95% degli oltre 26.000 partecipanti alla consultazione pubblica online tra i cittadini sulla trasparenza delle informazioni in etichetta dei prodotti agroalimentari, svolta sul sito del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali.
Le novità del decreto

Il decreto, in particolare, prevede che il latte o i suoi derivati dovranno avere obbligatoriamente indicata l’origine della materia prima in etichetta con le seguenti diciture:
a) “Paese di mungitura: nome del paese nel quale è stato munto il latte”;
b) “Paese di confezionamento: nome del paese in cui il prodotto è stato confezionato”
c) “Paese di trasformazione: nome del paese nel quale è stato trasformato il latte”;
Qualora il latte o il latte utilizzato come ingrediente nei prodotti lattiero-caseari, sia stato munto, confezionato e trasformato, nello stesso paese, l’indicazione di origine può essere assolta con l’utilizzo di una sola dicitura: ad esempio “Origine del latte: Italia”.

In ogni caso sarà obbligatorio indicare espressamente il paese di mungitura del latte. Se le fasi di confezionamento e trasformazione avvengono nel territorio di più paesi, diversi dall’Italia, possono essere utilizzate, a seconda della provenienza, le seguenti diciture:

origine del latte: Paesi Ue

origine del latte: Paesi Non Ue

origine del latte: Paesi Ue e non Ue
Sono esclusi solo i prodotti Dop e Igp che hanno già disciplinari relativi anche all’origine e il latte fresco già tracciato.
Le principali azioni del Ministero delle Politiche Agricole a sostegno del settore lattiero caseario
Il piano del Ministero a sostegno del settore lattiero caseario ha previsto investimenti da 120 milioni di euro, che hanno portato l’Italia ad essere tra i primi Paesi in Europa per entità dell’intervento.
Sono stati stanziati, infatti, 32 milioni per l’aumento della compensazione Iva al 10% per il latte venduto alla stalla ed è stato attivato il fondo latte per ristrutturare i debiti e potenziare la moratoria dei mutui bancari ottenuta con Abi. Altri 25 milioni di euro europei sono stati utilizzati per il sostegno diretto agli allevatori e 10 milioni sono investiti per l’acquisto di latte crudo da trasformare in Uht e destinare agli indigenti. È in corso anche una campagna di comunicazione istituzionale per sostenere i consumi di latte fresco con testimonial come Cristina Parodi, Carlo Cracco, Demetrio Albertini e il professor Giorgio Calabrese. Sul fronte europeo, infine, c’è l’impegno, insieme a Francia, Spagna e Germania, per costruire soluzioni a partire dal finanziamento Ue della riduzione volontaria dell’offerta e per una Ocm Latte.

Focus - I numeri del settore lattiero caseario in Italia


Fase agricola

34.000 allevatori
1,8 milioni di vacche da latte
11 milioni di tonnellate di latte vaccino prodotto di cui 50% circa trasformato in formaggi Dop.
4,8 miliardi di euro valore della produzione

Fase industriale

3400 imprese
39.000 occupati
14,5 miliardi di euro di fatturato

Focus - Latte, Coldiretti: “dimezzate le stalle italiane in 10 anni”
Negli ultimi dieci anni si è praticamente dimezzato il numero di stalle presenti in Italia dove nel 2015 si è raggiunto il minimo storico di 33.000 allevamenti, rispetto ai 60.000 attivi nel 2005, per effetto del crollo del prezzo pagato agli allevatori che è sceso addirittura al di sotto dei costi di alimentazione del bestiame. Emerge dallo studio Coldiretti “Il latte italiano, un primato da difendere”, nella Giornata nazionale del latte italiano, alla presenza del premier Matteo Renzi a Milano, dove si svolge l’appuntamento del Milk World Day, promosso dalla Fao in tutto il mondo.
A fronte di una produzione nazionale di 110 milioni di quintali di latte sono 85 milioni di quintali le importazioni di latte equivalente dall’estero, sotto forma - sottolinea la Coldiretti - di concentrati, cagliate, semilavorati e polveri per essere imbustati o trasformati industrialmente e diventare magicamente mozzarelle, formaggi o latte italiani, all’insaputa dei consumatori perché non è obbligatorio indicare la provenienza in etichetta. Si tratta di circa il 40% di quanto si consuma in Italia e c’è dunque - continua la Coldiretti - il rischio concreto che il latte straniero possa a breve, per la prima volta, superare quello tricolore.
La pressione delle importazioni di bassa qualità spacciate come Made in Italy hanno fatto crollare il prezzo alla stalla fino anche a 0,30 euro al litro che - denuncia la Coldiretti - non consentono neanche di garantire l’alimentazione degli animali e che spingono le aziende alla chiusura. In altre parole - spiega la Coldiretti - gli allevatori devono vendere tre litri di latte per bersi un caffè al bar, quattro litri per un pacchetto di caramelle, quattro litri per una bottiglietta di acqua al bar e quasi 15 litri per un pacchetto di sigarette. “Per ogni milione di quintali di latte importato in più scompaiono 17mila mucche e 1.200 occupati in agricoltura ma quando una stalla chiude si perde un intero sistema fatto di animali, di prati per il foraggio, di formaggi tipici e soprattutto di persone impegnate a combattere lo spopolamento e il degrado spesso da intere generazioni” ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nel sottolineare che “in pericolo c’è un patrimonio culturale, ambientale ed economico del Paese.
A rischio ci sono i 120.000 posti di lavoro nell’attività di allevamento da latte che generano lungo la filiera un fatturato di 28 miliardi che è la voce più importante dell’agroalimentare italiano dal punto di vista economico ma anche dal punto di vista dell’immagine del Made in Italy. In pericolo c’è anche il primato nazionale in Europa dei 49 formaggi italiani a Denominazione di origine Protetta (Dop) davanti alla Francia ferma a 45. La sfida tra Italia e Francia nella produzione di formaggi ha radici lontane e se Charles De Gaulle si chiedeva come governare la Francia che ha più formaggi che giorni nel calendario, la situazione non gli sarebbe parsa certamente più facile in ltalia che di formaggi tradizionali censiti dalle Regioni ne ha ben 488 che si aggiungono - continua la Coldiretti - a quelli denominazione di origine protetta (Dop) ai quali è destinato circa la metà del latte consegnato dagli allevamenti italiani (45,5% per circa 50 milioni di quintali).
A pesare è anche l’agropirateria internazionale con i formaggi italiani che sono in testa alla classifica dei prodotti più taroccati che sviluppano complessivamente un fatturato di 60 miliardi. Si va dal Provolone al Gorgonzola, dal Pecorino Romano all’Asiago, dalla Mozzarella alla Fontina anche se i più copiati sono il Parmigiano e il Grana con le imitazioni che hanno superato i 300 milioni di chili realizzati per poco meno della metà negli Stati Uniti, dal falso parmigiano vegano a quello prodotto dalla Comunità Amish, dal parmesan vincitore addirittura del titolo di miglior formaggio negli Usa al kit che promette di ottenerlo in casa in appena due mesi, ma anche quello in cirillico che - conclude la Coldiretti - si è iniziato a produrre in Russia dopo l’embargo, il parmesao brasiliano, il reggianito argentino e il parmesan perfect italiano, ma prodotto in Australia. In questo contesto particolarmente positiva è stata l’esperienza dell’Expo con molteplici iniziative divulgative per far conoscere agli stranieri le caratteristiche peculiari dei prodotti alimentari originali alle quali - conclude la Coldiretti - si è aggiunto il piano per l’export annunciato dal Governo italiano che prevede, per la prima volta, azioni di contrasto all’italian sounding a livello internazionale.
L’obiettivo è ora di contrastare la presunzione statunitense di continuare a sfruttare impropriamente i nomi dei piu’ prestigiosi prodotti alimentari italiani, dal Chianti al Marsala ma anche Provolone o Parmesan nell’ambito del negoziato sul Transatlantic Trade & Investment Partnership, (Ttip), l’accordo commerciale di libero scambio in corso di negoziato tra l’Unione europea e gli Stati Uniti d’America. In questo contesto si pone un evidente problema di tutela delle denominazioni dei prodotti Made in Italy sul mercato statunitense dove il cosiddetto fenomeno dell’Italian sounding vale 20 miliardi di euro, secondo la Coldiretti. Il 99% dei formaggi di tipo italiano - conclude la Coldiretti - sono in realtà realizzati in Wisconsin, California e New York, dal Parmesan al Romano senza latte di pecora, dall’Asiago al Gorgonzola fino al Fontiago, un improbabile mix tra Asiago e Fontina.

Focus: Parmalat-Lactalis ha denunciato il presidente Coldiretti Roberto Moncalvo

Il presidente Lactalis Italia Jean Marc Bernier e il presidente della Parmalat Giuseppina Corsi hanno denunciato per diffamazione e violenza privata Roberto Moncalvo, presidente della Coldiretti e vicepresidente del Copa, l’organizzazione degli agricoltori europei. A renderlo noto è stato lo stesso Moncalvo.

“L’azione penale promossa della multinazionale francese, che nel tempo si è comperata i marchi nazionali Parmalat, Locatelli, Invernizzi, Galbani e Cadermartori, è - sottolinea Moncalvo - una evidente “rappresaglia” alla battaglia del latte promossa a tutela degli allevatori italiani. Il gruppo transalpino ha ridotto unilateralmente i compensi riconosciuti agli allevatori italiani, portandoli al di sotto dei costi di produzione ed agisce in giudizio per evitare qualsiasi contestazione. “Non ci faremo intimidire di fronte ad una azione che non ha precedenti a livello internazionale” precisa il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nel sottolineare che “all’arroganza della multinazionale francese gli agricoltori risponderanno davanti alle industrie, nei supermercati e nelle piazze certi di avere le Istituzioni al fianco”.
A scatenare la guerra del latte è stata la decisione unilaterale della Lactalis di disdire i contratti, giungendo a rifiutare il latte munto nelle stalle dagli allevatori. Un abuso della propria posizione contrattuale considerando che gli allevatori, in ragione della deperibilità del prodotto, si trovano nell’impossibilità di collocarlo altrove. Una condizione che, di fatto - sottolinea la Coldiretti - induce i produttori ad accettare anche compensi inferiori ai costi di produzione.
La strategia commerciale della Lactalis ha portato in piazza decine di migliaia di agricoltori con presidi nelle industrie e nei supermercati e il sostegno attivo di cittadini, Istituzioni esponenti della Chiesa. Istituzioni civili e religiose si sono schierate a difesa del latte, delle stalle e delle campagne italiane, condividendo il boicottaggio dei prodotti della Parmalat (del Gruppo Lactalis) dai supermercati alle parrocchie fino ai social media.

“L’azione penale - riferisce la Coldiretti - è stata archiviata la settimana scorsa dal giudice penale di Lodi il quale, condividendo quanto affermato dallo stesso Pubblico Ministero, non ha ravvisato condotte penalmente rilevanti. La Coldiretti non si è mai macchiata di condotte violente né ha mai inteso minacciare o diffamare alcunchè. Costituisce invece legittimo esercizio delle prerogative delle forze di rappresentanza la divulgazione delle condotte contrarie ai più elementari principi concorrenziali: non esiste un equilibrio contrattuale laddove una parte può compensare l’altra con una somma inferiore al costo di produzione accertato dalle autorità pubbliche”.
La multinazionale transalpina che in Italia opera con i marchi nazionali Parmalat, Locatelli, Invernizzi, Galbani e Cadermartori, è il primo gruppo lattiero caseario nel mondo con un fatturato complessivo di 16 miliardi che in Italia sviluppa un giro d’affari per 1,4 miliardi di euro con una quota di mercato complessiva nel settore lattiero caseario del 23,4% in volume mentre acquista l’8% del latte italiano. Detiene il 33% del mercato italiano del latte a lunga conservazione, ma la quota sale al 34% nella mozzarella, al 37% nei formaggi freschi e arriva addirittura la 49,8% nella ricotta solo per citare alcuni esempi. Dall’acquisizione del gruppo Parmalat, da parte della multinazionale francese, nel 2011, in Italia, hanno chiuso - ricorda la Coldiretti - 4.000 stalle italiane, oltre il 10% del totale. Una situazione che si è aggravata, nel 2015, proprio a seguito della decisione di Lactalis di tagliare i compensi agli allevatori.

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