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Produzione globale standardizzata, monoculture intensive, speculazioni finanziarie e consumi individuali non sono la ricetta contro lo spreco di cibo. Petrini: “dall’economia locale alla diversificazione, questo schizofrenico sistema va cambiato”

Produzione e distribuzione globale standardizzata, monoculture intensive, speculazioni finanziarie, spinta ai consumi individuali non sono sicuramente la ricetta giusta per eliminare o provare a ridurre lo spreco di cibo: “dobbiamo cambiare metodi, modi di produrre, stili di vita. Ognuno di noi può individuare in cosa consiste questo cambiamento, secondo la propria situazione specifica”. Non ci sono regole precise da applicare pedissequamente, ma possiamo individuare valori e comportamenti che possono essere condivisi in Sicilia come in California, a Milano come a Bangkok. Lo ha detto il fondatore di Slow Food Carlo Petrini a “Terra Madre Giovani - We Feed the Planet” a Milano, dove è stato fatto il punto sullo spreco alimentare, altra faccia della stessa medaglia della fame nel mondo: a fronte di una produzione alimentare che sarebbe sufficiente per sfamare 12 miliardi di esseri umani in un momento storico in cui gli abitanti del pianeta sono 7,3 miliardi, quasi 800 milioni di persone soffrono di fame o di malnutrizione. Ciò significa che quasi il 40% del nostro cibo è sprecato: tonnellate di derrate edibili buttate via o che rimangono a marcire nei campi.
“Questo sistema alimentare non funziona, è schizofrenico. Occorrono nuovi paradigmi che consentano una volta per tutte di sradicare la vergogna della fame e ridare al cibo il valore che merita”. A questi paradigmi Petrini dedica un lungo intervento, a partire dalle cause che portano allo scempio dello spreco: “nei Paesi più deboli le ragioni dello spreco sono da ricercarsi nella carenza di infrastrutture, dalla mancanza di forme di conservazione, da strade difficilmente agibili. Dalle nostre parti gettiamo nella spazzatura il 30% della produzione agricola perché non è presentabile nel supermercato. Sprechiamo per ragioni estetiche”.
Come siamo arrivati a tutto ciò? La ricetta dominante è chiedere alla terra sempre di più, aumentare le rese con la chimica, tanto da creare dipendenza e fino a alla perdita di fertilità. “Per ottenere il prezzo basso si rafforza la monocultura intensiva, si priva della propria terra contadini e famiglie, si snaturano e trasformano i territori. Viviamo ignorando la finitezza delle risorse, in un rapporto predatorio con la natura. Chi continua a dire che per produrre cibo si può continuare a sfruttare il suolo, sprecare acqua ed energia è un criminale”.
Non dimentica Petrini di citare l’ingerenza della finanza, meglio delle speculazioni nella produzione alimentare: “l’acquisto di quantità industriali di derrate alimentari determina l’abbassamento indiscriminato dei prezzi. Tanto che ai contadini alla fine costa di più raccogliere i prodotti di quanto si ricaverebbero dalla vendita. Per due anni in Piemonte i contadini non hanno raccolto le pesche perché il costo della manodopera superava i ricavi: quintali di pesche sono marcite sugli alberi. Questo sistema alimentare ha basato sullo spreco la sua ragione d’essere e messo i contadini sono in una condizione di non guadagno”.
“Se il sistema si basa su un’economia globale, io dico che è arrivato il tempo per ricostruire l’economia locale - sottolinea il presidente internazionale di Slow Food - dobbiamo mettere in essere una reazione, una medicina al virus che ci sta corrodendo. L’economia globale è decisa non si sa neanche dove da grandi potentati addirittura più forti dei Governi. Nell’economia locale la gente più semplice diventa protagonista, si realizza la democrazia partecipativa. Nell’economia locale i contadini possono mettere in essere le proprie conoscenze”.
L’altra strategia per avviare il cambiamento è diversificare: “se gli altri dicono monocoltura, noi facciamo l’opposto, diversifichiamo. Diversificazione è diversità di prodotti, di specie genetiche, di modi di fare, di operare. La diversificazione è il trionfo della creatività, è far sì che il poco diventi tanto”.
Potenziare il locale e la diversificazione possono avere compimento se riusciamo a realizzare un’economia di comunità: “se ci dicono che l’economia è basata sull’individualismo noi comportiamoci esattamente al contrario. Rivendichiamo il nostro ruolo di coproduttori, usciamo dal giogo del consumo, stringiamo alleanze, economia di comunità vuol dire fare star bene tutti: chi lavora la terra, i cittadini, i ristoratori … Ogni Paese rivendichi la propria sovranità alimentare, decida cosa produrre. Così si scardina il potere delle multinazionali. E ragazzi a voi dico questa sfida per cambiare il mondo è gioiosa! Siate protagonisti felici e vedrete che la sfida sarà vincente”, ha concluso Petrini.

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