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Mai come in questo momento l’agricoltura è percepita dagli italiani come un valore da difendere e rimettere al centro dello sviluppo: la Cia racconta l’imprenditoria giovanile ad Expo, con “Giovani: il vivaio da coltivare per far crescere il Paese”

Mai come in questo momento l’agricoltura è percepita dagli italiani come un valore da difendere e da rimettere al centro dello sviluppo. Lo racconta l’ultimo studio del Censis, in collaborazione con la Cia - Confederazione Italiana Agricoltori, intitolato “Un futuro per l’Italia: perché ripartire dall’agricoltura”, che conferma come agricoltura e giovani non siano più antitetici, ma anzi che gli “under 35” vedono nei campi un valore da tutelare e una prospettiva di lavoro. E sono proprio le nuove generazioni le protagoniste della giornata della Cia all’Expo, dove porterà le esperienze delle migliaia di giovani agricoltori nell’evento “Giovani: il vivaio da coltivare per far crescere il Paese”, come la forza viva per costruire un cambiamento profondo nel modello economico verso uno sviluppo armonico e sostenibile. Non un progetto ambizioso, ma la rappresentazione della realtà.
Del resto, come spiega il presidente Cia, Dino Scanavino, “nelle nostre aziende, se sarà restituita centralità al settore primario e se soprattutto ci sarà una forte integrazione di filiera e una visione dell’agricoltura come motore di ricerca, come produttore di turismo, come attore della tutela e valorizzazione del patrimonio naturale e culturale del Paese, siamo in grado di creare in cinque anni oltre 100.000 posti di lavoro”. Occorre ripartire da qui, ad esempio dal dato certificato dal Censis, secondo il quale per il 27,2% dei nostri connazionali, e molto di più tra i giovani (41%), il legame con la dieta mediterranea e i prodotti agroalimentari di eccellenza del made in Italy è un fattore di orgoglio, superato soltanto dal patrimonio artistico e culturale (66,9% dei giovani). Ma non basta. Si deve considerare che, di fronte al desiderio espresso da un proprio figlio o nipote di lavorare in agricoltura, ben l’85% degli italiani consiglierebbe loro di seguire la propria volontà. E che l’agricoltura sia percepita come un valore è confermato dal fatto che il 39,7% degli italiani, specialmente quelli del Centro (44,5%), è convinto che l’Italia possa superare la crisi affidandosi all’agricoltura e all’agroalimentare.
Se questo è il contesto, guardando ai giovani si scopre che, complessivamente, un italiano su due (50%) coltiva un orto, e tra i giovani la quota è persino più elevata (51,2%), anche se in buona parte lo fa saltuariamente (34,9%). Ancora di più sono coloro che nutrono la passione per il giardinaggio (70,1%). Ed ecco che il rapporto con l’agricoltura diventa meno sporadico e si converte in voglia di “intraprendere”. Infatti, oggi le imprese agricole “under 35” sono in crescita costante e segnano importanti mutamenti: i giovani prendono in affitto le terre per espandere le dimensioni aziendali, oltre un quarto di loro segue coltivazioni biologiche, quasi tutte le imprese “under 35” seguono protocolli di ricerca e risultano fortemente innovative anche in virtù dell’alta qualificazione degli imprenditori. Sono queste imprese il volto nuovo dell’agricoltura che è orientata alla tutela della biodiversità, al mercato, alla ricerca e all’integrazione di filiera e che poggia su un alto livello di qualificazione professionale.
E dalla ricerca Censis - Cia si scopre anche che dal 2010 sono nate quasi 117.000 nuove attività, di cui 106.000 in ambito agricolo e quasi 11.000 in quello agroalimentare. I due settori insieme hanno rappresentato l’area di attività prescelta dal 10,1% degli imprenditori che hanno avviato un’azienda negli ultimi tre anni. E se si osserva l’anzianità delle imprese agricole e agroalimentari, la quota di quante sono nate dopo il 2010 è pari al 14,2%; mentre nell’agroalimentare il dato sale al 18,1%. Sono stati quasi 17.000 gli “under 30” che hanno avviato un’impresa agricola a partire dal 2010. Il che significa, che su 100 start-up, 15 sono state create da giovanissimi. Nell’agroalimentare, il loro contributo alla creazione di nuova impresa è arrivato al 18,3%, mentre in agricoltura è stato del 14,9%. Guardando ai settori agricoli e agroalimentari in cui si sono concentrate le nuove iniziative imprenditoriali, l’86,7% ha riguardato le coltivazioni agricole, permanenti nel 30,2% dei casi e non permanenti nel 37,3%. Nel 9,7% si è trattato di nuove attività legate all’allevamento, mentre nel 9,2% di agroalimentare.
Tra le attività più gettonate spiccano la coltivazione di cereali, legumi da granella e semi oleosi (quasi 24.000 nuove aziende, pari al 21,7% del totale delle aziende avviate in agricoltura dal 2010 in poi), coltivazione di ortaggi, meloni, radici (13.000), coltivazione di uva (12.000), coltivazioni miste di cereali (11.000) coltivazioni di frutti oleosi (quasi 10.000), coltivazioni associate all’allevamento (6.000). Da segnalare anche le quasi 5.000 nuove imprese di produzione di prodotti di panetteria freschi e circa 3.000 di floricultura. In più, se tra gli imprenditori con più di 40 anni, la maggioranza (38%) ha al massimo la licenza elementare, e il 31,2% quella media, tra i giovani imprenditori agricoli il livello medio di istruzione cresce sensibilmente. Tra i 25-39enni, il 45,3% è in possesso di un diploma di scuola superiore e l’11,2% ha una laurea. E tra quanti decidono di intraprendere l’attività agricola prima dei 25 anni, ben il 65,3% ha un diploma superiore e il 5,2% è già laureato. E questo provoca un effetto trascinamento e attrazione. Tra 2009 e 2013, mentre diminuisce del 13,8% il numero degli immatricolati nelle università italiane, passato da circa 294.000 a 253.000 (41.000 in meno), aumenta di misura quello degli iscritti alle facoltà collegate al settore primario: +43,1% per scienze zootecniche e tecnologie delle produzioni animali, +22,9% per scienze e tecnologie alimentari, +18,6% per scienze e tecnologie agrarie e forestali. È questo il futuro che la Cia porta in Expo, convinta che dai giovani verrà la spinta a superare i troppi gap che ancora frenano il settore agricolo italiano. Perché se è vero che è percepito come un comparto d’eccellenza, è altrettanto vero che sconta ancora troppi ritardi e un fortissimo potenziale inespresso. L’Italia agricola, nel 2013, ha registrato un valore aggiunto superiore ai 30 miliardi di euro, con una quota sul valore aggiunto nazionale del 2,1%. Il volume di lavoro coinvolto nel settore è pari a 928mila occupati. E tuttavia, pur essendo quella italiana la seconda agricoltura d’Europa, lo Stivale si collocava nel 2013 “solo” al sesto posto tra i Paesi europei per volumi di esportazioni, preceduto nell’ordine dai Paesi Bassi (63 miliardi), Germania (61), Francia (55), Spagna (33) e Belgio (31). E anche se si guarda al valore che l’export agricolo e agroalimentare ha su quello complessivo delle nostre esportazioni, esistono ancora molti margini di miglioramento: se in Italia, l’export agricolo e agroalimentare pesa per il 7,7%, in Spagna si arriva al 14,1%, in Francia e Paesi Bassi al 12,6%.

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