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“Il successo del ristorante è la sala. I ragazzi devono smettere di fare i cuochi, devono fare i camerieri”: è la provocazione di Marchesi, a Milano, con Ferrari & The World’s 50 Best Restaurants. Bottura: “senza sala non sarei ciò che sono”

Non Solo Vino
Il passato ed il presente della cucina italiana, Gualtiero Marchesi e Massimo Bottura

“Il successo del ristorante è la sala. I ragazzi devono smettere di voler fare i cuochi, devono fare i camerieri”: è l’ultima provocazione di Gualtiero Marchesi, decano della grande cucina italiana e “mentore” di molti che oggi sono vere chef-star, lanciata ieri a Milano, “rubando” la scena nel dibattito attorno a “L’Arte dell’Ospitalità”, promosso dalle Cantine Ferrari e “The World’s 50 Best Restaurants”, la classifica dei 50 migliori ristoranti al mondo. Ma davvero servizio, ambiente e accoglienza contano quanto la cucina e anche il maître ha in mano le chiavi del successo di un ristorante? “Se non avessi avuto Beppe, che è con me dal 2000, non avrei potuto fare quello che ho fatto”, ha detto Massimo Bottura, tristellato chef dell’Osteria Francescana di Modena, uno dei più importanti al mondo, stabilmente ai vertici della celeberrima classifica, togliendosi il cappello davanti a Giuseppe Palmieri, suo braccio destro, responsabile in sala e in cantina, e riconoscendo l’importanza dell’accoglienza e del servizio. “Se sono arrivato dove sono è perché lui è lì, tutti i giorni - ha aggiunto Bottura - Beppe ha costruito una squadra incredibile nel servizio, che nel tempo si è allargata e ha cominciato a partecipare alla cucina in modo da capire come spiegare quello che in cucina si crea. È fondamentale saper comunicare ciò che facciamo”. Per il super-chef, dunque, cucina e sala contano allo stesso modo, 50 e 50 nel successo di un ristorante.
Ma Bottura non è l’unico a pensarla così. “C’è stata una sovra esposizione mediatica della cucina e degli chef in particolare – secondo Raffaele Alaimo, direttore del tristellato Le Calandre di Rubano, con locali in Italia e Francia - quello che c’è dietro è stato perso di vista dal pubblico, ma non da noi addetti ai lavori. E per accogliere bene la formazione è fondamentale, anche se bisogna anche avere una predisposizione per questo lavoro. Ci sono doti personali: la bravura è riuscire a capire qual è la dote personale di un nostro collaboratore e metterla a frutto”. Anche Andreas Caminada, tristellato chef dello Schloss Schauenstein a Furstenau in Svizzera, prende molto sul serio l’arte dell’ospitalità. Nel 2015 ha creato una fondazione che si occupa di formazione e ha stilato un decalogo dei valori che l’ospite “perfetto” deve avere: la gioia, la responsabilità, lo spirito di squadra, l’onestà e il rispetto degli ospiti e dell’ambiente. “Gli aspetti soft contano al 50%”, ha detto.
Ma non si tratta soltanto di aspetti “soft”. “Il consumatore contemporaneo è sofisticato - ha spiegato Severino Salvemini, docente di management all’Università Bocconi - in una economia post industriale bisogna coinvolgere le persone cognitivamente, sensorialmente ed emotivamente, perché il cliente non vuole sentirsi un numero. L’accoglienza deve essere personale e la serata deve regalare un’esperienza unica e memorabile”. Già, ma come? Salvemini ha tracciato quelli che secondo lui sono i difetti principali che hanno alcuni ristoranti di alto livello e gli aspetti da non trascurare. È sulle luci che spesso casca l’asino e anche sugli oggetti. “Molti clienti sono collezionisti - ha detto - quindi meglio esporre opere concettuali perché sulla parte figurativa i gusti sono molto diversi”. Uno dei punti molto sottovalutati è la musica: “a volte potrebbe non esserci che sarebbe meglio. Se non si vuole accedere a un consulente musicale meglio andare su cose classiche. La competizione richiede qualità”, ha concluso, richiamando l’attenzione ad adottare anche prezzi adeguati, perché anche chi ha un elevato potere di spesa cerca un equilibrio tra la qualità e il costo.
È d’accordo anche Mauro Governato, direttore dell’hotel Four Seasons di Milano: “ospitalità è voglia di accogliere il pubblico, è motivazione, è dare qualcosa alle persone che ci danno il grande privilegio di venire a visitarci. Il nostro slogan è: treat the other like you would like to be treated”. E la pensa così anche Matteo Lunelli, presidente e Ceo delle Cantine Ferrari, che in partnership con “The World’s 50 Best Restaurants” ha lanciato il nuovo premio “Ferrari Trento Art of Hospitality Award”, che sarà assegnato a New York il 13 giugno nella cerimonia di premiazione della classifica di cui sarà bollicina ufficiale. “Il premio vuole portare attenzione sulla sala e sul ruolo fondamentale del personale di sala. L’arte dell’ospitalità è fondamentale per far diventare un’esperienza memorabile e un ricordo indelebile”, ha detto Lunelli. “Il premio sarà votato dallo stesso panel di mille esperti nel mondo che assegnano gli altri premi - ha spiegato Hélène Pietrini, direttrice “The World’s 50 Best Restaurants” - per noi è un passo audace”.
Fausta Chiesa

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