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Una stalla su 5 è sopravvissuta alle quote latte che finisce oggi dopo oltre 30 anni, lasciando in Italia appena 36.000 allevamenti ma il rischio di nuove multe è ancora concreto e con esso anche un’invasione 40% di latte dall’estero. Così Coldiretti

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Una stalla su 5 è sopravvissuta alle quote latte che finisce oggi dopo oltre 30 anni

Una stalla su 5 è sopravvissuta alle quote latte che finisce oggi dopo oltre 30 anni, lasciando in Italia appena 36.000 allevamenti ma il rischio di nuove multe è ancora concreto e con esso anche un’invasione 40% di latte dall’estero. Così Coldiretti nel suo “dossier sull’attuazione delle quote latte in Italia” presentato oggi, alla mobilitazione degli allevatori della Coldiretti, a Roma, in Piazza del Foro di Traiano, con la pronipote della mucca “Onestina”, simbolo della battaglia per il Made in Italy degli allevatori onesti.
“All’inizio del regime delle quote latte nel 1984 in Italia - sottolinea la Coldiretti - erano presenti 180.000 stalle, con il latte che veniva pagato in media agli allevatori 0,245 euro al litro mentre i consumatori lo pagavano 0,40 euro al litro (780 lire). Oggi, il prezzo del latte fresco moltiplica più di quattro volte dalla stalla allo scaffale, con un ricarico del 317% con il latte che viene pagato agli allevatori in media 0,36 centesimi al litro mentre al consumo il costo medio per il latte di alta qualità è di 1,5 euro al litro. Il prezzo pagato agli allevatori è aumentato di poco più di 10 centesimi mentre il costo per i consumatori è cresciuto di 1,1 euro al litro. Oggi quindi gli allevatori devono vendere tre litri di latte per bersi un caffè al bar, quattro litri per un pacchetto di caramelle, quattro litri per una bottiglietta di acqua al bar mentre quasi 15 litri per un pacchetto di sigarette”. “E il prezzo riconosciuto agli allevatori - sottolinea la Coldiretti - non copre neanche i costi per l’alimentazione degli animali”.
“In Italia esiste uno squilibrio contrattuale tra le parti lungo la filiera che determina un abuso, da parte dei trasformatori, della loro posizione economica sul mercato, dalla quale gli allevatori dipendono” ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nel denunciare che “questa situazione rischia di aggravarsi con la fine del regime delle quote latte. Per questo la Coldiretti e il Codacons - conclude Moncalvo - hanno chiesto con un esposto di fare luce sugli abusi di dipendenza economica a danno dei produttori di latte fresco all’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato”. Ma oltre alla diminuzione del numero di allevamenti in Italia, la Coldiretti sottolinea: “il rischio concreto dell’arrivo di nuove multe, stimate attorno ai 40 milioni di euro, nell’ultimo anno di attuazione del regime delle quote latte, per il superamento da parte dell’Italia del proprio livello quantitativo di produzione assegnato dall’Unione Europea, dopo quattro anni in cui nessuna sanzione è stata dovuta dagli allevatori italiani”. “Il superamento delle quote assegnate nella campagna 2014/2015 è dimostrato - afferma la Coldiretti - dal trend di aumento del 3% rispetto allo scorso anno registrato dall’Agea tra aprile 2014 e gennaio 2015. Quello che si preannuncia - precisa l’organizzazione agricola - è quindi il primo sforamento dopo l’introduzione della legge 33 del 2009”.
Ma a preoccupare gli allevatori del comparto è il futuro. “Con la fine del regime delle quote latte è prevedibile un aumento della produzione lattiera comunitaria che quest’anno è stimata pari al 6%, con il rischio di una vera invasione straniera in Italia dove si importa già quasi il 40% dei prodotti lattiero caseari consumati. Tre cartoni di latte a lunga conservazione su quattro venduti in Italia sono stranieri mentre la metà delle mozzarelle sono fatte con latte o addirittura cagliate provenienti dall’estero, ma nessuno lo sa - denuncia la Coldiretti - perché non è obbligatorio riportarlo in etichetta”.
“Dalle frontiere italiane passano ogni giorno 24 milioni di litri di latte equivalente tra cisterne, semilavorati, formaggi, cagliate polveri di caseina per essere imbustati o trasformati industrialmente e diventare magicamente mozzarelle, formaggi o latte italiani, all’insaputa dei consumatori - spiega Coldiretti - Ad essere spacciato come italiano è il latte proveniente in cisterne soprattutto da Germania, Francia, Austria, Slovenia, Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca, Polonia e Olanda. In particolare si assiste ad un sostanziale aumento dell’import dei Paesi dell’Est (+18% Ungheria, +14% Slovacchia, +60% Polonia) e una diminuzione di quello importato dai Paesi dell’Ovest (-7% dalla Germania e -13% dalla Francia)”. “Ci sono però - continua Coldiretti - anche le cagliate da impiegare nella produzione di mozzarelle che arrivano principalmente dai Paesi dell’Est per un quantitativo che ha raggiunto il milione di quintale all’anno ed è diretto per un terzo in Campania. E tra i Paesi esportatori la Lituania negli ultimi 3 anni ha triplicato le spedizioni in Italia”.
“In un momento difficile per l’economia dobbiamo portare sul mercato il valore aggiunto della trasparenza e lo stop al segreto sui flussi commerciali con l’indicazione delle aziende che importano materie prime dall’estero è un primo passo che va completato con l’obbligo di indicare in etichetta l’origine degli alimenti”, ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo. “Ad oggi in Italia - continua la Coldiretti - è obbligatorio indicare la provenienza del latte fresco ma non per quella a lunga conservazione, e l’etichetta è anonima anche per i formaggi non a denominazione di origine, per le mozzarelle e gli yogurt”. “Nell’anno dell’Expo, la chiusura delle stalle - conclude la Coldiretti - rischia di far perdere all’Italia il primato nella produzione di formaggi a denominazione di origine (Dop) che in quantità è addirittura superiore quella francese e contribuisce a forgiare l’identità nazionale in campo alimentare, con oltre 48 specialità riconosciute a livello comunitario sparse lungo tutto lo stivale”.

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