02-Planeta_manchette_175x100
Allegrini 2024

“Il made in Italy bandiera di Expo deve esser legato alla qualità, ma anche alla dignità del lavoro degli agricoltori”: così la Cia ricordando la strage di lavoratori a Portella della Ginestra in Sicilia per mano di Salvatore Giuliano (1 maggio 1947)

L’eccidio di lavoratori che avvenne il primo maggio del 1947 a Portella della Ginestra, prima strage di Stato dell’Italia repubblicana, non può essere dimenticata. Il sacrificio di quegli uomini e quelle donne che chiedevano terra e giustizia sociale e trovarono, invece, le pallottole della banda criminale di Salvatore Giuliano, è un tragico evento che, secondo Dino Scanavino, presidente della Cia-Confederazione italiana agricoltori, che ieri ha ricordato la strage a Palazzo dei Normanni a Palermo, “afferma l’attualità del richiamo ai principi fondamentali della giustizia e della legalità, beni preziosi, ma non ovunque e non a tutti accessibili”. Oggi la piovra della criminalità organizzata allunga i tentacoli sul comparto “coltivando” un business da 50 miliardi di euro l’anno, pari a quasi un terzo dell’economia illegale in Italia. L’infiltrazione nel settore primario di “Mafie Spa” produce più di 240 reati al giorno, praticamente 8 ogni ora, e mette sotto scacco oltre 350.000 agricoltori. E se fino a pochi anni era concentrata soprattutto al Sud, ora si sta espandendo a macchia d’olio in tutt’Italia, Nord incluso. Con la sua iniziativa, la Cia, ha spiegato il presidente, ha voluto “dare il suo contributo affinché le eccellenze del made in Italy, bandiera dell’Expo di Milano, siano legate non solo alla qualità indiscussa delle produzioni agricole italiane, ma anche alla qualità e alla dignità del lavoro e della vita degli agricoltori”.
Un discorso ancora più vero in Sicilia, dove la guerra alla criminalità organizzata si combatte, sul serio, anche con il lavoro della terra. Un lavoro, quello sui beni confiscati alle mafie, che Libera porta avanti da anni e che la Cia continua a sostenere coi fatti. È dal 2001 infatti, anno di fondazione della prima cooperativa “Placido Rizzotto” nel palermitano, che va avanti la partnership tra Cia e Libera, sancita poi nel 2008 da un protocollo d’intesa con cui la Confederazione si impegna “attraverso le sue strutture e i suoi tecnici” a fornire “consulenza e assistenza alle cooperative e ai soci del progetto Libera Terra nella gestione dei terreni confiscati alla criminalità organizzata”. L’obiettivo comune è quello di ripartire dall’agricoltura per proporre un modello di sviluppo alternativo alla logica del sopruso e del ricatto. Dimostrare che ciò che la mafia ha sottratto alla collettività, con la violenza e l’intimidazione, può essere restituito alla società civile e può creare, attraverso il lavoro sui terreni agricoli “liberati”, nuove opportunità di sviluppo e di occupazione e un sistema produttivo basato sulla qualità.
La lista dei reati perpetrati nelle campagne è lunga e ha un conto pesante: non ci sono solo i 14 miliardi l’anno delle agromafie in senso stretto, vanno aggiunti i 4,5 miliardi calcolati tra furti e rapine; e poi i 3,5 miliardi del racket e i 3 miliardi dell’usura; e ancora 1,5 miliardi per le truffe all’Unione Europea e 1 miliardo solo per la contraffazione alimentare in Italia; infine 1 miliardo per le macellazioni clandestine e quasi 20 miliardi di euro legati alle ecomafie tra abusivismo edilizio, discariche illegali e incendi boschivi dolosi. “La situazione è davvero grave - ha osservato Scanavino - tantissimi sono gli imprenditori che, purtroppo, fanno i conti con il racket e l’usura, con i furti e le rapine, con le estorsioni e le minacce. Senza contare i danni economici e d’immagine inaccettabili che i produttori e tutta la filiera di qualità pagano per colpa di falsi e sofisticazioni alimentari”.
Ma l’agricoltura di qualità è anche quella che combatte il sommerso, ed un altro tema tragico e irrisolto: il lavoro nero. In uno studio recente, l’Eurispes ha stimato al 32% l’incidenza del sommerso in agricoltura nel 2014. Una cifra in aumento sugli ultimi anni: 27,5% nel 2011, 29,5% nel 2012, 31,7% nel 2013. Nei casi che si possono ricondurre a irregolarità, e non a illegalità, occorre, secondo la Cia, un approccio positivo che parta da questa domanda: come si sostiene, come si aiuta l’impresa regolare? Per Scanavino “la risposta è in queste due fondamentali formule: semplificazione e premialità”. Nei casi invece di illegalità, di lavoro nero, servono servizi ispettivi più efficienti, indirizzare le risorse verso le situazioni di reale gravità, abbandonando ogni residuo approccio formalistico e burocratico che spesso si traduce in un’improduttiva insistenza verso aziende note, sostanzialmente regolari e con nessun beneficio per i lavoratori. Poi c’è la questione odiosa del caporalato, che deve vedere da una parte una forte azione di sensibilizzazione, ma anche di corretta consulenza da parte delle organizzazioni di categoria per cautelare e mettere in allerta le aziende di fronte all’attività di soggetti intermediari che si presentano come regolari, ma che regolari non sono. Dall’altra parte, infine, occorre maturare la consapevolezza che il mercato del lavoro agricolo è zona talmente magmatica e dinamica da non poter essere governata con i servizi pubblici all’impiego, ma da richiedere l’intervento mirato delle parti sociali agricole a livello territoriale attraverso lo straordinario strumento della bilateralità agricola.

Copyright © 2000/2024


Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit


Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024

Altri articoli