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Ad Expo Milano 2015 anche una mostra dei cibi storici antenati della cucina made in Italy: per Coldiretti 1 piatto su 4 dei nostri attuali manicaretti proviene da ricette degli antichi romani, dal “libum” (pane) al “garum” (colatura di alici)

Almeno un piatto made in Italy su quattro deriva totalmente o in parte da ricette degli antichi romani a testimoniare il forte legame che unisce la gastronomia nazionale alla storia millenaria del Paese. Lo stima la Coldiretti che nel Padiglione “No farmers no partners”, ha inaugurato la mostra dei “Cibi più amati dagli antichi romani” per le gallerie dei “prodotti alimentari perfetti” nella loro specificità, che a rotazione sono protagonisti nel padiglione per far conoscere la grande diversità del vero Made in Italy alimentare che è stato salvato dall’omologazione grazie all’impegno degli agricoltori italiani.
Dal “garum”, oggi noto come colatura di alici, che Apicio annovera in quasi tutte le sue ricette nel famoso libro “De re coquinaria” ai “basynias” citati da Ateneo nella suo storica opera “Deipnosophistai” che sono pezzi di pasta di farina di grano fritti nel miele ai quali si aggiungevano i “coccora” (granelli, forse chicchi di melograno), un fico secco e tre noci che - sottolinea la Coldiretti - gli antichi romani amavano molto e sono riconosciuti come gli antenati degli “struffoli” napoletani ma da Ateneo, attraverso il “Deipnosophistai”, si viene a sapere che anche i “muscari”, oggi conosciuti come lampascioni, erano sempre presenti tra gli antipasti della “gustatio”, anche se non sempre graditi agli ospiti per il loro gusto amarognolo e per le spese da affrontare per renderli più amabili. Ma tra i preferiti dagli antichi romani ci sono anche il sidro di mele molto amato da Giulio Cesare, il pangiallo, meglio noto come pangiallo romano che ha origine nell’era imperiale, il panigaccio (“testum”) che oggi è molto diffuso nelle Lunigiana e che Catone, Apicio, Ateneo, Plinio e Columella raccontavano.
E poi in mostra ci sono l’oliva tenera ascolana, i formaggi caciofiore di columella e conciato romano e il Liquore d’Ulivi era utilizzato dagli antichi Romani come curativo, ma anche il vino cesanese che la tradizione popolare fa risalire ai tempi della Roma Antica, quando i coloni romani, sedotti dall'ottimo clima, si dedicarono ad un'intensa opera di disboscamento per fare spazio a splendidi vigneti (cesae: luoghi dagli alberi tagliati, da qui il nome del vitigno).
Il cibo, come testimoniato da Orazio e Petronio che rispettivamente nel “Satira VIII” del libro I e nel “Satyricon” descrivono minuziosamente ogni portata del convito di Nasidieno e della cena di Trimalcione, era costantemente al centro della vita degli antichi romani aristocratici e rappresentava una preziosa occasione per esaltare le proprie ricchezze attraverso infinite portate e per pavoneggiarsi tra gli invitati sfoggiando le proprie conoscenze culinarie. Moltissimi autori, da Catone ad Apicio, si sono dilettati a raccontare meticolosamente le diverse portate presenti sulle tavole dell’antica Roma e così si scopre che il pane più antico ed apprezzato era il “libum” di cui nel “agri cultura liber” l’autore descrive accuratamente la ricetta “farai così il “libum”: sciogli bene in un mortaio due libbre di formaggio. Quando lo avrai reso del tutto liscio impasta bene...”.
Ma molti sono i piatti che si possono ricondurre all’epoca romana, dalle “lagane” e “tracta”, le antenate delle squisite tagliatelle alla bolognese, citate nelle Satire di Orazio fino all’amata “cassoeula” dei milanesi nota allora con il nome di “pulmentarium ad ventrem” mentre la famosa porchetta di Ariccia tanto cara ai laziali è in realtà una golosità già molto apprezzata dai loro antenati col nome di “porcellum elixum farsi lem” che gustavano anche il pregiato “oxyporium”, meglio conosciuto come aceto balsamico.

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