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L’enogastronomia italiana, l’agricoltura e la ristorazione sono vettori di un successo globale, ma fotografano anche dinamiche sociali disagiate, come racconta la ricerca “Gli italiani e il cibo - Rapporto su un’eccellenza da condividere” del Censis

Oggi l’enogastronomia italiana, i prodotti e piatti tipici, l’agricoltura e la ristorazione sono vettori di un successo globale, e fanno da apripista ad un modello di sviluppo e ad uno stile di vita ad alta attrattiva, perni potenziali di una nuova fase dello sviluppo italiano, di popolo, dal basso, inclusivo. Il modello alimentare italiano è un modello concreto di sviluppo sostenibile, ma, d’altro canto, anche il rapporto con il cibo ha vissuto alcune dinamiche sociali patologiche, come un ampliamento delle disuguaglianze e dei gruppi sociali con specifici disagi alimentari, come racconta la ricerca “Gli italiani e il cibo - Rapporto su un’eccellenza da condividere” della Fondazione Censis per il Padiglione Italia dell’Expo, dove è stata presentata il 4 luglio (www.censis.it).

Ciò che emerge dallo studio del Censis sono dieci punti di forza, che raccontano la complessità e le potenzialità dell’italian food. Innanzitutto, il rapporto, nel tempo, degli italiani con il cibo disegna una parabola rovesciata: centrale nella sua scarsità nella società contadina, meno rilevante nell’Italia del consumo compulsivo conquistata da auto, abiti e case, di nuovo centrale nell’Italia della sobrietà, dell’uso intelligente di redditi stretti. Nel lungo periodo, la quota di spesa alimentare sul totale della spesa per consumi è diminuita dal 27,1% degli anni ’70, al 19,3% degli anni ’80, al 15,4% negli anni ’90, al 14,8% nel 2007 al 14,2% nel 2014. È cambiata la dieta come dimostra il consumo di carne, alimento-simbolo del nuovo benessere, sceso dal 33,3% degli anni settanta, al 28,9% degli anni ottanta, al 23,4% degli anni novanta e oggi incastonato nella riscoperta della dieta mediterranea che ha al suo centro pasta, verdura e frutta. Con la crisi emerge una originale, ampia e intensa attenzione al rapporto con il cibo che riconquista una sua centralità nella vita degli italiani.

Il cibo italiano vince nel mondo perché riflette un modo italiano, quotidiano, minuto, di massa, di rapportarsi con il cibo, ormai pervasivo nella vita sociale. 46 milioni di italiani conoscono, parlano, si appassionano al cibo: sono 29,4 milioni a definirsi appassionati, ovvero persone a cui piace informarsi e parlare di cibo; 12,6 milioni si ritengono intenditori, capaci di discutere con buone nozioni su preparazioni, ricette e tradizioni e 4,1 milioni pensano a se stessi come veri esperti. C’è anche il vino, con 19,7 milioni di appassionati, 7,2 milioni di intenditori e 1,9 milioni di veri esperti. L’enogastronomia è il nostro grande tema nazionale, pervasivo sul piano sociale, componente decisiva di stile di vita, cultura e identità italica.

Focus - Censis: salutare, divertente, relazionale, identitario, il cibo è per gli italiani molto più che uno strumento funzionale o di pura passione

Salutare, divertente, relazionale, identitario, il cibo è per gli italiani molto più che uno strumento funzionale o di pura passione. Il 27,9% definisce il rapporto con il cibo come salutare perché attraverso esso le persone si prendono cura della propria buona salute; per il 26,7% il legame con il cibo è divertente perché stare a tavola fa parte del nostro modo di stare bene insieme e divertirci (convinzione che unisce l’Italia con il 25,8% dei residenti nel Nord Ovest, il 27,7% nel Nord Est, il 27,1% al Centro e il 26,7% del Sud e Isole). Il cibo è anche un motivo di orgoglio e fattore identitario per il 17,9% degli intervistati. In estrema sintesi si può dire che il cibo aiuta a star bene, a stare bene con gli altri e a sentirsi parte di una comunità: andando per il mondo i prodotti italiani sono ambasciatori di un modo di pensare, di produrre e di consumare il cibo che riflette uno stile di vita riconoscibile, tipicamente italiano.

Focus - Censis: gli italiani a tavola, amanti della convivialità

Sono 36,6 milioni gli italiani a cui capita di mangiare fuori casa e la convivialità è il motivo prevalente: 19,6 milioni mangiano fuori casa per incontrarsi con gli amici in un ambiente diverso da quello casalingo, 10,3 milioni per svagarsi e non cucinare, quasi 7 milioni vogliono sperimentare pietanze nuove, di cucine e tradizione diverse. 6,3 milioni di lavoratori italiani ogni giorno mangiano fuori casa. Vediamoci davanti a un bel piatto, in un bel locale, è un motivo ricorrente nella vita delle persone. Il 39,4% sceglie il locale per l’ambiente tranquillo che consente di star bene con i propri commensali, il 33,6% opta per locali consigliati da amici, il 32,6% per locali dai prezzi contenuti, il 32,2% per la garanzia della qualità di ciò che si va a mangiare e il 29,8% in locali che conosce da tempo. Il cibo buono, di qualità chiede anche un ambiente piacevole e amicale, che favorisca al meglio la relazionalità a tavola.

Focus - Censis: 50 milioni di italiani dichiarano di mangiare nel quotidiano piatti italiani

50 milioni di italiani dichiarano di mangiare nel quotidiano piatti italiani, di questi 43,9 milioni regolarmente. Non vince l’autarchia gastronomica localistica, però, perché la tipicità per gli italiani è fatta delle tante tipicità nostrane. Saldezza e certezza delle radici si uniscono nel quotidiano alla voglia di sperimentare: 38,5 milioni gli italiani preparano pietanze e ricette innovative apprese da ricettari e/o programmi tv (8,8 milioni regolarmente e 29,7 milioni di tanto in tanto), 29 milioni di italiani mangiano piatti tipici di altri Paesi europei come paella, crepes (4,6 milioni regolarmente e 24,5 milioni di tanto in tanto), i piatti etnici come guacamole, cous cous sono mangiati da 25,7 milioni di italiani (4,2 milioni regolarmente e 21,5 milioni di tanto in tanto).

Per gli italiani la qualità è il baricentro dei criteri di scelta dei prodotti alimentari. La ricerca di prezzi convenienti non è mai andata a discapito della qualità: l’87,6% degli italiani, nella scelta di un prodotto alimentare, dichiara che conta molto (46,4%) o abbastanza (41,2%) la tipicità e il radicamento territoriale del prodotto, per l’86,3% conta molto o abbastanza la certificazione Doc, Docg e Dop (di cui per il 44,4% è molto importante e per il 41,9% lo è abbastanza), la grande marca è richiamata come criterio di scelta dal 59% degli intervistati (il 15,5% dice che conta molto, il 43,5% abbastanza). Territorialità trasparente e certificazione sono al cuore delle scelte alimentari degli italiani, come garanzia di qualità, sicurezza e salubrità del cibo. Gli italiani vogliono frutta (il 45,3%) e verdura (il 53,2%) del proprio territorio, e vogliono carne (47,6%) e pesce (45,2%) preferibilmente di provenienza italiana.

Nelle abitudini alimentari degli italiani la qualità si unisce alla praticità in una logica combinatoria, da politeismo nella sobrietà. La praticità quotidiana delle diete tiene insieme i già citati prodotti tipici locali ed i surgelati (con 34,3 milioni di italiani che acquistano surgelati e 24,7 milioni che surgelano pietanze da loro stessi preparate). Nelle diete quotidiane ben coesistono il fast food con 20,2 milioni di italiani a cui capita di mangiarci (2,8 milioni regolarmente e 17,4 milioni di tanto in tanto, e sono 4,6 milioni le famiglie con figli a cui capita di mangiarci, di cui 563.000 regolarmente) e il vegano o vegetariano mangiato da 19,5 milioni di italiani, di cui 4,5 milioni regolarmente.

Focus - Censis: il cibo italiano nel mondo

Nel 2014, inoltre, il valore delle esportazioni di prodotti alimentari e bevande è stato pari a 28,4 miliardi di euro, con un salto in avanti in termini reali del +30,1% sul 2009. Per il 2017 le previsioni indicano che l’export agroalimentare italiano crescerà del +8,9% medio annuo. Avanzano i prodotti italiani nelle diete quotidiane degli stranieri: tra i 20,4 milioni di italiani che, negli ultimi tre anni, hanno avuto rapporti di amicizia, conoscenza con stranieri che vivono all’estero, il 58,5% sottolinea la loro propensione ad abbinare prodotti italiani con pietanze tipiche della loro cucina, ed il 23,1% indica la propensione negli altri Paesi a mangiare e cucinare italiano. 12,8 milioni di italiani (la metà di coloro che negli ultimi tre anni dichiarano di essersi recati all’estero) hanno mangiato in ristoranti italiani oltre confine, ed il 52,4% ha espresso un giudizio positivo. È un cambio di passo notevole rispetto al passato, in cui notoriamente gli italiani all’estero stavano alla larga da locali che riproponevano la nostra cucina. Perché il cibo italiano vince nel mondo e può consolidare ancor di più sul piano economico una riconosciuta leadership culturale e di qualità? Perché oggi il nostro cibo è in grado di intercettare una formidabile onda globale che viene dal cuore delle metropoli e che chiede qualità, sicurezza, genuinità e di poter verificare queste caratteristiche, in una parola chiede: tracciabilità. L’Italia paese dalla straordinaria biodiversità è riuscita a conservare le sue tipicità che tuttora sono tratti distintivi di territori e identità locali; così agricoltura e cucina italiane sono in grado di esprimere in modo trasparente la biografia di quel che offrono, rispondendo in modo assolutamente competitivo alla richiesta di tracciabilità.

Focus - Censis: gli italiani e lo street food

35,6 milioni di italiani sono degli street fooder, ossia consumatori di pizza al taglio, patatine fritte, piadine e panini, oltre che kebab, falafel e noodles. Regina incontrastata del cibo italiano da strada è la pizza, mangiata da 33,6 milioni di italiani, di cui 11,9 milioni abitualmente e 21,7 milioni di tanto in tanto. Poi panini e piadine, che mangiano 18,8 milioni di italiani, 4,2 milioni regolarmente e 14,6 milioni di tanto in tanto, le patatine fritte o chips consumate da oltre 18 milioni di italiani (4,1 milioni regolarmente e 14 milioni di tanto in tanto) e gli hot dog con 9,9 milioni gli italiani che li mangiano di cui 1,5 milioni regolarmente. Anche lo street food mediorientale risulta particolarmente apprezzato: sono infatti 13,9 milioni gli italiani che mangiano kebab, di cui 2 milioni abitualmente e 11,9 milioni di tanto in tanto; mentre i falafel, versione vegetariana del kebab, vengono consumati da 5 milioni di concittadini di cui 678.000 dichiara di mangiarli abitualmente e 4,4 milioni di tanto in tanto. Altra cucina etnica in forte ascesa, come soluzione take away o di street food, è la cucina asiatica con 9,5 milioni di italiani che ne mangiano i prodotti, di cui 1,2 milioni regolarmente e 8,2 milioni di tanto in tanto. Sono poi 5,3 milioni gli italiani che mangiano i noodles, di cui 936.000 abitualmente.

Focus - Censis: il rapporto dei giovani con il cibo italiano

Il rapporto con il cibo, poi, è particolarmente forte con i giovani italiani. Il 93% dei Millennials è in qualche modo coinvolto dal tema cibo, con il 53,5% appassionato, il 28,3% intenditore e l’11,1% vero esperto. Per i Millennials il cibo ha soprattutto un valore identitario: infatti, per il 26,9% di loro (è il 17,9% il dato medio relativo a tutta la popolazione) il rapporto degli italiani con il cibo è in primo luogo identitario, perché il nostro modo di mangiare ci rende orgogliosi. Per il 72,3% il cibo italiano è un insieme composito di cibi tipici locali. Vince tra i giovani un orgoglio nazional-gastronomico con una preferenza nazionale per la frutta (42,3%), la verdura (36,9%), la carne (42,5%) ed il pesce (41,5%). Abituati ad andare per il mondo, i giovani in cucina e a tavola sono anche grandi sperimentatori che fanno coesistere il radicamento identitario delle tipicità con l’alta propensione alla sperimentazione gastronomica. 8,7 milioni di Millennials italiani dichiarano di mangiare piatti tipici di altri paesi europei (paella, crepes, ecc.), di cui 1,9 milioni regolarmente, 7,7 milioni mangiano piatti etnici (guacamole, cous cous), di cui 1,8 milioni abitualmente, 10 milioni consumano (di cui 3,3 milioni regolarmente) piatti preparati secondo ricette nuove di cui hanno sentito parlare in tv e/o letto su 7 riviste e/o su ricettari. Ne nascono diete originali, inattese secondo un politeismo aperto ed evolutivo. Sperimentatori dalle solide tradizioni, i Millennials vanno per il mondo senza mai staccare le radici dai rispettivi territori e, soprattutto, dall’italian food. D’altro canto i Millennials sono gli interpreti migliori del neopoliteismo sobrio italico che consente di far convivere fast food e slow food. Mangiano al fast food 8 milioni di under 35, di cui 1,7 milioni abitualmente (una quota del 15,1%, di contro al 5,5% dato medio del totale popolazione) e 6,3 milioni di tanto in tanto (il 56,1% ed è il 34,3% il dato medio nazionale); sono 10,3 milioni gli street fooder italiani con meno di 35 anni (91,7%) di cui 5,2 milioni consumatori abituali (45,9%).

Focus - Censis: più disagio e più disuguaglianza anche nel rapporto con il cibo

Ma l’altra faccia della medaglia che emerge dal rapporto del Censis, racconta di più disagio e più disuguaglianza anche nel rapporto con il cibo. Se la scarsità non è più da tempo il perno del rapporto sociale con il cibo, se la sobrietà è un valore perché vuol dire scelta e selezione piuttosto che una sola grande abbuffata, sarebbe però un errore grave non leggere anche nelle dinamiche degli anni di crisi una pericolosa erosione della coesione nelle nostre comunità, che ha toccato anche il rapporto con il cibo. Gli indicatori di disagio alimentare sono univoci nel segnalare la dinamica ascendente delle famiglie in difficoltà, così come gli indicatori di disuguaglianze alimentari mostrano che la forbice si è ampliata.

Sono 2,4 milioni le famiglie italiane a cui in un anno è capitato di non poter acquistare il cibo necessario per ragioni economiche, un milione in più rispetto al periodo pre-crisi. Puglia (16,1%), Campania (14,2%) e Sicilia (13,3%) sono le tre regioni con la quota più alta di famiglie che in un anno hanno dovuto rinunciare almeno una volta al cibo necessario per difficoltà economiche. In dieci Regioni si registra una quota di famiglie con difficoltà economiche gravi nell’acquisto del cibo necessario superiore al 10%. Dal 2007 la Liguria è la regione a più alto incremento delle famiglie in difficoltà economica nell’alimentare, solo in Trentino alto Adige sono diminuite. Le persone in sicura povertà alimentare (con una spesa alimentare inferiore o uguale ad una soglia inferiore del 20% alla soglia standard) sono 1,5 milioni e la graduatoria regionale mostra che al vertice si trovano le regioni di Abruzzo e Sardegna.

Nella crisi si sono ampliate le disuguaglianze sociali nella logica che chi meno aveva più ha perso, tale dinamica ha investito ogni ambito della vita sociale e il rapporto con il cibo non è stato esentato. Dagli indicatori emerge che la preesistente disuguaglianza alimentare nella crisi si è ampliata. Infatti, le famiglie con capofamiglia operaio hanno avuto nel periodo 2007-2014 una riduzione della spesa per consumi in termini reali pari a -17,3%, i lavoratori in proprio del -20%, mentre quelle dei dirigenti e impiegati del -9,7% e quelle degli imprenditori del -13,3%. Va tenuto presente che nella spesa per consumi delle famiglie operaie la spesa alimentare pesa per il 21,5%, in quelle degli imprenditori per il 15,3% e in quelle dei lavoratori in proprio per il 19%.

E poi c’è il tema dei figli: più ce ne sono, più cresce il disagio alimentare. Sono 830.000 le famiglie con figli minori che in un anno, almeno una volta, non hanno potuto acquistare il cibo necessario per difficoltà economiche: il 12,2% rispetto al 9,2% relativo al totale famiglie. Le famiglie con figli sono anche quelle che più hanno subito tagli alla spesa alimentare nella crisi: del -18,2% le coppie con tre e più figli, del -15,6% le coppie con due figli e del -13,7% le monogenitoriali. Sono le persone sole con più di 65 anni che, invece, hanno registrato un aumento reale della spesa per alimentari.

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